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La Gioia, la Fiducia e la Sfida tra l'adulto e il Bambino

 

Joel Balkan, Assalto all'Infanzia

 

Alice Miller

 

La persecuzione del bambino

 

Le radici della violenza

 

(Am Anfang war Erziehung, 1980. Ia ediz. italiana, 1987. Ristampa novembre 2003)

 

traduzione dal tedesco di Maria Anna Massimello

 

Bollati Boringhieri Editore, Torino

 

La Persecuzione del Bambino

 

     Alle radici della violenza c’è la persecuzione dei bambini?     

"La persecuzione del bambino - Le radici della violenza", di Alice Miller, Bollati Boringhieri editore

È del tutto naturale che l’anima voglia avere una volontà propria e, se non si è lavorato con cura nei primi anni, in seguito la meta sarà più difficile da raggiungere. Questi primi anni presentano, tra l’altro, anche il vantaggio che si può far uso di violenza e di mezzi di costrizione. Con il passare degli anni, i bambini dimenticano tutto ciò che è loro occorso nella prima infanzia. Se si riesce a privarli della loro volontà in quel periodo, poi essi non ricorderanno mai più di averne avuta una.

 

Johann Sulzer (1748)

 

 

In particolare non trascuravano mai di ricordarmi che era mio dovere obbedire immediatamente ai desideri e agli ordini dei genitori, dei maestri, dei preti, ecc., insomma di tutti gli adulti, anche quando si trattava di servigi personali, e che non mi era lecito rifiutare. Ciò che dicevano gli adulti era sempre giusto. Questi fondamenti pedagogici sono diventati una parte di me stesso.

 

Rudolf Höss, comandante ad Auschwitz (1958)

 

 

L’opinione pubblica è ancora ben lontana dall’essere consapevole che tutto ciò che capita al bambino nei suoi primi anni di vita si ripercuote inevitabilmente sull’intera società, che psicosi, droga e criminalità sono l’espressione cifrata delle primissime esperienze. (...) Poiché non credo nell’efficacia delle ricette e dei consigli, ritengo che il mio compito non stia tanto nel lanciare appelli ai genitori affinché trattino i figli in modo diverso da quello che è loro possibile, quanto piuttosto nell’informare, mediante immagini capaci di agire sui sentimenti, il bambino che è presente in ogni adulto. Finché a quest’ultimo infatti non è permesso di accorgersi di ciò che gli è accaduto in passato, una parte della sua vita affettiva rimarrà congelata e di conseguenza la sua sensibilità per le mortificazioni cui si sottopongono i bambini rimarrà attutita.

 

Alice Miller (1980)

Noi ammiriamo coloro che oppongono resistenza negli Stati a regime totalitario, perché pensiamo: ecco, loro hanno coraggio o una “salda moralità”, oppure sono rimasti “fedeli ai propri princìpi”, o cose del genere. Altri invece possono anche considerarli ingenui e pensare: “Non si accorgono che le loro parole contro ogni potere oppressivo non serviranno a nulla?”...

Probabilmente però entrambi, sia coloro che ammirano tale atteggiamento che quelli che lo disprezzano, non intravedono il punto essenziale: il singolo individuo che rifiuta di adattarsi a un regime totalitario non lo fa per senso del dovere o per ingenuità, ma perché non può fare a meno di restare fedele a sé stesso...

Moralità e compimento del proprio dovere sono delle protesi che si rendono necessarie se manca qualcosa di essenziale. Quanto più completo è stato lo svuotamento dei sentimenti avvenuto nell’infanzia, tanto più agguerrito ha da essere l’arsenale di armi intellettuali e la riserva di protesi morali... Ma un individuo dotato di sentimenti può essere soltanto sé stesso. Non ha altra scelta, se non si vuole perdere. Le ripulse, l’essere messo al bando, la perdita d’amore e le ingiurie che deve subire non lo lasciano indifferente; ne soffrirà e ne avrà paura, e tuttavia non vorrà perdere il suo Sè, una volta che l’abbia trovato. E quando senta che gli si richiede qualche cosa a cui l’intero suo essere dice No, non lo potrà fare. Semplicemente non potrà.

Questo succede a chi ha avuto la fortuna di essere certo dell’amore dei genitori, anche se ha dovuto dire No a certe loro richieste.

 

(Parte prima, L’educazione come persecuzione di ogni elemento vitale.

Cap. 1, La pedagogia nera, pagg. 73-74)

 

 

I consigli che si danno per l’educazione dei bambini rivelano più o meno chiaramente la presenza di molteplici bisogni dell’adulto, di natura molto varia, il cui soddisfacimento non solo non è salutare per la crescita vitale del bambino, ma addirittura la ostacola. Questo vale anche per i casi in cui l’adulto è onestamente convinto di agire nell’interesse del bambino.

Fra tali bisogni rientrano:

1. Il bisogno inconscio di trasmettere a qualcun altro le umiliazioni vissute in passato;

2. Il bisogno di trovare una valvola di sfogo per gli affetti respinti;

3. Il bisogno di possedere un oggetto vivente sempre disponibile e manipolabile;

4. La necessità di mantenere l’autodifesa, vale a dire il bisogno di conservare l’idealizzazione della propria infanzia e dei propri genitori, cercando attraverso la giustezza dei propri principi educativi una conferma di quelli dei genitori;

5. La paura della libertà;

6. La paura del ritorno del rimosso, che si ripresenta nuovamente nel proprio figlio e che ancora una volta si deve combattere, dopo averlo già annientato in sé stessi;

7. E infine la vendetta per le sofferenze patite.

(...)

Questo però non significa che il bambino debba crescere come un piccolo selvaggio. Egli ha bisogno essenzialmente di rispetto da parte delle sue persone di riferimento, di tolleranza per i suoi sentimenti, di sensibilità per i suoi bisogni e per le offese che riceve, e di onestà da parte dei genitori, la libertà dei quali – e non le riflessioni educative – provvederà poi a porre al bambino dei limiti naturali.

Ma è proprio quest’ultimo punto a creare le maggiori difficoltà a genitori ed educatori, per i seguenti motivi:

1. Se i genitori hanno dovuto imparare molto presto nella loro vita a ignorare i propri sentimenti, a non prenderli sul serio, anzi a disprezzarli o a deriderli, allora verrà loro a mancare la sensibilità necessaria per orientarsi nel rapporto con i figli. In sua sostituzione essi cercheranno di applicare, come una protesi, i princìpi educativi. Avranno, per esempio, paura talvolta di mostrarsi affettuosi con loro pensando di viziarli...

2. Quei genitori che non hanno imparato da bambini ad avvertire bisogni propri e a difendere i propri interessi, visto che non era stato loro accordato il diritto di farlo, rimarranno per tutta la vita privi di orientamento e perciò si aggrapperanno a norme educative fisse. Questa mancanza di orientamento però, nonostante tutte le varie norme, porta a rendere molto insicuro il bambino...

(...) Per i sensi di colpa che gli derivano dalle punizioni somministrate ingiustamente, (un padre severo) diventa (ogni tanto) all’improvviso insolitamente tollerante, suscitando l’inquietudine del bambino, che non regge l’incertezza su quale sia il vero volto del padre, e che perciò lo provoca con crescente aggressività a perdere alla fine la pazienza... E simili situazioni – in cui il bambino ha “passato ogni limite” servono poi ai pedagoghi per dimostrare la necessità della disciplina e dei castighi.

(...)

4. Una situazione analoga si verifica quando i bambini vengono addestrati rigidamente, come succedeva nell’educazione “antiautoritaria” degli anni ’60, ad assumere un determinato comportamento che i genitori avevano un tempo desiderato essi stessi di poter manifestare... I bisogni autentici del bambino possono così essere completamente ignorati. In un caso a me noto, un bambino che era triste venne per esempio incoraggiato a rompere un bicchiere in un momento in cui lui avrebbe invece preferito arrampicarsi in braccio a sua madre. I bambini che si sentono continuamente incompresi e manipolati in questo modo divengono effettivamente confusi e sviluppano una ben motivata aggressività.

 

(Cap. 2, Esiste una pedagogia bianca?, pagg. 85-87)

 

 

Oggi queste persone soffrono quando “scappa loro la mano”, quando per una costrizione a loro stessi incomprensibile, per un’inesplicabile disperazione hanno rimproverato, umiliato o picchiato il figlio, vedono scorrere le sue lacrime e sentono che non sono capaci di agire altrimenti e che la prossima volta succederà la medesima cosa. E non potrà mancare di succedere finché essi continueranno a idealizzare la storia della propria infanzia.

(...)

Nella vita della maggior parte della gente si possono individuare le seguenti singole tappe:

1. Subire da piccoli delle ferite che nessuno considera tali;

2. Non reagire con ira al dolore;

3. Mostrare riconoscenza per essere – come si dice  “beneficati”;

4. Dimenticare tutto;

5. In età adulta, scaricare su altre persone tutta la rabbia immagazzinata, o dirigerla contro di sé.

 

(Parte seconda, L’ultimo atto del dramma silenzioso: il mondo intero è agghiacciato.

Cap. 3, Introduzione, pagg. 93-94)

 

 

Succede molto spesso che i genitori riescano a ottenere un tale successo con i numerosi metodi usati per addomesticare il loro bambino che, fino alla pubertà, lui non crea loro alcun problema... Nella Gabbia d’oro (1978) di Hilda Bruch i genitori di figlie anoressiche raccontano come le loro figliole fossero state un tempo bambine dotate, riuscite, ben curate, capaci di mietere successi, ben adattate e rispettose, e non riescono a capire il loro repentino mutamento.

 

(Cap. 4, La guerra di annientamento contro il Sé, pag. 96)

 

 

Ero seduta nel parco di una città a me sconosciuta. Sulla panchina accanto a me venne a sedersi un anziano signore che, come mi raccontò più tardi, aveva già raggiunto la bella età di ottantadue anni. Fui colpita dal modo rispettoso e interessato con cui egli parlava con i bambini che giocavano nel parco e attaccai discorso con lui, che mi raccontò delle sue esperienze sul fronte durante la prima guerra mondiale. “Lei deve sapere – mi disse – che io ho un angelo custode che mi sta sempre vicino. Tante volte ho visto tutti i miei compagni cadere colpiti da granate o da bombe, mentre io, benché fossi accanto a loro, sono rimasto in vita e non ho riportato neppure una ferita.” Non è importante che le cose siano andate effettivamente come lui diceva, ma ciò che quell’uomo raccontava era un’espressione del suo Sé, di una grande fiducia nel suo destino. Per cui non mi stupì che, alle mie domande riguardo ai suoi fratelli, rispondesse: “Sono tutti morti; io ero l’ultimogenito.” Disse che sua madre aveva “amato la vita”: a volte lo svegliava presto la mattina, per recarsi insieme a lui a sentire il canto degli uccelli nel bosco, prima che lui andasse a scuola. Quelli erano i suoi ricordi più belli. Allorché gli domandai se egli fosse mai stato picchiato, rispose: “No, mai; forse a mio padre scappò qualche ceffone, tuttal più, e questo mi faceva arrabbiare tutte le volte; ma non lo faceva mai in presenza di mia madre, la quale non lo avrebbe mai permesso. Una volta, però – continuò il vecchio signore – venni picchiato selvaggiamente... dal mio maestro. Nelle prime tre classi ero il primo della classe; nella quarta invece ho cambiato maestro. Costui mi accusò una volta di un fatto che non avevo commesso. Allora mi portò nella sua stanza e mi riempì di botte, mentre intanto urlava come un ossesso: ‘Adesso la dici o no la verità?’ Ma come potevo fare? Avrei dovuto mentire per lui, ma era una cosa che fino a quel momento non avevo mai fatto, perché non avevo bisogno di aver timore dei miei genitori. Perciò sopportai le percosse per un buon quarto d’ora, ma d’allora in poi non provai più alcun interesse per la scuola e divenni un pessimo allievo. Mi sono spesso rammaricato di non aver preso la licenza di scuola superiore. Ma credo di non aver avuto allora altra scelta.

Si direbbe che quest’uomo sia stato trattato da sua madre, quand’era bambino, con un tale rispetto che gli rese possibile in seguito vivere e rispettare i propri sentimenti. Per questo egli si accorse di provare ira nei confronti di suo padre quando a quest’ultimo “scappava un ceffone”, si accorse che il maestro voleva umiliarlo e forzarlo a dire una bugia e provò anche il lutto per il fatto di aver dovuto pagare la sua integrità e la fedeltà verso sé stesso con la rinuncia alla propria formazione culturale, perché per lui allora non esisteva altra possibilità.

 

(Cap. 5, L’infanzia di Hitler, pagg. 151-152)

 

 

Qualcuno obietterà, forse: se dovesse diventare un assassino chiunque sia stato maltrattato da bambino, allora quasi tutti gli uomini sarebbero tali. In un certo senso, questo è vero. Tuttavia le questioni non sono così semplici, quando si tratta di esseri umani; noi non sappiamo mai come vorrà o dovrà agire un bambino nei confronti delle ingiustizie patite, perché esistono infinite “tecniche” per venirne a capo. Ma soprattutto non sappiamo ancora quale aspetto potrebbe assumere il mondo, se i bambini potessero crescere senza subire umiliazioni, se venissero rispettati come esseri umani e presi sul serio dai genitori. Personalmente comunque non conosco nessuno che da bambino abbia goduto di un simile rispetto e che poi da adulto abbia mai avvertito il bisogno di uccidere altri esseri umani... Con “rispetto del bambino” non intendo però assolutamente la cosiddetta educazione antiautoritaria, in quanto essa è un indottrinamento del bambino e perciò ne disprezza il mondo interiore più autentico.

 

(Cap. 5, pagg. 158-159)

 

 

Negli scritti pedagogici si trova spesso ribadito il consiglio di non “viziare” i bambini con troppo amore ed eccessivi riguardi (atteggiamento che viene definito “amore cieco”) ma fin dal principio temprarli alla giusta vita. Gli psicoanalisti si esprimono in altri termini, per esempio sostengono che “si dovrebbe preparare il bambino a tollerare le frustrazioni”, come se un bambino non potesse impararlo poi da sé, durante la vita. In fondo è vero il contrario: il bambino che abbia ricevuto a suo tempo affetto genuino può cavarsela, da adulto, molto meglio di un altro che non ne abbia mai ricevuto veramente.

 

(Cap. 5, pag. 166)

 

 

Coloro che perseguitano gli altri lo fanno per difendersi dalla consapevolezza di essere vittime loro stessi.

 

(Cap. 5, pag. 177)

 

 

Il padre di un analizzando che aveva anche lui alle spalle un’infanzia molto difficile, senza aver mai avuto la possibilità di parlarne, tormentava talvolta in modo terribilmente crudele suo figlio, in cui continuava a rivedere sé stesso Né lui nè il figlio si erano però mai resi conto di tale crudeltà, perché entrambi la consideravano una “misura educativa”. Quando venne in analisi, afflitto da gravi sintomi, il figlio era molto “grato” al padre per la rigida educazione e per la “severa disciplina” – per usare le sue parole – impartitegli. Il figlio, che si era iscritto alla Facoltà di Pedagogia, durante la sua analisi scoprì gli scritti antipedagogici di Ekkehard von Braunmühl, e ne rimase entusiasta. In quel periodo andò a trovare il padre e si rese conto per la prima volta con grande lucidità di come quest’ultimo lo offendesse in continuazione, non dandogli affatto retta mentre parlava, oppure deridendo e volgendo in ridicolo tutto ciò che lui diceva. Quando suo figlio glielo fece notare, il padre – che era professore di pedagogia – gli disse in tutta serietà: “Di questo mi puoi essere grato. Nella tua vita dovrai sopportare ancora spesso che non ti si presti attenzione o che non si prenda sul serio ciò che dici. In questo modo ci sarai già abituato, se l’hai imparato da me. Ciò che s’impara da giovani, rimane impresso per tutta la vita.” Il figlio, allora ventiquattrenne, rimase del tutto confuso da tale risposta. Quante volte, in passato, aveva già udito osservazioni del genere senza mai metterne in discussione la veridicità! Ma quella volta fu preso da un impeto di sdegno e citò una frase che aveva letto in Braunmühl. Esclamò: “Se vuoi continuare a educarmi con questi princìpi, tanto vale che tu mi uccida addirittura, perché una volta o l’altra dovrò ben morire. Sarebbe il modo migliore per prepararmici!” Il padre lo rimproverò di essere un impertinente e di volerla sapere troppo lunga, ma per il figlio quella fu un’esperienza veramente decisiva.

 

(Cap. 6, Jürgen Bartsch: retrospettiva di una vita, pagg. 180-181)

 

 

Ognuno deve trovare la propria forma di aggressività, se non vuole farsi trasformare in un’obbediente marionetta manovrata da altri. Solo colui che non si lascia ridurre a strumento della volontà altrui può soddisfare i propri bisogni personali e difendere i propri diritti legittimi. Ma questa forma accettabile e appropriata di aggressività rimane preclusa a molti individui che da bambini sono stati cresciuti nell’assurda credenza che un essere umano possa nutrire costantemente solo pensieri amorevoli, buoni e pii, e allo stesso tempo essere autentico e sincero.

 

(Cap. 10, L’ira non vissuta, pag. 238)

 

 

Quasi in tutti i vecchi libri di pedagogia si spiega anzitutto come si debba combattere contro l’ostinazione e la tirannia del lattante e come punire nel modo più severo la testardaggine dei bambini piccoli. I genitori che a suo tempo vennero tirannizzati sulla base di simili consigli hanno fretta di scaricarsi il più presto possibile su un oggetto sostitutivo, e rivivono nell’ira del proprio figlio il proprio padre tirannico, che però è ora finalmente alla loro mercé.

 

(Cap. 10, pag. 240)

 

 

Ovunque io volga lo sguardo, trovo il comandamento di rispettare i genitori e mai quello di rispettare i bambini.

 

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La Gioia, la Fiducia e la Sfida tra l'adulto e il Bambino

 

Joel Balkan, Assalto all'Infanzia

 

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Alice Miller

 

Alice Miller

Alice Miller

(dal sito http://www.alice-miller.com/index_en.php)

 

Alice Miller, psicoanalista e saggista, si è occupata prevalentemente di psicologia delletà evolutiva e delle negative conseguenze personali e sociali causate dagli abusi psicofisici inflitti ai bambini, in particolare nella famiglia.

 

Nata in Polonia nel 1923, Alice Miller emigrò nel 1946 in Svizzera, dove conseguì la laurea e il dottorato in filosofia, psicologia e sociologia a Basilea, nel 1953. Successivamente, a Zurigo, intraprese e portò a termine la formazione come psicoanalista.

 

Dopo circa ventanni di pratica psicoanalitica, nel 1980 abbandonò questo tipo di attività terapeutica dedicandosi alla scrittura di saggi; e tale svolta, dovuta a una riflessione critica sul metodo psicoanalitico nella sua applicazione concreta, la portò, nel 1988, ad abbandonare la Società Internazionale di Psicoanalisi. Nel 1986 fu insignita del premio Janus Korczak dalla lega americana contro la diffamazione degli Ebrei. Ha due figli, un maschio e una femmina.

 

Dopo aver a lungo appoggiato e praticato le tecniche proprie della psicoanalisi, Alice Miller è divenuta una delle più tenaci critiche del metodo psicoanalitico come terapia psicologica, nonché della prassi stessa di molti terapeuti. Ella ritiene infatti che il metodo psicoanalitico, anziché incoraggiare e sostenere il paziente nella ricerca dei traumi che hanno dato origine ai disturbi e ai problemi della propria personalità, agisce piuttosto come tecnica per evitare di affrontare realmente la verità su questi traumi, che molto spesso risiede nella storia familiare del paziente e negli abusi da lui subiti nellinfanzia. Lo stesso Sigmund Freud, secondo Alice Miller, avrebbe utilizzato in questo modo la psicoanalisi innanzitutto su se stesso.

 

Le sue opere più importanti sono: Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sè, 1985; La persecuzione del bambino, 1987; Il bambino inascoltato, 1989; L'infanzia rimossa, 1990; La chiave accantonata, 1993; La fiducia tradita. Violenza e ipocrisie nell'educazione, 1995; Le vie della vita.Sette storie, 1998; Il risveglio di Eva. Come superare la cecità emotiva, 2002; La rivolta del corpo. Come superare i danni di un'educazione violenta, 2005. I primi tre sono stati tradotti e pubblicati in Italia dall’editore Bollati Boringhieri.

 

(Estratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Alice_Miller)

 

 

Noterella del Prof

 

Di Alice Miller, per ora, abbiamo letto solo La persecuzione del Bambino. Non siamo in grado, dunque, di esprimere un giudizio sulle sue teorie e sull’eventuale successiva evoluzione del suo pensiero. Non possiamo esimerci dal notare, però, che nelle 250 pagine di questo libro appassionato, così ricco di osservazioni acute e interessanti, le persecuzioni subite dai bambini non vengono mai collegate e fatte risalire al più ampio disconoscimento dell’essere umano che ne è la tragica causa. Miller dice (e dimostra) che i genitori che umiliano e maltrattano i figli furono a loro volta umiliati e maltrattati, ma non propone alcuna ipotesi su come questa spaventosa catena di sopraffazioni sia iniziata e torni a ogni generazione a ricominciare. Non si rende conto – si direbbe  che prim’ancora del bambino, è l’essere umano in quanto tale che è stato sempre radicalmente negato e misconosciuto da tutte le religioni e dalla maggior parte delle filosofie e delle psicologie antiche e moderne; e che la diffidenza, il disprezzo o addirittura la paura con cui certi adulti si rivolgono ai piccoli (talvolta con profonda vergogna e orrore da parte di loro stessi) sono la conseguenza, non la causa, della loro totale ignoranza, affettiva prim’ancora che intellettuale, del valore, della bellezza e della preziosissima unicità di ogni essere umano. Poi, certo  ed è la peggiore delle tragedie  i bambini sono le prime vittime del disconoscimento dell’umano, poiché è soprattutto nei bambini che si può delirare di vedere le “prove” che gli esseri umani... non sarebbero umani se non li si costringesse a esserlo! Ma questa tragedia non avrà mai fine, se non si individua e non si colpisce la sua causa nel terrore degli esseri umani per la propria immaginazione.

 

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