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J. G. Ballard

 

Regno a venire

 

(Kingdom come, 2006)

 

traduzione dall’inglese di Federica Aceto

 

Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano

 

Regno a venire

 

     Il consumismo è una forma di fascismo?     

"Regno a venire", di James Graham Ballard, Feltrinelli editore

Un anziano pilota daerei in pensione viene ucciso da un cecchino nel Metro-Centre, un centro commerciale sull’autostrada che collega Londra all’aeroporto di Heathrow. Il suo unico figlio, Richard Pearson, in rotta col padre da anni, giunge sul posto con l’intenzione di provvedere ai funerali e tornarsene a casa. Ma presto si accorge che la ricostruzione ufficiale del delitto non sta in piedi, e che a Brooklands – l’anomima cittadina che specchiandosi nel centro commerciale tenta di darsi un’allucinata identità  si vanno diffondendo nuove e misteriose forme di violenza collettiva. Decide allora di restare, o piuttosto vi è indotto da una fascinazione di cui non si rende conto, e indagando sulla morte del padre scopre che un Nuovo Ordine, basato sullintolleranza e la violenza contro chi non partecipa ai riti consumistici o li sabota, si sta a poco a poco gonfiando all’interno del vecchio come un tumore...

I quartieri residenziali sognano la violenza. Addormentati nelle loro sonnacchiose villette, protetti dai benevoli centri commerciali, aspettano pazienti l’arrivo di incubi che li facciano risvegliare in un mondo più carico di passione.

 

(Cap. 1, La croce di San Giorgio, incipit)

 

In un luogo come quello, una stazione di servizio su una strada a scorrimento veloce esprimeva un senso di comunità più profondo di quello di una chiesa di qualsivoglia confessione, una maggiore consapevolezza di una cultura condivisa rispetto a quella che può comunicare una biblioteca o una galleria municipale.

 

(Cap. 1, pag. 11)

 

“Una sommossa?” Mi fece cenno di seguirla giù per le scale fuori dalla mensa. “Signor Pearson, nel Surrey non ci sono sommosse. La gente è molto più calma, molto più pericolosa...”

 

(Cap. 3, La sommossa, pag. 30)

 

“Si guardi attorno, signor Pearson. Abbiamo a che fare con un nuovo esempio di uomo e di donna: occhi stretti, passivi, stringono in mano le loro carte di credito dei grandi magazzini... Vogliono essere presi in giro, vogliono essere convinti a comprare delle emerite schifezze. La loro istruzione si basa sugli spot televisivi. Sanno che le uniche cose che valgono sono quelle che possono mettere nella busta della spesa. Questa è una zona infestata, signor Pearson, e la peste si chiama consumismo.”

 

(Cap. 4, Il movimento di resistenza, pag. 37)

 

Come tutti i grandi centri commerciali, il Metro-Centre soffocava l’inquietudine, neutralizzava la minaccia che esso stesso rappresentava e aveva un effetto calmante sulle persone sospettose... Entrando in quegli enormi luoghi di culto, tornavamo indietro nel tempo, diventavamo come bambini che vanno per la prima volta a casa di un nuovo compagno di scuola, una casa che inizialmente sembrava proibita. Ben presto, però, avremmo visto una madre sconosciuta ma sorridente che avrebbe messo a suo agio anche il bambino più nervoso, con la promessa di dolci e caramelle elargiti nel corso di tutta la visita.

 

(Cap. 5, Il Metro-Centre, pag. 41)

 

Davanti a un bancone  la maggiore occasione di confronto che la razza umana ha con l’esistenza  non c’era ieri, non c’erano corsi e ricorsi storici, ma solo un intenso presente commerciale.

 

(Cap. 5, pag. 51)

 

“È molto più di un negozio, signor Pearson. È un’incubatrice. La gente entra lì dentro ed è come se si svegliasse, perché si rende conto di vivere un’esistenza vuota. E quindi cerca nuovi sogni...”

 

(Cap. 7, Il gioco dell’oca, pag. 65)

 

...C’è tantissima violenza in giro. La gente non se ne rende conto, ma si annoia a morte. Lo sport è il segnale più evidente. Ovunque lo sport abbia un ruolo così importante si può stare sicuri che la gente si annoia a morte e non vede l’ora di poter sfasciare qualche mobile alla prima occasione.”

 

(Cap. 9, La spiaggia dell’Holiday Inn, pag. 74)

 

Ormai la finzione era parte integrante della vita della classe media, tanto che l’onestà e la franchezza sembravano subdoli stratagemmi. La bugia più sfacciata era quella che più si avvicinava alla verità.

 

(Cap. 11, L’aria pesante della notte, pag. 87)

 

Politica per l’era della tv via cavo. Impressioni fugaci, l’illusione che ci sia un significato sopra un mare di vaghissime emozioni. Stiamo parlando di un tipo di politica virtuale che non ha alcun legame con la realtà. Anzi: questa politica ridefinisce il concetto stesso di realtà. Il pubblico partecipa volentieri a questo genere di presa per i fondelli.

 

(Cap. 14, Verso una follia volontaria, pag. 109)

 

“Le religioni esempi di pazzia volontaria?”

“Enormi sistemi di delirio collettivo che hanno portato all’uccisione di milioni di persone, lanciato crociate e fondato imperi. Una grande religione è sempre sinonimo di pericolo. Oggi la gente vuol credere a tutti i costi, ma riesce a trovare Dio soltanto attraverso la psicopatologia. Basta guardare le aree più devote del mondo: il Medio Oriente e gli Stati Uniti. Stiamo parlando di società malate che possono solo peggiorare. La gente è pericolosissima quando non le rimane nient’altro in cui credere oltre a Dio... Il futuro sarà una lotta tra vasti sistemi di psicopatologie, tutte volontarie e intenzionali.”

 

(Cap. 14, pag. 113)

 

Quella era la particolarissima geometria della folla, che sceglieva di volta in volta il suo leader. Apparentemente passivi, si raggruppavano e cambiavano rotta senza nessuna logica ovvia, formazioni variabili guidate da vari gradi di noia e mancanza di obiettivi.

 

(Cap. 17, La geometria della folla, pag. 129)

 

Il consumismo è lo strumento migliore mai inventato per controllare le persone.

 

(Cap. 21, Una politica nuova, pag. 156)

 

David Cruise rimaneva la voce del Metro-Centre, l’ambasciatore del regno delle lavatrici e dei forni a microonde, ma era anche il leader di un partito politico virtuale la cui influenza si stava espandendo attraverso tutte le città sull’autostrada. Come altri demagoghi, faceva leva sui tratti patologici della sua personalità. Eppure, era emerso non dalle strade o dalle birrerie piene di operai della Monaco degli anni della Depressione, ma dai salotti dei programmi pomeridiani; era un uomo senza un messaggio che aveva trovato il suo deserto.

 

(Cap. 22, L'eroe con l’impermeabile, pag. 168)

 

“...Un vero senso di comunità, la gente lo trova negli ingorghi stradali e negli atri degli aeroporti.”

“O nel Metro-Centre?” aggiunsi io. “Il palazzo del popolo?”

“E in altre centinaia di centri commerciali. A cosa servono la libertà, i diritti dell’uomo e la responsabilità civile?... Abbiamo bisogno di qualcosa di più drammatico... Il consumismo genera un bisogno che può essere soddisfatto solo dal fascismo, un tipo di follia che è l’unica strada possibile da perseguire... Il male e la psicopatologia si sono trasformati in stili di vita. È una prospettiva inquietante, ma il fascismo consumista è forse l’unico modo per tenere insieme la nostra società. Per controllare quell’aggressività e arginare tutte quelle paure e quelle forme d’odio.”

 

(Cap. 24, Uno stato fascista, pagg. 180-181)

 

“Per quanto mi riguarda, la sola vera comunità è quella che abbiamo costruito qui nel Metro-Centre. Io credo solo in questo. Le squadre sportive, i club di tifosi, le serate dedicate ai titolari di carte gold e tessere fedeltà... Mi vengono questi strani pensieri... Mi viene voglia di buttare giù il vecchio mondo e di costruire un ordine nuovo, qualcosa di simile a quello che stiamo costruendo tutti insieme qui dentro al Metro-Centre.”

 

(Cap. 25, Solo, smarrito e arrabbiato, pag. 188)

 

Comprare è un atto politico, l’unica vera forma di politica che ci rimane al giorno d’oggi.

 

(Cap. 31, Difendiamo il centro commerciale, pag. 221)

 

Trenta minuti dopo apparve Carradine, che scese dalla rampa di scale del piano ammezzato e ci informò che non avremmo pranzato quel giorno se non avessimo prima pulito i supermercati riportandoli nella condizione immacolata in cui li avevamo trovati. Ci ricordò che dovevamo tutti sentirci fieri del Metro-Centre e pagare il debito che avevamo nei confronti di quel centro commerciale che aveva trasformato la nostra vita.

 

(Cap. 34, Il lavoro rende liberi, pag. 246)

 

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James Graham Ballard

 

Christian Bale è James Ballard a 11 anni ne L’Impero del Sole, di Steven Spielberg (1987)

Christian Bale è James Ballard a 11 anni

ne L’Impero del Sole, di Steven Spielberg (1987)

James Graham Ballard nel 2006, a 76 anni (dal sito www.ballardian.com)

James Graham Ballard nel 2006, a 76 anni

(dal sito www.ballardian.com)

 

Nel 1941, dopo Pearl Harbour, i Giapponesi occuparono Shangai e presero come ostaggi i civili inglesi, americani e francesi che non avevano fatto in tempo a lasciare la città. Un ragazzo di undici anni, diviso dai genitori dalla folla in preda al panico, finì così in un campo di prigionia e vi rimase fino al 1946, quando finalmente poté tornare in patria e ricongiungersi alla famiglia.

 

Il ragazzino era James Graham Ballard. Che nel 1984, quando era già tra i più importanti scrittori inglesi, narrò i cinque anni della sua spaventosa, affascinante, solitaria e accelerata iniziazione all’età adulta ne L'impero del sole (da cui Steven Spielberg, nel 1987, trasse l’omonimo film interpretato da Christian Bale nella parte del piccolo Ballard, da John Malcovich e da Natasha Richardson.)

 

Furono anni di passaggio, di forzata fuoriuscita dall’infanzia, e al tempo stesso di blocco, di forzata immobilità. Anni di solitudine e insieme di smarrimento tra la folla, di prigionia e al contempo di una sorta di mostruosa libertà da orfano. Anni in cui al bambino furono rivelati gli orrori, le aberrazioni, le follie, le miserie e le semplici stranezze che la società normalmente riesce a nascondere a sé stessa scaricandole sui deboli, sugli emarginati, sugli estranei. Anni e orrori che l’adulto, lo scrittore J. G. Ballard, ha poi continuato a vivere e raccontare fino ai giorni nostri nelle sue opere, così come hanno fatto e fanno – ciascuno a suo modo  tutti coloro che, sopravvissuti a essi o venuti dopo, avendoli davvero compresi non sono mai più riusciti a non vedere intorno a sé  nelle vie delle città, sugli schermi delle tv, nelle pagine dei giornali, tra i loro stessi famigliari, amici, colleghi – il nazismo e il fascismo che il nazismo e il fascismo hanno inoculato nel mondo, e che ovunque nel mondo continuano a disseminare, tra noi e in noi, germi di delirio e microesperimenti di futuri, possibili, mostruosi Nuovi Ordini.

 

Tra le opere di Ballard, oltre ai numerosissimi saggi e racconti raccolti di recente dall’editore Fanucci in una completa e bellissima antologia in tre volumi – ricordiamo i romanzi Deserto dacqua (1962), Vento dal nulla (1962), Foresta di cristallo (1966), Crash (1973), Lisola di cemento (1974), Condominium (1975), Ultime notizie dallAmerica (1981), Il giorno della creazione (1987), La gentilezza delle donne (1991), che continua le vicende autobiografiche de LImpero del sole, Cocaine Nights (1996), Il paradiso del diavolo (1998), La mostra delle atrocità (1999), Super-Cannes (2000) e Millennium People (2004), gli ultimi tre tutti pubblicati in Italia da Feltrinelli.

 

James Graham Ballard è morto il 19 aprile 2009.

 

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