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Ricordi Immaginari - Spiegare un Film a un Bambino

 

Moonrise Kingdom

 

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Titolo: Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore.

Titolo originale: Moonrise Kingdom.

Regista: Wes Anderson.

Compositore: Benjamin Britten.

Paese di produzione: U.S.A..

Anno di produzione: 2012.

Attori principali: Kara Hayward (Suzy Bishop), Jared Gilman (Sam Shakusky), Bruce Willis (il capitano Sharp), Edward Norton (il capo scout Ward), Bill Murray (Walt Bishop, padre di Suzy), Frances McDormand (Laura Bishop, madre di Suzy), Tilda Swinton (Servizi Sociali), Jason Schwartzman (il cugino Ben), Harvey Keitel (il comandante Peirce), Bob Balaban (il Narratore).

Durata: 1h 30’.

Il commento di Luigi Scialanca

 

L’idea di Moonrise Kingdom è che scappare di casa insieme, per un ragazzo e una ragazza, sia una necessità naturale a cui non possono e non debbono resistere più di quanto possano rifiutarsi di crescere e diventare adulti. E che non farlo sia quindi una tortura, per il corpo e per la mente: Moonrise Kingdom dice questo, e lo dice, essendo un film, non con le parole ma soprattutto con le immagini (con i volti seri e attenti di Suzy e di Sam, con i loro atti così decisi, così necessari da sembrar quasi goffi quando l’assoluta esigenza reciproca che si è impadronita di loro sorprende loro stessi) e con la musica di Benjamin Britten: immagini e suoni il cui ritmo, una volta narrato l’antefatto (rapidamente ma non sbrigativamente: “Non mi piacciono gli atteggiamenti frettolosi” dirà il cugino Ben), dove e come Sam e Suzy si sono conosciuti e il colpo di fulmine che li ha uniti, forse per sempre (colpo di fulmine che la Natura, di cui sono parte determinante, non potrà non reiterare e ribadire) si fa sùbito irresistibile. E non si placa, infatti, se non dopo aver devastato il campo scout e il paese e decapitato la sua linda chiesetta.

 

Suzy e Sam devono scappare di casa insieme, né più né meno come le rondini devono svernare al Sud e i salmoni devono risalire i fiumi nei quali nacquero. Molto di più, anzi, poiché i salmoni e le rondini non hanno sogni, hanno solo gli obblighi scritti nei loro geni; e tanto meno hanno sogni individuali, resi possenti dall’immaginazione e dalla storia di ognuno, che pur di realizzarsi li spingano avanti fino allo stremo, a costo di finir tra gli artigli degli sparvieri o degli orsi. E la necessità che reciprocamente li attrae e li muove (la vicendevole necessità di non perdersi, poiché si senton fatti l’uno per l’altra, l’una per salvare l’altro, e la sociale necessità di combattere e sfuggire agli inseguitori fino a tramutarli in alleati, poiché si senton fatti per salvare il mondo, se il mondo non riuscirà a dividerli) è così potente che in poche ore si comunica a quasi tutti gli altri intorno a loro, giovani e adulti, uomini e donne, e li travolge, li trascina via con sé come un’alluvione malgrado tutte le loro resistenze e abitudini consolidate.

 

I rapporti tra adulti (matrimoni e istituzioni autoritari e spenti, falliti, nemici più o meno feroci e meschini dell’amore o dell’amicizia che pur li han creati e li tengono in vita) e tra gli adulti e i ragazzi (la vigilanza sessuale occhiuta, decisa allora, nel 1965, a intralciare il più possibile i contatti tra maschi e femmine, e decisa oggi, mezzo secolo dopo, a renderli il più possibile vacui, fatui, privi di ogni virtù trasformativa) sono per i ragazzi come sbarre che li chiudono da ogni lato. C’è chi dolorosamente vi si adegua fin dalla più tenera età, e a poco a poco li fa sconsolatamente propri diventando anch’egli un fabbricante di sbarre. Ma più spesso la rassegnazione, fino all’adolescenza e oltre, è apparente: o almeno lo è in Moonrise Kingdom, dove Sam e Suzy dapprima non hanno alleati (tranne il Narratore, che fingendosi neutrale “fa il tifo” per loro come lo fanno in genere gli scienziati per gli imponenti fenomeni naturali che studiano, per sconvolgenti che siano), ma poi, più o meno rapidamente, convertono tutti alla propria causa (perfino il padre di lei; perfino, in extremis, l’algida e feroce Servizi Sociali, che condivide il dubbio ma raro onore di non aver un nome con l’istitutrice folle del Giro di vite di James) senza dover nemmeno tentare di convertirli, “solo” con la tempesta memorabile che scatenano (la gran tempesta del 1965, “la più forte della seconda metà del ventesimo secolo”, asserisce con orgoglio il Narratore): tanto forte, invero, che non le resiste neanche il campanile della chiesa: quel che vi è di più alto ed eretto, e il simbolo di tutte le sbarre con cui, fin da quando veniamo al mondo, gli adulti vorrebbero legarci ai propri dei.

 

Sì. Ma piano, tuttavia. Poiché la tempesta che Suzy e Sam scatenano è quella da cui rischiano di essere uccisi. E la chiesa che fanno crollare è quella che può schiacciarli. E il colpo di fulmine, che li fonde l’uno all’altra e l’una all’altro, è quello che col tempo può fulminare ogni loro affetto, com’è accaduto ai genitori di Suzy. O perfino ucciderli, come forse è accaduto a quelli di Sam... Piano, dunque.

 

Scappare insieme di casa, via, lontano da padri e madri e nonne e nonni e zii e zie, per un ragazzo e una ragazza, è una necessità fisica e mentale a cui non possono e non debbono resistere, se non vogliono diventare, per le ragazze e i ragazzi di domani, i medesimi padri e madri, ecc., che ebbero loro: su questo non ci piove. Ed è vero che scappare insieme, per una ragazza e un ragazzo (e non ognuno per conto proprio) rende l’operazione di gran lunga più sicura. Ed è vero che scappare con una come Suzy (col binocolo magico della sua lucidità, gli infiniti romanzi della sua immaginazione e, soprattutto, la straordinaria quanto inconsapevole capacità d’innamorarsi, innamorarandosi di Sam, della perfezione fatta ragazzo) e con uno come Sam (con la sua grande professionalità in fatto di fughe, la calma, la resistenza, la gentilezza da cavaliere antico e, soprattutto, la straordinaria quanto inconsapevole capacità d’innamorarsi, innamorandosi di Suzy, della perfezione fatta ragazza) è quasi una garanzia di successo. Ma il rischio di essere uccisi, schiacciati e fulminati permane (ce l’ha insegnato la storia successiva alla grande fuga dei ragazzi degli anni ’60, non sempre felice, talvolta tragica) e perciò non possiamo non vedere (e dire) che è assolutamente un bene, per Suzy e per Sam, che alla fine siano pur costretti a tornarci, a casa.

 

Poiché era sbagliato, il modo in cui scappammo allora. Non il fatto che volessimo a ogni costo scappare, ma il modo. Volevamo, come Sam e Suzy, percorrere fin in fondo l’antico sentiero indiano. E ciò era bello, poetico, radicalmente avverso al disumano, insensato, violentissimo sistema capitalista che non cessa di divorare in tutto il mondo sempre più bambini, sempre più ragazzi, sempre più donne e uomini, ma purtroppo era anche suicida. Poiché gli “Indiani” furono un gran popolo, ebbero tutte le qualità che attribuiamo loro, e soprattutto ebbero, gli uni per gli altri, l’umana fondamentale considerazione reciproca che chiamiamo “armonia con la Natura”, ma dinanzi agli “adulti” venuti dall’Europa furono anche sempre ben decisi a morire dal primo all’ultimo: neppure tentarono di salvare la propria superiorità morale, caddero in adorazione della prepotenza razionale e materiale degli invasori e andarono a schiacciarsi contro di essa come contro una muraglia, sconfitti e massacrati dalle armi e dall’alcol.

 

Suzy e Sam, invece, rinunciano a percorrere fin in fondo il sentiero indiano e accettano di tornare a casa. Eppure non da sconfitti, ma da vincitori. Dopo aver travolto e trascinato con sé tutti gli avversari (perfino Servizi Sociali!) combattendoli non con le loro stesse armi (la fucilata di Sam e la coltellata di Suzy agli scout inizialmente fascistelli sono un iniziale errore “indiano” in cui poi non ricadono più) ma con la tempesta d’affetti ed immaginazione che negli avversari scatenano col tener saldo fino alla fine il sentimento della propria assoluta superiorità umana su di essi (“Lo ammetto: sei più intelligente di me” dice il capitano Sharp a Sam, dimostrandosi molto meno stupido di quanto pensa) e tramutandoli, così, da carnefici in salvatori e servitori dell’immenso tesoro che in Suzy e in Sam finalmente intravedono.

 

Cosa rimane di quegli anni tempestosi, e delle nostre fughe da casa quando gli anni tempestosi che avevamo noi, gli adulti di oggi, erano gli stessi che avevano Sam e Suzy? Che sarà stato di loro e di noi? Sam sarà finito in Vietnam? Ne sarà tornato vivo, sano di mente? Suzy sarà stata femminista? Saranno sopravvissuti al suicidio “indiano” del ’68 nel terrorismo, nella religione, nelle tossicomanie? E soprattutto: avranno mantenuto (che sian rimasti insieme o no) le promesse che con intatta serietà si fecero?... Sì, io penso, o Moonrise Kingdom sarebbe forse stato girato, ma certo non ne avrebbe ripagato le spese.

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(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media.

Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto... semplicistiche.

Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e non dimenticare di citarne l’autore!)

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