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Non c’è più religione

per chi non la vuole

 

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Non c'è più religione. Per Chi non la vuole.

Basta religione sui banchi di scuola

 

Il diritto all’ora alternativa è definitivamente una realtà:

il ministero ha messo nero su bianco la necessità di assicurarla.

La Uaar lancia una campagna per richiamare i singoli istituti al loro dovere.

 

di Raffaele Carcano

(segretario nazionale Uaar)

 

(da left 2, 14 gennaio 2011)

 

Non si capisce bene quali ragioni giustifichino ancora oggi la presenza di una materia catechetica quale l’insegnamento della religione cattolica (Irc) in una scuola statale ‘‘laica’’. Il suo posto potrebbe più utilmente essere preso dall’educazione civica, o da materie più adeguate a una società plurale e secolarizzata qual è ormai quella italiana. Non esistono nemmeno dati ufficiali sulla sua frequenza: le uniche cifre sono fornite dalla Conferenza episcopale italiana (Cei), secondo la quale il 91% degli studenti statali “si avvale” di questa facoltà. C’è però addirittura un dato che passa universalmente inosservato: il 9% degli allievi non frequenta l’ora di religione, sostiene la Cei. Circa 700.000 bambini, ragazzi e adolescenti che non sembrano interessare a nessuno. La situazione è infatti ancora sbilanciatissima a favore, e la classe politica non sembra intenzionata a risolvere il problema. Semmai ad accentuarlo. Dal 2003 oltre 20.000 docenti di religione sono entrati in ruolo: la legge fu presentata dal centrodestra ma approvata con i voti della Margherita. Prim’ancora, fu Luigi Berlinguer a emanare un’ordinanza ministeriale (sempre reiterata) che permise alla frequenza dell’Irc di concorrere al credito scolastico. La presenza del crocifisso nelle aule scolastiche gode di sostegno bipartisan, unico caso nell’Europa occidentale. Eccezion fatta per la pattuglia radicale, la laicità è, per i parlamentari italiani, mero flatus vocis privo di traduzioni pratiche.

 

Al momento, vi sono dunque docenti di ruolo pagati dallo Stato ma nominati dalla Chiesa. La collocazione dell’insegnamento della religione cattolica alla prima o ultima ora, che consentirebbe ai non avvalentisi di entrare o uscire un’ora prima, è ostracizzata dal mondo cattolico, consapevole che i frequentanti diminuirebbero immediatamente. È anche capitato che, di fronte a un’attività alternativa gradita dall’utenza, si sia gridato alla concorrenza sleale. Persino alcuni insegnanti si prestano alla discriminazione, evidenziando ai genitori come il non frequentare l’Irc farà sentire discriminato il bambino, “unico” a non seguire lezioni “che comunque non sono mica un’ora di catechismo”: salvo poi scoprire che i programmi devono essere allineati alla dottrina e che il loro bambino non era certo l’unico, perché altri genitori della stessa classe si erano sentiti lo stesso premuroso discorsetto.

 

Il cerchio allora si chiude, e diversi genitori non credenti, piuttosto che vedere i propri figli soffrire dell’esclusione sociale, e/o essere sballottati in altre classi o vagolare per il plesso, finiscono per lasciarli assistere alle lezioni. Una situazione indegna di un Paese democratico e civile: persino l’Unicef ha espresso anni fa “preoccupazione relativamente al fatto che i bambini possano essere emarginati se si astengono dall’insegnamento religioso”, e “per il fatto che i genitori non sempre sono al corrente della non obbligatorietà dell’educazione religiosa”.

 

L’Uaar, il cui impegno per la laicità della scuola si concretizza nell’assistenza prestata dallo sportello S.o.s. Laicità, nelle tante diffide inviate per impedire lo svolgimento di messe in orario scolastico, nell’azione legale contro la presenza del crocifisso e sulle visite pastorali a scuola (giunte alla Corte di Strasburgo), non poteva non agire anche sul “fronte” dell’ora di religione. Chi non intende partecipare all’ora di religione ha davanti a sé quattro opzioni: attività didattiche e formative (la c.d. “ora alternativa”); lo studio individuale assistito; lo studio individuale libero; l’uscita dall’edificio scolastico. L’Uaar non suggerisce quale scelta compiere ma constata che la prima opzione è quella che necessita di maggior supporto: per questo ha dato vita, nel 2006, al Progetto ora alternativa, con l’intento di far circolare materiale e proposte per lo svolgimento delle attività didattiche, visto il totale disinteresse in merito da parte del ministero. Si è presto dovuto prendere atto che i problemi più grossi erano però di tipo giuridico: non solo la mancata attivazione dei corsi, quasi sempre giustificata con la mancanza di fondi, ma ben più gravi discriminazioni, raccolte via e-mail e attraverso il gruppo di discussione on line appositamente costituito (una parte delle testimonianze è pubblicata on line).

 

Si è quindi dovuta seguire anche la via giuridica. Un ricorso presentato da confessioni religiose di minoranza e associazioni laiche (tra le quali l’Associazione atei agnostici e razionalisti, Uaar) è sfociato in una sentenza del Consiglio di Stato, che ha riconosciuto che la mancata attivazione dei corsi alternativi viola l’uguaglianza e incide sulla libertà religiosa dello studente o delle famiglie. Su queste basi l’Uaar ha sostenuto un’iniziativa legale riguardante una bambina che era stata costretta prima a rimanere in classe durante l’ora di religione, poi a trasferirsi in classi parallele, senza che l’istituto provvedesse ad attivare lezioni alternative: il Tribunale di Padova, lo scorso 30 luglio, ha definito tale comportamento “discriminatorio e illegittimo”, condannando la scuola e sbugiardando altresì la tesi che “non ci sono fondi per l’ora alternativa”.

 

Il diritto all’ora alternativa è ora definitivamente una realtà: lo stesso ministero ha messo nero su bianco la necessità di assicurarla. Ciò dovrebbe scoraggiare i dirigenti scolastici dall’adottare comportamenti omissivi: in ogni caso, i circoli territoriali Uaar hanno già scritto agli uffici scolastici provinciali per ricordare i loro doveri. L’associazione mette inoltre a disposizione delle famiglie un facsimile di diffida da inviare alle autorità scolastiche negligenti. Lo scorso anno il ministero predispose moduli di iscrizione che glissavano sulle opzioni a disposizione: non deve più accadere. L’obbiettivo, ora, è far sapere a tutti che esiste questo diritto: è per questo che l’Uaar ha deciso di investire in pubblicità sui più autorevoli settimanali italiani. Non c’è più religione, per chi non vuole è lo slogan prescelto, seguito da un messaggio che si conclude con una l’esortazione: Hai una alternativa all’ora di religione. Fai valere il tuo diritto. È l’iniziativa di un weekend, quanto si può permettere un’associazione non sostenuta dall’8x1000: ma che continuerà, se riceverà sostegno economico dai cittadini. La campagna, del resto, non si ferma alla pubblicità: si può fare “passaparola” con cartoline e web mail scaricabili dal sito www.oraalternativa.it. L’intento è quello di risvegliare le coscienze laiche, coinvolgendole in una campagna lanciata in nome della libertà di scelta.

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