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Ricordi Immaginari - Spiegare un Film a un Bambino

 

Il dottor Zivago

 

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Titolo: Il dottor Zivago.

Titolo originale: Doctor Zhivago.

Scrittore: Boris Pasternak.

Regista: David Lean.

Paese di produzione: U.S.A..

Anno di produzione: 1965.

Attori principali: Omar Sharif (Jurij Zivago), Julie Christie (Lara Guichard), Geraldine Chaplin (Tonja Gromeko), Rod Steiger (Victor Ippolìtovic Komarovskij), Alec Guinness (Evgràf Zivago), Tom Courtenay (Paša Antipov/Strél’nikov), Siobhan McKenna (Anna Gromeko), Ralph Richardson (Alexander Gromeko), Rita Tushingham (un’operaia), Klaus Kinski (Kostoéd).

Durata: 3h 17’.

 

Lo scrittore

 

Boris Pasternak

 

Il regista

 

David Lean

 

Il film

 

In Russia, all’inizio del ’900, mentre milioni di contadini duramente sfruttati sopravvivono a stento e il proletariato e la piccola borghesia delle città rivendicano invano i diritti dei cittadini dei più progrediti paesi europei, il regime dello zar si regge ormai soltanto sulla ferocia del suo apparato repressivo e sul consenso dell’aristocrazia, istupidita dall’odio di classe, dai secolari privilegi di cui gode e dalla sua stessa ricchezza, ereditaria e quasi del tutto improduttiva. Uscire con mezzi pacifici da questa situazione sembra impossibile, e fra il popolo incontra quindi crescente favore la propaganda comunista del Partito Bolscevico fondato da Lenin (pseudonimo di Vladimir Il’ic Ul’ianov, 1870-1924) che sulla base delle idee di Karl Marx (1818-1883) prepara una rivoluzione che abolisca la monarchia assoluta, instauri la dittatura del proletariato e sopprima la proprietà privata e le diseguaglianze sociali.

 

Jurij Zivago, rimasto orfano di entrambi i genitori e allevato dai Gromeko, un’aristocratica famiglia di Mosca, sposa la loro unica figlia, Tonja, e ha con lei un bambino, Saša. Intanto comincia a essere conosciuto in patria e all’estero per le sue poesie, si laurea in medicina, e per le vie di Mosca incontra talvolta la giovane e bellissima Lara, per la quale prova una segreta attrazione che egli non sente in conflitto con l’amore per la moglie, e che a poco a poco diventa parte della sua vita.

 

Lara Guichard, dal canto suo, figlia diciassettenne di una sarta di modeste condizioni, attraversa un periodo molto difficile: non sa ricambiare l’amore di Paša Antipov, un giovane progressista che la brutalità della polizia spinge verso scelte sempre più radicali, e si arrende invece alla mal dissimulata violenza del maturo amante della madre, Victor Ippolìtovic Komarovskij, un affarista che intrattiene ambigue relazioni sia con il potere zarsita che con alcuni esponenti del partito bolscevico.

 

La situazione precipita dopo il tentato suicidio della madre di Lara: la notte di Natale del 1911, durante una festa, la ragazza spara a Komarovskij con una pistola che Paša le ha affidato, ferendolo lievemente. L’uomo, per limitare lo scandalo, ordina che sia lasciata andare, e Paša la porta via con sé impressionando i presenti (fra i quali Zivago e la moglie) con la sua fredda determinazione.

 

Paša e Lara si sposano, hanno una figlia, Katja, e lasciano Mosca. Ma nel 1914 scoppia la Prima guerra mondiale: Paša, ferito in combattimento, non dà più notizie di sé, e Lara, giunta al fronte come infermiera nella speranza di ritrovarlo, incontra invece il dottor Zivago, che s’innamora di lei. Anche Lara, del resto, è attratta dal giovane medico. Ma comincia la Rivoluzione, e gli eventi travolgono i due giovani costringendoli a separarsi prima che i loro sentimenti reciproci si siano chiariti.

 

Tornato a Mosca, Zivago trova il palazzo dei Gromeko diviso dalle autorità comuniste fra numerose famiglie proletarie, e assiste al dilagare della fame e delle malattie per effetto della guerra civile scatenata dalle forze controrivoluzionarie e dall’intervento straniero; e benché abbia sempre ritenuto giuste le rivendicazioni delle classi oppresse, è profondamente turbato dalle sofferenze che il nuovo stato di cose infligge alla popolazione e alla sua famiglia e dall’ostilità che gli dimostrano i rivoluzionari, che non amano la sua indipendenza di pensiero e giudicano “individualista” e “borghese” la sua poesia.

 

Evgràf, suo fratellastro e commissario di polizia (che ammira Zivago e gli vuol bene, sebbene condivida la diffidenza dei comunisti nei suoi confronti) lo esorta a fuggire da Mosca e a rifugiarsi nella tenuta di famiglia di Varýkino, sui monti Urali, dove Zivago e i suoi cari giungono dopo un lungo e drammatico viaggio in treno attraverso la Russia devastata, durante il quale s’imbattono nel comandante Strél’nikov (“braccio armato” del governo bolscevico, che su un treno blindato percorre la Russia massacrando i nemici della Rivoluzione) e scoprono che egli non è altri che Paša Antipov, che al trionfo del comunismo ha ormai deciso di sacrificare la sua vita privata e i suoi sentimenti.

 

A Varýkino il dottor Zivago, venuto a sapere che Lara ha trovato rifugio con la figlia nella vicina città di Jurjatin, cede al desiderio di rivederla all’insaputa di Tonja. Così, per qualche mese, mentre la rivoluzione e la guerra si allontanano, sembra che l’amore fra Jurij e Lara non incontri più ostacoli. Ma un giorno, recandosi da lei, Zivago viene catturato dai partigiani impegnati in azioni di guerriglia contro le armate dei Bianchi, e per due anni è costretto a seguirli in qualità di medico.

 

Quando riesce a disertare e torna a Varýkino, scopre che i Gromeko sono stati esiliati in Francia. Zivago potrebbe raggiungerli, ma a Jurjatin ritrova Lara e Katja e decide di andare a vivere con loro a Varýkino, dove i due innamorati trascorrono un breve periodo di felicità e Zivago scrive le sue poesie più belle. Ma un nuovo pericolo incombe su di loro: finita la guerra civile, chi non mirava che al potere dà inizio a un feroce regolamento di conti contro quelli che hanno invece generosamente combattuto per la Rivoluzione e vorrebbero impegnarsi con la stessa umanità e dirittura morale nella realizzazione della nuova Società: Strél’nikov, caduto in disgrazia, viene condannato a morte, e Lara, che è pur sempre sua moglie e convive con un intellettuale inviso al nuovo regime, rischia la vita al pari di lui.

 

È l’infido e violento Komarovskij ad avvisarli. Proprio lui, un nemico del proletariato, un affarista senza scrupoli che al tempo dello zar aveva contatti con la polizia segreta, è riuscito a rendersi gradito al governo bolscevico e viene a proporre a Lara e a Zivago di salvarsi con il suo aiuto. Zivago non può acconsentire ad affidarsi a un individuo simile, ma gli permette di mettere in salvo Lara; e le lascia sperare, poiché lei non vorrebbe partire senza di lui, che la raggiungerà appena gli sarà possibile. Invece rimane a Varýkino, e dalla casa ormai deserta, “con tutta l’anima fissa verso il punto lontano nello spazio” dove la slitta di Komarovskij sta per scomparire, vede Lara per l’ultima volta.

 

Molti anni dopo, Zivago muore in una via di Mosca e Lara scompare in un campo di lavoro. Ma è ancora viva la figlia che hanno avuto a Varýkino, Tanja, che Zivago non ha potuto conoscere; ed Evgràf, il fratellastro di Zivago che frattanto è diventato un alto esponente del regime stalinista, decide di rintracciarla e di prendersi cura di lei.

 

Questa, in sintesi, è la trama de Il dottor Zivago, unico romanzo dello scrittore russo Borìs Pasternàk, pubblicato in Italia nel novembre del 1957 dall’editore comunista Giangiacomo Feltrinelli dopo che il regime sovietico aveva negato all’autore il permesso di stamparlo in patria.

 

Nato a Mosca nel 1890, morto a Peredelkino, nella campagna di Mosca, nel 1960, Borìs Leonìdovic Pasternàk era figlio di artisti (la madre era una famosa pianista, il padre un pittore di talento) e da bambino ricevette un’educazione raffinata ed ebbe spesso occasione di frequentare persone di elevata cultura. Dopo gli studi di filosofia a Mosca e in Germania entrò a far parte, giovanissimo, del gruppo di poeti futuristi “Centrifuga”, e nel ’14 e nel ’17 pubblicò le prime raccolte di poesie, Il gemello nelle nuvole e Oltre le barriere, d’impronta chiaramente simbolista. Ma le opere che lo rivelarono come un poeta nuovo e originale furono le raccolte Mia sorella la vita, del ’22, e Temi e variazioni, del ’23. Poi, durante lo stalinismo e la Seconda guerra mondiale e fino al 1953 (anno della morte di Stalin, quando pubblicò le raccolte La seconda nascita e Poesie) di Pasternàk non apparvero che traduzioni di Shakespeare e di altri classici inglesi: un lungo e doloroso silenzio, durante il quale il poeta dovette subire, a rischio della libertà e della vita, le violente pressioni del potere e gli attacchi delle riviste letterarie di propaganda.

 

Per Il dottor Zivago, un anno dopo l’avventuroso “contrabbando” dell’opera in Occidente e la pubblicazione da parte di Feltrinelli, Borìs Pasternàk ricevette il Premio Nobel. Ma le autorità comuniste (benché il regime avesse pubblicamente riconosciuto i crimini del periodo staliniano e dichiarato di voler avviare un processo riformatore) gli chiesero di rifiutarlo sostenendo che il romanzo e lui stesso erano divenuti gli strumenti di una manovra propagandistica contro l’Unione Sovietica. E Pasternàk, per amore del suo Paese, si sottomise all’assurda richiesta e non si recò a Stoccolma.

 

Morì tre anni dopo, mentre Il dottor Zivago veniva tradotto in tutte le lingue del mondo.

 

Il film tratto da Il dottor Zivago (finanziato dalla Metro Goldwyn Mayer dopo che il produttore italiano Carlo Ponti le ebbe ceduto i diritti sul romanzo) non poté essere realizzato nell’Unione Sovietica. Pertanto ― dato che per la realizzazione di un film ad altissimo costo la Spagna ancora controllata dalla dittatura franchista, non meno antidemocratica di quella del Partito comunista dell’URSS., era più economica di Hollywood e meno a rischio di scioperi di Cinecittà) Il dottor Zivago fu girato in un’area di oltre quarantamila metri quadrati nelle vicinanze dell’aereoporto di Madrid.

 

Lì, nella meticolosa e affascinante ricostruzione delle vie e dei palazzi di Mosca (uno dei set più colossali della Storia del Cinema, progettato da John Box e da altri tecnici che avevano già lavorato con David Lean per la realizzazione di Lawrence d’Arabia) furono impiegati per oltre due anni quasi ottocento operai specializzati. Mentre, per le scene in esterni, l’intera troupe si trasferì in Canada e in una località della Finlandia orientale, non lontano dalla frontiera russa, dove gli abitanti del luogo, con temperature di trenta gradi sotto zero, parteciparono come “comparse” alle scene di massa.

 

Il dottor Zivago, infatti, doveva essere uno straordinario esempio di quello che tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 era chiamato il genere kolossal, e il regista David Lean era considerato il migliore al mondo, per questo tipo di film.

 

Nato nel 1908 nel Surrey, in Gran Bretagna, David Lean era stato allevato in una casa di rigida tradizione quacchera, era entrato nel mondo del cinema come assistente al montaggio e nel giro di dieci anni era diventato il montatore più pagato d’Inghilterra. Finché, nel ’42, Noël Coward (uomo di teatro e di cinema, attore, autore drammatico e compositore) gli chiese di dirigere con lui Eroi del mare, e da questo esordio ebbe inizio la realizzazione, da parte di Lean, di una serie di film di successo: Spirito allegro e Breve incontro (entrambi del ’45); Grandi speranze, del ’46, e Le avventure di Oliver Twist, del ’48 (tratti da due celebri romanzi di Charles Dickens); e poi i kolossal: Il ponte sul fiume Kwai (’57), Lawrence d’Arabia (’62), La figlia di Ryan (’70) e Passaggio in India, del 1984, con cui si concluse la sua carriera.

 

È morto nel 1991.

Il commento di Luigi Scialanca

 

Lara, naturalmente, è l’immagine della Russia. Anzi: poiché Il dottor Zivago è un’opera di valore universale, Lara è l’immagine di ogni Società e dell’Umanità intera. Offesa e stuprata dal vile Komarovskij sotto l’antico regime, è l’immagine di tutti quelli che son trattati come se non fossero umani da chi umano non vuol restare. Sposata e resa madre, quando i comunisti si ergono contro l’oppressione e la violenza dello zar e dell’aristocrazia, dal giovane rivoluzionario Paša Antipov (benché Lara non sia certa di amarlo e neanche di poter fidarsi di lui) è l’immagine della trepidante speranza con cui i popoli hanno sempre accolto chi si proponeva loro come avversario dei nemici dell’Umanità. Abbandonata quando Paša diventa il gelido e feroce Strél’nikov (cioè quando il comunismo si disumanizza in una religione e i comunisti, impazziti, in inquisitori che tentano di forzare gli esseri umani entro i rigidi schemi della loro fede) è l’immagine della delusione e della solitudine di tutti quelli che nel corso del tempo hanno visto deteriorarsi e svanire, nei genitori e negli amanti come nei maestri e nei paladini, la bellissima realizzazione umana che per un momento avevano intravisto in loro. Infine, ripresa e fatta sparire dall’ignobile Komarovskij quando gli antichi violentatori ricompaiono travestiti da “compagni”, massacrano i rivoluzionari e ricominciano a opprimere e sfruttare, Lara è l’immagine della tragica sconfitta e degli orrori a cui da sempre va incontro ogni progetto di cambiamento così poco affettivo, e così poco sapiente della nostra umanità, da non intervenire su di noi altrimenti che coi dogmi e la costrizione.

 

Sconfitta e orrori di cui non sono responsabili solo i nemici dell’Umanità come Komarovskij, ma anche i generosi rivoluzionari come Paša Antipov, quando anch’essi tradiscono e pervertono la bellezza degli ideali originari poiché, non amando, non capendo e non conoscendo abbastanza gli esseri umani, commettono errori che sono come varchi, aperti nelle loro stesse menti e nella nuova Società in costruzione, in cui è lesto a penetrare il disumano dei Komarovskij. E i Paša se ne accorgono, vedono i Komarovskij infiltrarsi nel “mondo nuovo” e renderlo ogni giorno più simile al vecchio, ma non si rendono conto di averli anche dentro di sé. Ed è proprio questo che li fa impazzire, li fa sbagliare sempre di più, e infine li consegna al fallimento o, peggio, li rende altrettanto disumani dei propri avversari.

 

Ma la follia e i crimini degli Strél’nikov non devono farci dimenticare che essi, un tempo, furono i Paša, mentre i Komarovskij furono sempre i Komarovskij: quelli, cioè, che iniziano ad aggredire le menti dei Paša quando essi sono ancora bambini, che ostacolano e rovinano tutto ciò che i Paša tentano di valido, e che in ultimo li fanno impazzire o tentano di sopprimerli. Non c’è più niente, nei Komarovskij, degli esseri umani che anch’essi furono quando vennero al mondo; mentre negli Strél’nikov, invece, fino al giorno in cui vengono giustiziati da chi ha fatto loro la posta per tutta la vita, qualcosa dei Paša di un tempo rimane sempre. E Pasternak, infatti, nelle ultime pagine del romanzo, fa incontrare Strél’nikov con Zivago (una scena che nel film non c’è, purtroppo) e pronunciare, a proposito di Lara (cioè della Russia, cioè dell’Umanità, cioè di tutti noi) parole che un Komarovskij non capirebbe nemmeno:

 

“Il mio era il mondo della periferia cittadina,” dice a Zivago il Paša che ancora sopravvive in Strél’nikov, “il mondo dei depositi ferroviari e dei casermoni operai. Sudiciume, mancanza di spazio, miseria, il disprezzo per i lavoratori, le donne oltraggiate. Era la sghignazzante, impunita insolenza della corruzione, dei figli di papà, [...] dei mercanti. Rispondevano alle lacrime e ai lamenti dei derubati, degli offesi, delle donne violentate, con una battuta di spirito, o con uno scatto di sprezzante irritazione. La beata serenità dei parassiti, che si distinguevano solo per non essersi mai dati pensiero di niente, per non aver mai cercato niente, non aver mai dato né lasciato niente al mondo! E noi invece [...] abbattevamo le montagne per coloro che amavamo. E, benché non si sia riusciti che a farli soffrire, non abbiamo torto loro un capello, ché eravamo ancora più martiri di loro. [...] Scoppiavano rivoluzioni, giovani pieni d’abnegazione salivano sulle barricate. Gli scrittori si stillavano il cervello per sferzare l’animalesca sfacciataggine del denaro ed elevare e difendere l’umana dignità dei poveri. E venne il marxismo, che vide dov’era la radice del male, dove era il mezzo per guarirlo e diventò la forza motrice del secolo. [...] Com’era bella lei allora, al ginnasio! Non potete immaginarlo! [...] Era una ragazza, una bambina, ma nel suo viso, nei suoi occhi già si leggeva un pensiero ansioso, l’inquietudine della sua epoca. Tutti i motivi del secolo, le sue lacrime e le sue offese, i suoi impulsi, la sua sete di vendetta accumulata da tempo e il suo orgoglio erano scritti nel volto e nel portamento di lei, in quella sua mescolanza di timidezza virginale e di grazia ardita. L’accusa a quell’epoca si poteva rivolgere in nome di lei, con le sue labbra. [...] E così, vedete, tutto quel secolo diciannovesimo con le sue rivoluzioni a Parigi, [...] tutto il movimento operaio del mondo, tutto il marxismo nei parlamenti e nelle università d’Europa, tutto il nuovo sistema d’idee, [...] tutta la [...] spietatezza elaborata in nome della pietà, tutto questo assorbì in sé ed espresse con tutto sé stesso, sintetizzandolo, Lenin, per scagliarsi, come la personificazione della vendetta, sul vecchio mondo contro ogni nequizia. [...] Per quella ragazza sono andato all’università, per lei sono diventato professore e sono andato a insegnare a Jurjatin. [...] Ho divorato un monte di libri e acquistato un’infinità di cognizioni per essere utile a lei, per trovarmi pronto se avesse avuto bisogno del mio aiuto. [...] E mi sono buttato nella rivoluzione per vendicare tutto ciò che lei aveva sofferto, per cancellare ogni traccia dei suoi tristi ricordi, perché non fosse più possibile tornare al passato!”

 

Così pensano e parlano i rivoluzionari come Paša (illuministi o comunisti, borghesi o proletari che siano) mentre i Komarovskij approfittano dei loro errori (e di quelli di Marx e di Lenin, che dopo tutto non han visto, non fino in fondo, “dove siano la radice del male e il mezzo per guarirlo”) per disumanizzarsi sempre più e conservare il potere e le ricchezze che gliene derivano. E se è vero che l’Umanità, come Lara, per gli errori dei Paša tragicamente soffre, è anche vero che sono i Paša, pur se falliti in partenza e incapaci di non deludere e di non far soffrire e morire, quelli che si fanno strada tra due ali di folla anaffettiva o intimidita e combattono per Lara contro i Komarovskij, quando è il momento di farlo.

 

Ma poi, se vogliamo che le sconfitte, le delusioni e le tragedie non si ripetano e che i Komarovskij non possano più dire, a Lara e a noi, che esse sono il segno che nient’altro è possibile, che dobbiamo rassegnarci all’esistente e perfino ringraziare Dio per quel poco di umano che i Komarovskij si degnano di lasciarci, è necessario che immaginiamo una realizzazione molto più valida di quella di Paša.

 

È necessario, cioè, che pensiamo a Zivago.

 

Poiché, se Lara e Paša e Komarovskij sono immagini di moltitudini di esseri umani come sono stati e sono, Jurij Zivago, medico e artista e innamorato ― Uomo, cioè, che ama e crea e sa ― è l’essere umano come poteva e può essere in tutti e in ognuno. Ecco perché Zivago è il solo che non abbandona Lara né mai la delude: incantato dal presentimento di come il mondo sarebbe se, per la prima volta nella Storia, Lara (cioè la Russia, cioè l’Umanità, cioè tutti noi) potrà essere secondo l’umana natura, Zivago le offre un rapporto tra uomo e donna che è una prima realizzazione di quel mondo pienamente umano.

 

E di Lara, infatti, scrive così:

 

L’alba

 

Tutto significavi tu nel mio destino.

Poi venne la guerra, lo sfacelo,

e per tanto, tanto tempo, di te

non una notizia, non una parola.

 

E dopo tanti, tanti anni

di nuovo la tua voce mi ha turbato.

Tutta la notte ho letto il tuo messaggio

riprendendomi come da un deliquio.

 

Ho voglia d’andare fra la gente, nella folla,

fra la loro animazione mattutina.

Sono pronto a mandare tutto in schegge

e a mettere tutti in ginocchio.

 

E corro giù per la scala,

come se uscissi per la prima volta

su queste strade di neve,

sul lastrico deserto.

 

Dovunque ci si alza, luci e intimità,

e chi prende il tè, chi s’affretta ai tram:

bastano pochi minuti

e la città ha tutto un altro volto.

 

Nei portoni la tormenta tesse

una rete di fiocchi fitti fitti,

e per fare in tempo tutti corrono,

senza finir di bere e di mangiare.

 

Io per loro, per tutti sento

come se fossi nella loro pelle,

anch’io mi sciolgo come si scioglie la neve,

anch’io come il mattino aggrotto le ciglia.

 

È con me gente senza nome,

alberi, bambini, persone casalinghe.

Da loro tutti io sono vinto,

e solo in questo è la mia vittoria.

 

Da loro tutti io sono vinto, e solo in questo è la mia vittoria: l’amore di Zivago per Lara è l’amore per cui nessuno sarebbe più Komarovskij; e senza Komarovskij, come sarebbero più Strél’nikov i Paša?

 

Anche se la conclusione, purtroppo, è pessimista: per la promessa di Gesù di risorgere, con cui si conclude il romanzo, e per l’arcobaleno che compare nell’ultimo fotogramma del film.

 

(I brani dell’ultimo dialogo fra Strél’nikov e Zivago, tradotti dal russo da Pietro Zveteremich, e la poesia L’alba, tradotta da Mario Socrate, sono tratti dall’edizione Einaudi del 1969).

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(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media.

Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto... semplicistiche.

Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e non dimenticare di citarne l’autore!)

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