ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

Righe di Libri

 

Home     L'Autore di Billy Budd     Moby Dick     L'Autore de Il Fallimento della Parola

Indice dei Libri precedenti     Biblioteca     Il Prof     Inserisci un Libro che è piaciuto a Te!

 

Clicca qui per scaricare il testo in formato Word (72 kb, 12 pagine)

Clicca qui per scaricare il testo in formato pdf (72 kb, 12 pagine)

 

 

Herman Mellville

 

Billy Budd, marinaio

racconto interiore

 

traduzione di Ruggero Bianchi

1974

 

Garzanti Editore

 

*

 

Richard H. Weisberg

 

Il Fallimento della Parola

 

Figure della legge nella narrativa moderna

 

traduzione di Andrea Fabbri

1990

 

Società editrice Il Mulino

 

 

"Billy Budd, marinaio", di Herman Mellville"Il fallimento della parola", di Richard H. Weisberg

 

     Lirrazionale natura umana, odiata per la sua bellezza     

 

Herman Mellville è noto soprattutto come autore di Moby Dick, la balena bianca...

Prima di Billy Budd vuoi rinfrescarti le idee su Moby Dick? Clicca qui (in word)

Prima di Billy Budd vuoi rinfrescarti le idee su Moby Dick? Clicca qui (in pdf)

Herman Mellville, "Benito Cereno. Billy Budd", Garzanti editore.

Herman Mellville, Benito Cereno. Billy Budd, Garzanti editore.

 

Richard H. Weisberg, "Il fallimento della parola", Società editrice Il Mulino.

Richard H. Weisberg, Il fallimento della parola, Società editrice Il Mulino.

Perché il giovane, ragazzo o ragazza che sia, è talvolta odiato da chi giovane non è più? E perché questodio innaturale è tanto più aspro, anche se quasi sempre dissimulato con gelida lucidità, quanto più il giovane che ne è l’oggetto è dotato di qualità che il vecchio a sua volta possedette, ma sprecò e distrusse?

 

Può accadere che un simile odio scaturisca o sia suscitato in un essere umano non contro un altro, diverso, ma contro il giovane che a stento sopravvive in lui e che egli più non sopporta perché vuol tradirlo e liberarsene, annientarlo e rendersi tanto meno umano quanto più la sua umana fantasia è in grado d’immaginarsi tale?

 

Può questodio prender di mira un’intera categoria, una fascia d’età, un intero popolo? E se così è (e purtroppo non ne mancano gli spaventosi esempi, anche recenti) è possibile che vi sia stato, nella storia dell’Umanità, un tempo in cui l’odio per la gioventù ― per le sue intatte possibilità, per la bellezza, la generosità, la fresca e vivace intelligenza, la possibile genialità, la salute, la forza, la spavalderia non ancòra incrinata dalla consapevolezza del trascorrere del tempo: in una parola, per la splendida rappresentazione, insopportabile agli occhi di chi su di sé ne ha fatto scempio, di ciò che un essere umano è per natura e per nascita ― follemente si sia scatenato contro tutto un Mondo ancora Giovane da parte di un Mondo che si pretendeva Nuovo ed era invece mostruosamente Vecchio?

 

Son queste le immense domande che la storia di Billy Budd, marinaio continua a porre ai lettori dal giorno del 1924 (lontano solo poco più di ottant’anni!) in cui finalmente fu pubblicata trentatré anni dopo la morte, in miseria e solitudine, del geniale autore di Moby Dick.

 

Riflettiamo su queste domande, leggendo le righe che seguono. E confrontiamo poi le nostre risposte con quelle di un autore, Richard H. Weisberg, che in un testo del 1984 intitolato Il Fallimento della Parola (pubblicato in Italia nel ’90) ha riletto i grandi romanzi e racconti dell’800 e del ’900 cercandovi qualche indizio di quello che potrebbe essere, se mai si riuscisse a dimostrarlo, il più mostruoso delitto mai commesso contro l’Umanità...

Sempre esperto nel suo pericoloso mestiere, il Bel Marinaio di quell’epoca era anche, dal più al meno, formidabile nel lottare o nel fare a pugni. Era forza e bellezza insieme. Se ne decantavano le prodezze. A terra era il campione; a bordo il portavoce; sempre il primo quando ce n’era bisogno. Se occorreva prendere l’ultima mano di terzaroli alle vele di gabbia durante una burrasca, eccolo là a cavallo della varea di sopravvento del pennone, col contromarciapiede per staffa, le due mani a tendere la borosa come una briglia, in una posa assai simile a quella del giovane Alessandro che frena il focoso Bucefalo... E l’indole morale era raramente in disaccordo con la costituzione fisica... Un astro del genere... era l’occhiceruleo Billy Budd ― o Bimbo Budd, come, in maniera più familiare, finì per essere chiamato in seguito a circostanze di cui si dirà più avanti ― ventun anni, gabbiere di parrocchetto della flotta britannica verso la fine dell’ultimo decennio del Settecento. Era entrato al Servizio del Re non molto tempo prima dell’epoca in cui si svolge la vicenda che segue, essendo stato arruolato a forza sui Canali d’Inghilterra e d’Irlanda e trasferito da un mercantile inglese di ritorno in patria a una nave da guerra di Sua Maestà con settantaquattro pezzi diretta al largo, la Bellipotent: una nave che, cosa non insolita in quei giorni febbrili, era stata costretta a prendere il mare senza l’equipaggio al completo. Sùbito, dando un’occhiata dal barcarizzo prim’ancora che l’equipaggio del mercantile si fosse regolarmente schierato sul cassero per una sua accurata ispezione, l’ufficiale d’arruolamento, il luogotenente Radcliffe, puntò come un falco su Billy. E scelse soltanto lui. Giacché, o che gli altri uomini, una volta allineati davanti a lui, sfigurassero nei confronti di Billy, o che avesse qualche scrupolo perché il mercantile era piuttosto a corto di braccia, comunque fosse, l’ufficiale si accontentò della sua prima scelta d’istinto. Tra la sorpresa dell’equipaggio, ma con grande soddisfazione del luogotenente, Billy non fece alcuna obiezione. Ma, in effetti, qualsiasi obiezione sarebbe stata inutile come la protesta di un cardellino ficcato in una gabbia.

 

(capitolo 1)

 

 

...Dopo aver visto il suo marinaio salire sulla lancia, il luogotenente gli tenne dietro e s’allontanò dalla Rights-of-Man. Quello era infatti il nome del mercantile, benché il capitano e l’equipaggio lo abbreviassero, secondo l’uso marinaro, in Rights. Quel cocciuto armatore di Dundee era un fervido ammiratore di Thomas Paine, il cui libro in risposta alle accuse rivolte da Burke alla Rivoluzione Francese era stato pubblicato già da un po’ di tempo ed era stato letto ovunque. Nel battezzare il suo bastimento con il titolo del volume di Paine l’uomo di Dundee era un po’ come Stephen Girard di Philadelphia, l’armatore suo contemporaneo, che sfoggiava le proprie simpatie, sia per la sua terra natia che per i filosofi liberali di questa, attribuendo alle sue navi i nomi di Voltaire, Diderot e così via.

Ora tuttavia, mentre l’imbarcazione scivolava a poppa del mercantile e l’ufficiale e i vogatori osservavano ― alcuni con amarezza e altri con un sogghigno ― il nome lì incastonato come in un blasone; fu proprio allora che la nuova recluta balzò in piedi da prora, dove il padrone l’aveva fatto sedere, e sventolando il cappello verso i compagni taciturni che si sporgevano dal coronamento di poppa per guardarlo, rivolse a quei ragazzi un cameratesco addio. Quindi, come se rivolgesse un saluto alla nave stessa: “E addio anche a te, vecchia Rights-of-Man.”

“Seduto, signore!” ruggì il luogotenente, assumendo all’istante tutto il rigore del suo grado, pur soffocando con difficoltà un sorriso.

 

(capitolo 1)

 

 

...Giacché Billy, pur felicemente dotato della gaiezza che proviene dalla piena salute, dalla giovinezza e dalla libertà del cuore, non era affatto incline al sarcasmo. Gliene mancava la voglia e anche la sinistra destrezza. I doppi sensi e le insinuazioni di qualsiasi genere erano del tutto estranei alla sua natura.

Quanto all’arruolamento forzato, pareva prenderlo proprio come era avvezzo a prendere ogni mutamento del tempo. Come gli animali, pur non essendo un filosofo, era, senza saperlo, praticamente un fatalista. E può persino darsi che gli piacesse alquanto questa svolta avventurosa delle sue fortune, che prometteva di schiudergli nuovi orizzonti ed emozioni marziali.

 

(capitolo 1)

 

 

Essendo così profondamente inesperto delle complessità della vita artificiosa, ... la posizione di Billy Budd a bordo della “settantaquattro” era un po’ simile a quella di una rustica bellezza trapiantata dalle province e posta in concorrenza con le dame d’alto lignaggio della corte. Ma egli notò appena queste mutate circostanze.

... Forgiato nello stampo caratteristico dei migliori esemplari fisici di quegli inglesi in cui sembra che l’ascendenza sassone non rechi in sé alcuna traccia normanna o d’altro sangue, mostrava sul volto quell’espressione umana di serena bontà attribuita in certi casi dallo scultore greco al suo eroico e vigoroso Ercole. Anch’essa tuttavia era modificata da un’altra, penetrante caratteristica. L’orecchio, piccolo e ben fatto, l’arco del piede, la curva della bocca e delle narici, persino la mano callosa di un color bruno dorato come il becco di un tucano, una mano che parlava in egual misura delle drizze e del secchio del catrame; ma, più di tutto, qualcosa nella sua mobile espressione, e ogni posa e ogni gesto casuale, qualcosa che faceva pensare a una madre eccezionalmente favorita da Amore e dalle Grazie; tutto ciò suggeriva in maniera singolare un lignaggio in aperto contrasto con la sorte toccatagli.

... Quanto al resto, senza possedere nemmeno in parte l’acume o la saggezza del serpente, né d’altro canto esser proprio una colomba, possedeva quel tipo e quel grado di intelligenza che si accompagna alla rettitudine non formale di una sana creatura umana, una cui non sia ancora stato offerto l’ambiguo pomo della conoscenza. Era analfabeta; non sapeva leggere ma sapeva cantare, e come l’usignolo analfabeta era a volte l’autore delle proprie canzoni.

Coscienza di sé pareva averne poca o nulla, o al più quanta se ne può ragionevolmente attribuire a un cane di San Bernardo.

Abituato a vivere in mezzo agli elementi e conoscendo la terra quasi soltanto come riva o, meglio ancora, come quella parte del globo terracqueo provvidenzialmente appartata per balere, puttane e birrai, per quello che, in parole povere, i marinai definivano un “paese di Bengodi”, il suo animo semplice non era adulterato da quelle tortuosità che non sempre sono incompatibili con quel materiale manipolabile noto come rispettabilità. Ma i marinai che frequentano i paesi di Bengodi sono senza vizi? No; ma meno spesso che nei terricoli i loro cosiddetti vizi hanno a che fare con la sinuosità dell’animo, giacché sembrano scaturire non tanto dalla depravazione quanto da un eccesso di vitalità dopo una lunga astinenza: franche manifestazioni in armonia con la legge naturale. Grazie alla sua indole e, insieme, all’influsso coadiuvante della sorte, Billy per molti aspetti era poco più che una sorta di barbaro genuino, assai simile forse a come sarebbe potuto essere Adamo prima che il civile Serpente s’attorcigliasse in sua compagnia.

E si osservi a questo proposito che, a suffragare in apparenza la dottrina della Caduta dell’uomo, una dottrina oggi ignorata dal volgo, si può osservare che laddove certe virtù primitive e incorrotte caratterizzano singolarmente qualcuno nell’uniforme esterna della civiltà, esse a un esame attento non parranno derivare dalla consuetudine o dalla convenzione, ma sembreranno anzi in contrasto con quelle, quasi fossero addirittura eccezionalmente trasmesse da un periodo anteriore alla città di Caino e all’uomo inurbato. L’indole contraddistinta da tali qualità possiede per un gusto non viziato un aroma genuino come quello delle bacche, mentre l’uomo interamente civilizzato, anche nei buoni esemplari della schiatta, possiede per quello stesso palato morale un sapore ambiguo come di vino tagliato. Per un qualsiasi erede smarrito di queste qualità primigenie che si trovi a vagare stupefatto, come Caspar Hauser, in una qualunque capitale cristiana dei nostri giorni, suona ancora adeguata la famosa invocazione che il poeta dall’animo gentile rivolse circa duemila anni fa al buon rustico sottratto ai suoi climi e condotto nella Roma dei Cesari:

 

Povero e onesto, fedele nei detti e nei pensieri,

Che cosa, o Fabiano, ti ha spinto in città?

 

Sebbene il nostro Bel Marinaio avesse tanta bellezza mascolina quanta si può pensare di trovarne, pure, come la bella donna in uno dei racconti minori di Hawthorne, vi era in lui un unico difetto. Non certo un’imperfezione visibile, come in quella signora; no, ma la tendenza occasionale a un difetto vocale. Sebbene nell’ora del pericolo e dello scatenarsi degli elementi fosse tutto ciò che un marinaio dev’essere, pure, sotto lo stimolo improvviso di un forte sentimento, la sua voce, di solito singolarmente musicale, quasi esprimesse l’armonia interiore, tendeva a contrarre un’esitazione organica, che di fatto era più o meno un balbettio o ancora peggio.

 

(capitolo 2)

 

 

Il capitano, Sua Eccellenza Edward Fairfax Vere, per riportare la sua qualifica completa, ... vantava molti anni di servizio, aveva partecipato a parecchi combattimenti, comportandosi sempre da ufficiale attento al benessere dei propri uomini, senza però tollerare mai un’infrazione alla disciplina; profondo conoscitore della tecnica del suo mestiere e intrepido fin quasi alla temerità, ma mai senza buon senso.

... A terra, in abiti borghesi, quasi nessuno l’avrebbe preso per un marinaio, tanto più che non infiorettava mai i discorsi non professionali con vocaboli nautici e, con il suo comportamento solenne, mostrava di gradire poco il semplice umorismo.

... Tale suo comportamento riservato però poteva forse derivare da una certa modestia virile e non affettata che s’accompagna a volte a un’indole decisa, una modestia manifestata in tutte le situazioni che non esigevano un suo intervento diretto, il cui sfoggio fa pensare, in ogni settore della vita, a una virtù di tipo aristocratico. Come accade ad altre persone impegnate in diversi settori delle più eroiche attività dell’uomo, il capitano Vere, pur essendo abbastanza pratico all’occorrenza, tradiva a volte una cert’aria trasognata. Standosene solo sul lato di sopravvento del cassero, con una mano stretta alle sartie, fissava lo sguardo assente, lontano, sulla piatta distesa del mare. E quando gli si sottoponevano faccende di poco conto che spezzavano la corrente dei suoi pensieri, tradiva una maggiore o minore irritazione, che però subito controllava.

... A differenza di non pochi celebri marinai inglesi, il lungo e arduo servizio compiuto con esemplare devozione non era riuscito ad assorbirlo e a salarlo del tutto. Aveva una tendenza spiccata per tutto ciò che è intellettuale.

... Di mente meno dotata della sua e meno fervida, alcuni ufficiali del suo rango, che egli a volte era costretto a frequentare, trovavano che era poco socievole e lo consideravano arido e libresco.

 

(capitoli 6 e 7)

 

 

Vi era però, tra i sottufficiali, un aiutante di bordo che, avendo molto a che fare con questo racconto, vale la pena di presentare fin d’ora. Proverò a farne il ritratto, ma non riuscirò mai ad azzeccarlo in pieno. Si trattava di John Claggart, il capo d’armi. ... Una specie di capo di polizia, incaricato tra le altre cose di mantenere l’ordine negli affollati ponti inferiori di batteria.

... Era un uomo di circa trentacinque anni...

... Date le sue mansioni, tornava utile a Claggart saper imporre la disciplina con uno sguardo. La fronte era del tipo che i frenologi associano a un intelletto superiore alla media; e su di essa s’affollavano in parte grappoli di riccioli neri, lucidi e setosi, che mettevano in risalto il pallore sottostante, un pallore sfumato da una leggera tinta d’ambra simile al colore di marmi antichi sfumati dal tempo. Questo incarnato, stranamente in contrasto con i visi rossi o fortemente abbronzati dei marinai, e dovuto in parte all’isolamento dal sole che le sue mansioni comportavano, pur non essendo proprio sgradevole, pareva indicare tuttavia qualche difetto o anomalia nella costituzione e nel sangue.

... Della sua vita precedente non si sapeva nulla. Poteva darsi che fosse inglese; eppure traspariva dai suoi discorsi un lievissimo accento che induceva a credere che forse non lo era per nascita ma perché naturalizzato nella prima fanciullezza.

... E in effetti un uomo con le doti di Claggart, entrato come lui in marina senza una precedente esperienza nautica e in età matura, e inevitabilmente destinato in un primo tempo ai gradi più bassi; un uomo, per giunta, che non faceva mai allusioni alla vita vissuta a terra in precedenza; tutte queste erano circostanze che, in mancanza di dati precisi sui suoi veri precedenti, schiudevano agli invidiosi un campo sconfinato di malevole congetture.

... Di questo capo di polizia marittimo, i cosiddetti caporali di bordo erano i subordinati diretti e compiacenti; e lo erano, come si può osservare a terra in talune aziende commerciali, fin quasi all’incompatibilità con ogni impulso morale. Il posto da lui occupato poneva sotto il controllo del capo diversi fili convergenti di influssi sotterranei, che, astutamente manipolati dai suoi tirapiedi, erano in grado di introdurre un misterioso disagio, se non peggio, in qualsiasi comunità marinara.

 

(capitolo 8)

 

 

Allorché Billy vide il dorso nudo del colpevole sotto lo staffile, striato da rossi solchi e ancor peggio, quando notò la tremenda espressione sul volto dell’uomo allorché, lasciato libero, con la giubba di lana buttatagli sulle spalle dal carnefice, si precipitò via di lì per seppellirsi nella folla, Billy rimase inorridito. Decise che mai per incuria si sarebbe esposto a tale afflizione o avrebbe fatto od omesso qualcosa che comportasse anche un semplice richiamo verbale. Quale fu dunque la sua sorpresa e la sua ansia quando scoprì che negli ultimi tempi si cacciava di tanto in tanto in qualche piccolo guaio per questioni come lo stivaggio della sacca o per qualcosa fuori posto nella branda, faccende sottoposte al controllo poliziesco dei caporali di bordo dei ponti inferiori e che fecero gravare sul suo capo un vago senso di minaccia da parte di uno di loro.

Attento com’era a ogni cosa, com’era possibile? Non riusciva a capirlo e ne era più che crucciato.

... Turbato da questi piccoli guai misteriosi, Billy andò in cerca del vecchio raggrinzito... e gli espose il suo guaio, chiedendosi di nuovo come mai fosse accaduto tutto questo.

... Il vecchio, levando la tesa del suo cappello impermeabile e fregandosi ponderatamente la lunga cicatrice obliqua nel punto in cui si congiungeva ai rari capelli, disse laconico: “Bimbo Budd, Piedipiatti” (e si riferiva al capo d’armi) “ce l’ha con te.

Piedipiatti!” esclamò Billy, dilatando gli occhi cerulei. “E perché? Ma come, mi dicono che mi chiama quel caro, simpatico giovinotto.”

“Davvero?” ghignò il grigio; poi disse: “Sì, Bimbo mio, Piedipiatti ha una voce soave.”

“No, non sempre. Ma con me sì. Di rado gli passo vicino senza che mi rivolga una parola gentile.”

“Proprio perché ce l’ha con te, Bimbo Budd.

 

(capitolo 9)

 

 

Che cosa è più intriso di mistero di un’antipatia profonda e istintiva quale quella suscitata in certe creature particolari dal semplice aspetto di qualche altra creatura, per innocua che questa possa essere, quando addirittura non è provocata da questa stessa innocuità?

... Per comprendere in maniera adeguata Claggart, questi accenni non bastano a una creatura umana normale. Per passare da una natura normale a lui, occorre attraversare la barriera mortale. E ciò si può far meglio per via indiretta.

Parecchio tempo fa uno studioso, più anziano di me, riferendosi a uno che, come lui, ormai non è più, un uomo così irreprensibilmente rispettabile che sul suo conto non si diceva mai nulla apertamente, anche se tra i pochi qualcosa si mormorava, mi disse: “Sì, X ― non è una noce che si possa rompere con un colpo di ventaglio...

“Come,” dissi io. “X ― , pur essendo per alcuni un singolare oggetto di studio, è tuttavia umano, e la conoscenza del mondo sottintende certamente la conoscenza della natura umana, e in quasi tutte le sue varietà.

“Sì, ma una conoscenza superficiale di essa, che serve a fini normali. Ma quando si tratta di qualcosa di più profondo, non sono certo che conoscere il mondo e conoscere la natura umana non siano due rami distinti del sapere, che, pur potendo coesistere nello stesso cuore, possono però vivere distinti, con poco o nulla l’uno dell’altro.

... In un elenco di definizioni incluso nella traduzione autentica di Platone, un elenco che gli viene attribuito, se ne trova una che dice: “Depravazione naturale: depravazione secondo natura”... Gli esempi di tale depravazione forniti dalla forca e dalle prigioni non sono molti. Comunque, giacché costoro non appartengono alla bassa lega del bruto ma sono senza fallo dominati da fattori intellettuali, occorre cercarne altrove esempi di rilievo. La civiltà, soprattutto del tipo più austero, le è propizia. Si ammanta di rispettabilità. Possiede certe virtù negative che le offrono un aiuto silenzioso. Non si lascia mai cogliere di sorpresa dal vino. Non è esagerato dire che è esente da vizi e da peccati veniali. Ha in sé un fantastico orgoglio che la rende immune da essi. Non è mai venale né avara. In poche parole, la depravazione di cui ora si parla non ha in sé nulla di sordido o di sensuale. È seria, ma senza acredine. Pur non lusingando l’umanità, non ne parla mai male.

Ma ciò che, negli esempi eminenti, distingue una natura così eccezionale, è questo: benché il temperamento tranquillo e il comportamento discreto facciano pensare a una mente singolarmente soggetta alla legge della ragione, pure nel profondo del cuore si direbbe che tali individui perdano ogni freno e si sottraggano del tutto a tale legge, dando l’impressione di ricorrere alla ragione soltanto per usarla come uno strumento ambivalente per uno scopo insensato. In altre parole, per conseguire uno scopo che per la sua capricciosa atrocità parrebbe intriso di follia, ricorreranno a un freddo giudizio, solido e sagace. Uomini simili sono pazzi della specie più pericolosa, giacché la loro follia non è continua ma occasionale, destata da qualche oggetto particolare; ed è anche protetta dalla riservatezza, il che equivale a dire che è controllata, sicché per giunta, quando più è attiva, la mente normale non riesce a distinguerla dalla salute mentale, per la ragione cui prima si è accennato: che, quali che siano le sue mire ― e la mira non è mai dichiarata ― il metodo e il procedimento esteriore risultano sempre assolutamente razionali.

Claggart, dunque, era qualcosa del genere: c’era in lui la monomania di una natura malvagia, non generata da un’educazione viziosa né da libri corrotti né da una vita licenziosa, ma congenita e innata, cioè, in breve, una depravazione secondo natura.

 

(capitolo 11)

 

 

L’aspetto di Billy era eroico; e se il suo viso non aveva l’aria intellettuale che aveva quello pallido di Claggart, era però acceso, come il suo, dall’interno, anche se da una diversa sorgente. Il falò del suo cuore illuminava il rosa abbronzato delle guance.

... L’invidia e l’antipatia, passioni non conciliabili secondo ragione, possono invece di fatto scaturire unite come Chang ed Eng in un’unica nascita. È dunque l’invidia un tale mostro? Be’, sebbene più di un imputato, nella speranza di ottenere una condanna più mite, si sia dichiarato colpevole di azioni orribili, vi fu mai qualcuno che in tutta serietà si sia dichiarato reo di invidia?

... L’invidia di Claggart colpiva a fondo. Se guardava di sbieco il bell’aspetto, l’allegra salute e la gioia schietta della vita giovanile in Billy Budd, era perché queste doti si accompagnavano a una natura che, Claggart lo avvertiva magneticamente, non aveva mai, nella sua semplicità, conosciuto la malizia o provato il morso sconvolgente di quella serpe. ... E tale chiarezza di visione non faceva che intensificare la sua passione, la quale, assumendo in lui forme diverse e segrete, si ammantava a volte di cinico disprezzo, disprezzo dell’innocenza ― non essere nient’altro che innocente! Eppure, da un profilo estetico, egli ne scorgeva il fascino, l’indole coraggiosa e sbrigliata, e volentieri l’avrebbe condivisa, ma disperava di riuscirci.

Senza la forza di annullare il fondo di male che aveva in sé, pur sapendolo nascondere con sufficiente prontezza, timorosa del bene ma impotente a esser buona, una natura come Claggart, sovraccarica di energia come quasi sempre sono simili nature, che altro poteva fare se non ripiegarsi in sé stessa e, come lo scorpione di cui soltanto il Creatore è responsabile, svolgere fino in fondo la parte che le era toccata?

 

(capitolo 12)

 

 

Sì, nonostante l’asciutta insistenza del Danese, secondo cui alla base di quelle strane esperienze di Billy a bordo della Bellipotent c’era il capo d’armi, il giovane marinaio era pronto ad attribuirle quasi a chiunque ma non all’uomo che, per usare la frase stessa di Billy, gli rivolgeva sempre una parola gentile. È una cosa che può destar meraviglia. E tuttavia non può destarne tanta. In certe faccende, taluni marinai, anche in età matura, restano abbastanza ingenui. Ma un giovane navigatore con l’indole del nostro atletico gabbiere di parrocchetto è un uomo ancora bambino in molte cose. E tuttavia la radicale innocenza di un bambino non è che vuota inesperienza, e si affievolisce più o meno a mano a mano che la conoscenza cresce. Ma in Billy la conoscenza, così com’era, si era sviluppata, mentre la sua semplicità d’animo era rimasta quasi inalterata. L’esperienza insegna davvero, ma l’età di Billy rendeva la sua esperienza limitata. Per giunta, non aveva affatto quella conoscenza intuitiva del male che nelle nature non buone o buone in maniera imperfetta precorre l’esperienza e può quindi appartenere, come in taluni casi appartiene fin troppo chiaramente, anche alla gioventù.

E che poteva sapere Billy dell’uomo, se non dell’uomo come marinaio e basta? E il marinaio di vecchio stampo, l’autentico marinaio di bassa prora, il marinaio che è in mare da quando era ragazzo, pur appartenendo alla stessa specie dei terricoli, se ne distingue per certi aspetti in maniera singolare. L’uomo di mare è franchezza, l’uomo di terra è finezza. Per il marinaio la vita non è un gioco che richieda grande perspicacia ― non è un complicato giuoco di scacchi dove le mosse dirette sono poche e si giunge allo scopo per vie traverse, un giuoco obliquo, tedioso, sterile, che non val quasi la povera candela consumata per giuocarlo.

 

(capitolo 16)

 

 

Sembrava allora che Claggart fosse l’Uomo dei Dolori. Sì, e quell’aria malinconica recava in sé, a volte, una traccia di struggimento tenero, quasi a indicare che Claggart avrebbe perfino potuto amare Billy, non fosse stato per il suo destino e la sua condanna. Ma era un’espressione effimera, cui, quasi se ne pentisse subito, subentrava uno sguardo implacabile, che gli contraeva e gli raggrinziva il volto dandogli per un attimo l’aspetto di una noce rugosa.

... La sua monomania  se di questo davvero si trattava  rivelata a sprazzi dalle manifestazioni che abbiamo minutamente descritto, e tuttavia mascherata in genere dal suo contegno lucido e composto; questa monomania, come un fuoco sotterraneo, lo rodeva dentro sempre più profondamente. E ne doveva scaturire qualcosa di decisivo.

 

(capitolo 17)

 

 

“Chiudi la porta, sentinella,” disse il comandante, “stai fuori e non far entrare nessuno. ― Ora, capo d’armi, dite in faccia a quest’uomo quanto mi avete detto di lui,” e si accinse ad analizzare i due volti che si fronteggiavano.

Con il passo misurato e l’aria calma e raccolta di un medico che nella sala comune si avvicini a un paziente che mostra i primi sintomi di una prossima crisi, Claggart si fece avanti lentamente, portandosi a breve distanza da Billy, e guardandolo ipnoticamente negli occhi, riassunse in breve l’accusa.

Dapprima Billy non se ne rese conto. Quando capì, il rosa abbronzato delle sue guance parve come colpito da una lebbra bianca. Rimase fermo, come se fosse legato a un palo e imbavagliato. Gli occhi dell’accusatore, frattanto, che non avevano ancora abbandonato quelli azzurri e dilatati di Billy, subirono uno straordinario mutamento: il loro consueto colore viola cupo si offuscò in un torbido porpora. Quei lumi dell’umana intelligenza persero l’espressione umana, sporgendo gelidi come gli occhi stranieri di certe ignote creature dell’abisso. Il primo sguardo ipnotico fu quello del serpente che ammalia; l’ultimo fu come il guizzo vorace della torpedine.

“Parla, marinaio!” disse il capitano Vere al giovane inchiodato, colpito dal suo aspetto più che da quello di Claggart. “Parla! Difenditi!” L’invito però portò soltanto a uno strano, muto, gesticolare e gorgogliare in Billy: lo sbalordimento che aveva assalito all’improvviso la sua giovinezza inesperta davanti a tale accusa, insieme, forse, all’orrore per gli occhi dell’accusatore, valsero a far insorgere il suo difetto latente e, in questo caso, a intensificarlo momentaneamente fino a una vana e convulsa paralisi della lingua; mentre la testa e tutto quanto il corpo, tesi allo spasimo, nell’agonia di un impotente desiderio di obbedire all’ingiunzione di parlare e di difendersi, conferivano al suo volto un’espressione simile a quella di una vestale condannata nell’attimo di venir sepolta viva, che cominci a lottare contro il soffocamento.

Benché allora il capitano Vere ignorasse del tutto la tendenza di Billy a balbettare, adesso però la intuì in un attimo, giacché l’aspetto di Billy gli ricordava vivamente quello di un suo giovane e brillante compagno di scuola che, una volta, aveva visto vittima di quella stessa impressionante impotenza mentre si alzava ansioso in classe per essere il primo a rispondere a una domanda dell’insegnante. Avvicinandosi al giovane marinaio e ponendogli una mano sulla spalla per calmarlo, disse: “Non c’è fretta, ragazzo mio. Fai con calma, fai con calma.” Contrariamente all’effetto che si proponevano, queste parole dal tono così paterno, che certo toccavano Billy nel profondo del cuore, causarono sforzi ancor più violenti per esprimersi ― sforzi che finirono ben presto per confermare la temporanea paralisi e che conferirono al suo volto un’espressione come di un uomo in croce. Un attimo dopo, rapido come la vampata di un cannone che spari nella notte, il suo braccio destro scattò in avanti, e Claggart crollò sull’assito. Fosse per intenzione o per la maggior altezza del giovane atleta, il colpo aveva centrato in pieno la fronte, così ben fatta e dall’aria intelligente, del capo d’armi; sicché il corpo cadde lungo e disteso, come una trave pesante, disposta verticalmente, che venga ribaltata. Un rantolo o due, e giacque immobile.

“Malaugurato!” ansimò il capitano Vere in un tono così basso da esser quasi un sussurro.

 

(capitolo 19)

 

 

... Ma il capitano Vere era di nuovo immobile, immerso nei propri pensieri. Di nuovo sussultando, esclamò con veemenza: “Colpito a morte da un angelo di Dio! Eppure l’angelo deve’essere impiccato!

 

(capitolo 19)

 

 

Chi nell’arcobaleno riesce a tracciare la linea dove il viola finisce e comincia l’arancio? Vediamo chiaramente la differenza di colore, ma dove esattamente l’uno si compenetra nell’altro? Così è per la lucidità e la follia. Nei casi estremi non vi sono dubbi. Ma in certi casi presunti, in vari gradi dove la presunzione è meno accentuata, tracciare la linea esatta di demarcazione è un’impresa che pochi si sentono di compiere, anche se per un adeguato onorario certi esperti professionisti sono disposti a farlo. Non c’è cosa che certa gente non faccia o non si impegni a fare, purché la si paghi. Se il capitano Vere fosse davvero, come il chirurgo sospettava come professionista e come uomo, la vittima improvvisa di una qualche aberrazione, ognuno deve deciderlo da solo in base ai lumi che questo racconto può offrire.

 

(capitolo 21)

 

Billy Budd ti è piaciuto così tanto che vuoi leggerlo tutto? Clicca qui

 

Terence Stamp debutta a 23 anni in "Billy Budd", di Peter Ustinov (1962).

Terence Stamp debutta a 23 anni in Billy Budd, di Peter Ustinov (1962)

 

*

 

Richard H. Weisberg

 

Il fallimento della parola

 

Figure della legge nella narrativa moderna

 

traduzione di Andrea Fabbri

1990

 

Società editrice Il Mulino

 

Prefigurato dal meno forte Bartleby lo scrivano (1853), che anticipa molti aspetti legalistici di Billy Budd, marinaio, l’ultimo romanzo breve di Melville va oltre la trattazione del caso legale per ritrarre il conflitto tra un cristianesimo istituzionalizzato e modelli di comportamento più giusti e naturali.

 

(capitolo 8)

 

 

“Parla, marinaio!” lo supplica ripetutamente il capitano. Ma il bel marinaio, che non è mai stato un parlatore, reagisce diversamente. La fondamentale armonia di forma esteriore e natura interiore lo obbliga a esprimere con strumenti non verbali la propria reazione a un attacco ingiusto.

 

(capitolo 8)

 

 

Se però si può dimostrare, con un’analisi testuale, che il capitano Vere nel caso di Billy Budd distorce deliberatamente la legge vigente allo scopo di pervenire a un verdetto e a una sentenza che armonizzino con i suoi impulsi privati più profondi, allora la problematica centrale si capovolge. Al posto del dilemma di un uomo onesto costretto, contro i dettami della sua coscienza, ad applicare una legge positiva non ambigua, abbiamo un’indagine sull’uso di forme oggettive per giustificare veementi impulsi soggettivi.

 

(capitolo 8)

 

 

Insieme col chirurgo e con altri ufficiali inferiori noi cominciamo a vedere con quanta rapidità un individuo intelligente è capace di fare appello a forme fredde, esteriori, per conseguire scopi soggettivi che prescindono dalle forme: Colpito a morte da un angelo di Dio! è la reazione di Vere all’atto di violenza commesso da Billy. Eppure l’angelo dev’essere impiccato!...

 

(capitolo 8)

 

 

Guardatevi da quei capi che consigliano violazioni morali in nome della forma o violazioni formali in nome della necessità, pare che ci dica Melville. Le loro esigenze possono essere del tutto diverse dalle nostre.

 

(capitolo 8)

 

 

Con mordace ironia, Melville si preoccupa di suggerire l’idea che un individuo, che richiede a voce alta un’analisi puramente formale di un fenomeno, con tutta probabilità è uno che nasconde abilmente qualche animosità personale.

 

(capitolo 8)

 

 

Giacché Vere ha in comune con Claggart due attributi fondamentali: una cauta dissimulazione di ossessioni nascoste e un’invidia cocente suscitata in lui dalle sublimi incarnazioni del modello eroico marinaresco.

 

(capitolo 9)

 

 

Fa poca meraviglia, allora, che nella parte conclusiva del racconto Melville continui a riflettere sul cristianesimo, contro le cui tendenze antinaturalistiche ed eccessivamente complesse aveva sempre lottato. Il dissidio con Dio, che l’accompagna per tutto il corso della sua vita, è indice del livello ultimo di significato di Billy Budd, marinaio, un messaggio anche troppo delicato per rivelarlo in un modo che non sia avveduto. Per afferrare questo significato è necessario estendere la nostra metodologia al simbolismo stesso della congiura ordita da Claggart contro Billy, un’inimicizia che raramente solleva controversie tra i critici. Perfino analisi della narrazione per altri versi contrastanti fra di loro giungono ancora a concordare sul fatto che Billy si identifica con Cristo, e Claggart è una figura satanica o un anticristo. Eppure, dei circa ottanta attributi che qualificano Billy nel racconto, circa i due terzi contengono evidenti connotazioni pagane, classiche o ebraiche, e soltanto dieci si riferiscono proprio al cristianesimo. Né si dà il caso che gli epiteti tendano maggiormente a richiamarsi a valori cristiani alla fine del racconto, come hanno sostenuto molti; al contrario, il termine barbaro è enfaticamente associato con Billy per due volte mentre ci si avvicina alla fine, e il tentativo compiuto dal cappellano di avvicinare il bel marinaio suscita un rifiuto sorprendentemente vigoroso in questa figura comunemente identificata con Cristo... Mentre la sua schietta serenità, la sua balbuzie, e la sua associazione, due volte espressa, con Roma, rendono Billy più rappresentativo della civiltà classica in declino, più o meno al sorgere del cristianesimo...

Passando a considerare Claggart, il lettore deve rimanere colpito dalle descrizioni (una ventina) che lo collegano col serpente. Ma le sottolineature descrittive più frequenti, dopo di quella, si riferiscono alla deferenza di Claggart nei riguardi di chi detiene il potere o possiede la bellezza fisica (rispettivamente quattordici e nove esempi). Mentre Claggart rappresenta palesemente il male, la sua segreta macchinazione è mascherata da un volto delicato e quasi bello e dalla consapevolezza del modo migliore di ingraziarsi l’autorità.

Il testo contiene inoltre una serie di allusioni sconcertanti che con quelle esaminate si combinano in modo da produrre un messaggio allegorico del tutto opposto all’interpretazione tradizionale. Questo messaggio collega Claggart al cristianesimo sia nella fase di fondazione della religione sia nel corso del suo sviluppo. Gli elementi della narrazione che istituiscono tale rapporto sono talmente semplici che i critici li hanno trascurati... In primo luogo c’è la questione delle iniziali del nome John Claggart; poi l’epiteto che gli viene dato dal narratore, l’Uomo dei Dolori; e da ultimo l’identificazione di Claggart con un certo X di cui il narratore si avvale esplicitamente per spiegare per vie traverse il suo enigmatico capo d’armi... (Uomo dei Dolori è un epiteto, tratto da Isaia 53, che è adattato nel Nuovo Testamento in riferimento a Cristo. Il simbolo X è usato per indicare il nome di Cristo almeno dai tempi di Costantino ed è correntemente usato in America. Esso è la prima delle due lettere chi e rho con cui abitualmente si abbrevia il nome di Cristo in grafia greca...) Questa palese prova di un’identificazione Claggart-Cristo è sostenuta dal tono che assume la narrazione quando si occupa di Claggart. Il narratore fa precedere la descrizione del capo d’armi dall’ammissione della propria inadeguatezza davanti a un tale tema: Proverò a farne il ritratto, ma non riuscirò mai ad azzeccarlo in pieno...

Gli scarni dati biografici che il narratore fornisce su Claggart rivelano che la sua età al momento della morte è sui trentacinque anni, come quella di Cristo...

Considerando il ruolo di Claggart nel racconto, quello di un personaggio che riesce a scardinare i valori che sono stati prevalenti su una nave (che sono quelli fondamentalmente schietti di Billy), gli indizi che suggeriscono un’identificazione con Cristo non devono sembrare scandalosi. Nella naturalezza pagana del mondo di Billy fa ingresso la sua antitesi morale, che genera in esso, probabilmente attraverso l’errata interpretazione di parole e azioni, uno stile di comportamento nuovo ed enigmatico. Quest’uomo di troppo affabili parole si serve delle sue abilità verbali per imporre questi nuovi valori all’attenzione di un’autorità dotata di potere decisionale, che inizialmente rilutta ad accettarli. Ma colui che rappresenta l’uomo classico in declino reagisce alla nuova forza in un estremo tentativo di conservare la propria integrità eroica. La Roma pagana, espressione dei valori di schiettezza guardati con sufficienza dal narratore mellvilliano fin dall’inizio del racconto, crocifigge il nuovo venuto, di cui Melville sottilmente condanna lo stile associando Claggart-Cristo a epiteti e azioni fortemente negativi.

Ma alla fine il nuovo venuto riesce ad avere la meglio... Vere-Costantino vira, allontanandosi dai valori costituiti, e decide d’accettare e di perpetuare quelli di Claggart-Cristo. Oltre le sue speranze più temerarie, Claggart riesce dopo la morte a distruggere tutto ciò che è rappresentato da Billy, mediante l’azione ingiusta delle istituzioni che realizza il disegno violento da lui concepito. Le Notizie del Mediterraneo danno alla scelta di Vere-Costantino la forma di un resoconto scritto ― tutto ciò che è rimasto finora nei documenti umani per attestare quali uomini fossero quelli che si affrontarono sulla Bellipotent ― che falsamente fa di Billy-Roma un assassino assetato di vendetta, e di Claggart-Cristo un eroe vittima.

Melville si sforza di correggere il capovolgimento di valori attuato da quei tendenziosi cronisti mediterranei del passato. Il suo racconto, scritto in un momento di crisi del cristianesimo, esprime in maniera avveduta un punto di vista affatto nuovo sulla crocifissione, facendo del cristianesimo liniziatore nella civiltà occidentale dei valori di risentimento che sostituirono la falsità della narrazione alla verità della giustizia. Questa intrusione di motivazioni oscure e private nell’ambito dei valori collettivi finì per estendersi dal campo del diritto a quello della letteratura stessa.

Per tutta la sua vita Melville lottò contro i valori cristiani dei suoi tempi e provò ripetutamente attrazione per alternative non cristiane; ma si rese anche conto della difficoltà di trasmettere credenze profonde: In questo mondo di menzogne la Verità è costretta a volare come bianca colomba atterrita nel bosco; e soltanto attraverso brevi apparizioni si potrà rivelare, come in Shakespeare e in altri maestri della grande Arte di dire la verità, sia pure di sfuggita e per brevi tratti.

 

*

 

Torna in cima alla pagina     Home

 

*

 

Herman Mellville

Herman Mellville

Herman Mellville

 

Herman Melville (New York, 1819 - 1891), figura di primo piano della letteratura americana, esplorò temi psicologici e metafisici anticipando argomenti che avrebbero attratto l’interesse degli scrittori del Novecento. Ma le sue opere rimasero nell’oscurità fino agli anni Venti, quando il suo genio fu infine riconosciuto.

Nato da una famiglia decaduta finanziariamente, nel 1837 si imbarcò come mozzo su una nave in partenza alla volta di Liverpool. Subito dopo il ritorno negli Stati Uniti fu insegnante e poi, nel 1841, partì per i mari del Sud a bordo di una baleniera. Dopo diciotto mesi di viaggio, giunto alle isole Marchesi, abbandonò la nave e con un compagno visse per un mese tra gli indigeni cannibali. Scappò a bordo di una nave mercantile australiana che abbandonò a Papeete, dove fu temporaneamente imprigionato. Lavorò come bracciante e successivamente partì per Honolulu, dove nel 1843 si arruolò come marinaio su una fregata della marina americana. Dopo il congedo, nel 1844, cominciò a scrivere romanzi basati sulle sue esperienze e prese parte alla vita letteraria di Boston e di New York.

I primi cinque romanzi di Melville riscossero un successo immediato. Di questi, Taipi (1846), Omoo (1847) e Mardi (1849) sono opere avventurose ambientate sulle isole dei mari del Sud. Redburn (1849) è ispirato al suo primo viaggio per mare, mentre Giacchetta bianca, o del mondo di una nave da guerra (1850) è un resoconto romanzato delle esperienze dell’autore in marina. Trasferitosi in una fattoria vicino a Pittsfield, Massachusetts, si legò d’amicizia a Nathaniel Hawthorne, che influenzò notevolmente la sua opera e al quale dedicò il suo capolavoro, Moby Dick, o la balena bianca (1851).

Tema centrale del romanzo è il conflitto tra il capitano Achab, alla guida della baleniera Pequod, e Moby Dick, una grande balena bianca responsabile di aver mutilato Achab di una gamba. Deciso a vendicarsi, Achab si dirige con il suo equipaggio, di cui fa parte il narratore della storia, Ishmael, alla ricerca disperata del nemico.

Moby Dick non ebbe successo e il romanzo successivo di Melville, Pierre o delle ambiguità (1852), imperniato sulla tormentata storia d’amore tra il protagonista e due donne che assurgono rispettivamente a simbolo del bene e del male, fu un totale fiasco; la stessa sorte toccò al romanzo storico Israel Potter (1855). L’opera intitolata Racconti della veranda (1856) contiene alcune delle migliori narrazioni di Melville: di particolare vigore sono i racconti Benito Cereno e Bartleby lo scrivano, come pure i dieci bozzetti descrittivi delle isole Galápagos, Le isole incantate. Il romanzo incompiuto L'uomo di fiducia (1857), ambientato su una nave a vapore sul Mississippi, è una satira sull’egoismo dello spirito commerciale dei tempi.

Tra il 1866 e il 1885 Melville, per mantenersi, lavorò come ispettore doganale a New York. Durante questo periodo pubblicò opere di poesia, tra le quali Poesia di guerra e di mare (1866) e Clarel (1876), incentrata su un movimentato pellegrinaggio in Terra Santa. Nel 1891, poco prima di morire, portò a termine Billy Budd (1924; tradotto in italiano per la prima volta da Eugenio Montale nel 1942), che narra la vicenda di un giovane marinaio, simbolo dell’innocenza, condannato a morire dall’odio del comandante della nave, incarnazione della malvagità.

Da Billy Budd furono tratti uno spettacolo teatrale, un film  Billy Budd, 1962, di Peter Ustinov, con Terence Stamp (Billy Budd), Robert Ryan (Claggart), lo stesso Peter Ustinov (il capitano Vere) e Melvyn Douglas (il Danese)  e un’opera (1951) del compositore britannico Benjamin Britten in collaborazione con il romanziere E.M. Forster. Da Moby Dick (fra le traduzioni italiane si segnala quella di Cesare Pavese) furono tratti due film: uno, nel 1930, con John Barrymore; l’altro, più celebre, nel 1956, di John Huston, con la sceneggiatura di Ray Bradbury e interpretato da Gregory Peck.

(dall’enciclopedia Microsoft Encarta)

Richard H. Weisberg

Richard H. Weisberg

Richard H. Weisberg

Richard H. Weisberg ha insegnato Letteratura francese e comparata all’Università di Chicago ed ha esercitato l’avvocatura a Parigi e a New York. Attualmente insegna discipline giuridiche alla Yeshiva University.

 

(dalla quarta di copertina de Il Fallimento della Parola, 1984)

 

Indice dell’opera

 

Parte prima: Il conflitto tra ressentiment e giustizia

I. La scomparsa dei giusti

II. Fenomenologia e prototipo

 

Parte seconda: Il fallimento della concezione narrativa cristiana: i romanzi di argomento giudiziario di Dostoevskij

III. La legalità nell’arte e la figura del giudice istruttore

IV. La struttura spezzata di Dostoevskij

 

Parte terza: Il fallimento della concezione narrativa eroica: la letteratura francese in stato d’assedio

V. Il revisionismo di Flaubert: Salammbô

VI. Legali e legulei: L’educazione sentimentale

VII. Il legalismo degli scrittori durante il genocidio degli ebrei: le variazioni di Camus sul tema dell’Ottocento

 

Parte quarta: L’uso creativo dei codici per fini soggettivi: il caso di Billy Budd, marinaio

VIII. Trama narrativa e dimensione legalistica

IX. Il modo avveduto di esprimersi e la motivazione nascosta di Vere

 

Postfazione

 

Appendice: Quali prove può offrire l’ebreo di sangue misto per dimostrare la sua non appartenenza alla stirpe giudaica?

 

*

 

 

ScuolAnticoli è un sito indipendente diretto da Luigi Scialanca.

I materiali in esso reperibili possono essere usati da chiunque lo desideri,

purché ne citi la fonte e non se ne serva a scopi illegali.

Ciò nondimeno, ScuolAnticoli si dichiara fin da ora a disposizione

di chiunque vanti dei diritti sul contenuto di questa pagina.

Clicca qui per metterti in contatto!

 

 

*

 

 

 

*

 

Torna in cima alla pagina     Home