Nella piana di Ostuni,

non lontani dal mare,

I GRANDI ULIVI,

legni mostruosi

intrecciati di dolore infinito

come corpi squartati

inglobano ricordi di pietra

e raccontano storie.

Presenti, come immensi attori tragici

sul palcoscenico della grande pianura

le braccia aperte al cielo

incatenati alla terra da coturni millestringhe:

intricate arterie calcinate,

spaccati, tagliati, piegati

ma ANCORA VIVI

legati allo stesso destino di Giobbe

senza maledire la sorte

resistono in piedi nei secoli insonni

come se avessero un compito

da ricordare e da compiere.

L’ULIVO

l’urlo arboreo di Munch!

(Eclario Barone)

Nel cielo grigio di pioggia

ci sporgiamo dal bordo di una città come altre

e ci appare MATERA.

Lo sguardo non è pronto al paesaggio

e spazia e si concentra e chiede aiuto agli altri sensi

benché tutto ci dica che è un SOGNO.

Sogno di pietra naturale

lavorata dal fiume, dal vento e dall’uomo

in continuità di forme e di ambienti,

Torre di Babele silenziosa prima del caos

come in attesa del fuoco divino

o di un bacio

e intanto, mansueto elefante,

si lascia lavare e bardare

per la festa degli stranieri milleautobus.

Negli occhi passa tutta la sua storia

che racconta di monaci greci in fuga

- preziose icone salvate a costo della vita –

e occhi bianchi e neri di bimbi e di madri

impressi nel cuore di Carlo Levi

e poi urlati in un libro – parole come pietre -

che hanno inciso il nome di Matera

sulla pelle del mondo

a sua imperitura memoria.

(Eclario Barone)