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Maria Gabriella Gatti

 

 

Infanzia drogata

 

da Left 24, 16 giugno 2012

 

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Genitori e operatori di base denunciano un forte incremento di psicofarmaci somministrati ai più piccoli.

L’associazione Giù le mani dai bambini scrive al ministro della Sanità Renato Balduzzi

per l’emissione di nuove linee guida per l’utilizzo degli psicofarmaci sui minori, perché gli interessi finanziari

delle multinazionali farmaceutiche non possono venire prima della salute dei nostri ragazzi.

Nel giugno 2012 Left ha chiesto un commento alla prof.a Maria Gabriella Gatti,

psicoterapeuta e docente di neurologia neonatale presso l’università di Siena.

ScuolAnticoli, convinto della sua importanza, lo ha riproposto all’inizio dell’anno scolastico 2012-2013.

 

 

La prescrizione di psicofarmaci nei bambini e negli adolescenti ha subìto a partire dagli anni Ottanta un rapido e costante incremento. Il fenomeno è ben evidente negli Stati Uniti, ma anche in Europa, sebbene in misura minore, vi è una tendenza simile. Il 10 per cento è la percentuale della popolazione infantile statunitense che soffrirebbe dell’Adhd, Sindrome da Iperattività e Deficit di Attenzione, secondo l’Oms. In tutto il mondo si valutano circa 17 milioni di casi trattati.

 

Non solo è aumentato il numero e la varietà di principi attivi ma anche la quantità di farmaci prodotti e prescritti. Sono 20 milioni le ricette compilate negli Usa ogni anno per la somministrazione dei soli psicofarmaci di tipo stimolante all’infanzia. Agli stimolanti vanno aggiunti gli antidepressivi, oltre agli antipsicotici e agli stabilizzanti dell’umore: l’entità del fenomeno del ricorso a sostanze psicoattive fin dai primi anni di vita è veramente impressionante.

 

La ricerca sugli effetti collaterali provocati dagli psicofarmaci a livello fisiologico e sullo sviluppo della psiche dei bambini e adolescenti rimane però molto carente. I bambini non possono essere semplicisticamente considerati degli adulti in miniatura. I processi che controllano l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo, l’escrezione e gli effetti farmacologici dei medicinali sono ancora immaturi nei bambini. Inoltre la maggior parte dei farmaci psicotropi prescritti per pazienti pediatrici non sono stati testati in studi controllati e il dosaggio necessario per i giovani pazienti è stato stimato tenendo semplicemente conto del peso corporeo in rapporto a quello degli adulti.

 

Molti medicinali psico-attivi hanno effetti collaterali significativi. Gli stimolanti, analoghi delle anfetamine, utilizzati nella terapia dell’Adhd, hanno ripercussioni sull’attività cardiaca, con conseguenze a volte letali, e sulla produzione dell’ormone della crescita.

 

Il più grande studio compiuto riguardo all’uso degli stimolanti nei bambini, pubblicato nel 2009 da Molina Brooke nel Journal of the American Accademy, ha mostrato come nel lungo termine l’uso di tali farmaci non solo perda di efficacia ma conduca a un peggioramento della sintomatologia. Va aggiunto che lo studio rivelava che i bambini che avevano assunto stimolanti erano cresciuti meno in altezza e peso. Inoltre, come evidenziato da una nota della Food and Drugs Administration americana (Fda), gli stimolanti, oltre a disturbi del sonno, perdita di appetito, frequenti crisi di pianto, possono indurre mania e psicosi. Nel 2003 l’Agenzia inglese di controllo dei medicinali (Mhra) aveva deciso di vietare la prescrizione degli antidepressivi al di sotto del diciottesimo anno di età.

 

Nel 2004 la prestigiosa rivista britannica Lancet evidenziava come l’uso di antidepressivi nell’infanzia non avesse alcuna efficacia terapeutica e fosse sostenuto da pochi studi non significativi. Nel 2005 l’Agenzia Europea dei Medicinali ha messo il luce una correlazione fra l’uso di antidepressivi nei bambini e negli adolescenti e l’aumento di comportamenti aggressivi e a rischio suicidario; mentre, a questo proposito, la Food and Drugs Administration americana ha stabilito addirittura di utilizzare un black box warning come massimo grado di avvertenza fra i cinque disponibili.

 

È chiaro, a questo punto, che lo psichiatra che somministra psicofarmaci mette in atto un’impotenza terapeutica e conferma l’idea di incurabilità della malattia mentale, che invece è alterazione del pensiero e non deficit organico. Partendo dal presupposto senza fondamento scientifico di una causa genetica e di una alterazione neurotrasmettitoriale che sarebbe presente fin dalla nascita si cancella ogni possibilità di ricerca sul ruolo patogeno dei rapporti umani. Nelle lesioni cerebrali da cause perinatali si possono evidenziare carenze cognitive, ritardi di sviluppo, ma non patologie del pensiero, che può essere semplice ma non malato. L’unico intervento possibile nelle patologie psichiche dell’infanzia è la psicoterapia basata nel valutare la relazione del bambino con i genitori, i rapporti con gli altri bambini, la qualità del linguaggio verbale o non verbale e il suo carattere di ripetizione o spontaneità. Nel corso del trattamento lo psichiatra interpreta le dinamiche patologiche nelle quali sono coinvolti i genitori: egli deve comprendere la dimensione irrazionale del bambino, i suoi movimenti interni, la sua identità profonda rendendoli accessibili al padre ed alla madre. I genitori, per pregiudizi culturali, considerano spesso il figlio tabula rasa fin dalla nascita o naturalmente cattivo o perverso. L’unico rapporto possibile con quest’ultimo sarebbe allora la repressione o l’indottrinamento razionale.

 

E quando l’educazione genitoriale o scolare falliscono subentra il contenimento e la repressione farmacologica. Siamo immersi in una cultura che da sempre ha negato che l’origine del pensiero è alla nascita per la trasformazione della realtà biologica. Il neonato è psichicamente sano, persona con una sua identità fatta di pulsioni, immagini e movimenti senza parola. Già nelle prime ore di vita il bambino si rivolge, senza incertezza, verso il volto e la voce della madre piuttosto che verso oggetti inanimati: si struttura così, durante il primo anno, un rapporto che ha un carattere soprattutto non cosciente. La psicoterapia è l’unico metodo che consente di ricreare la dimensione irrazionale della nascita che dà un senso alla vita ed è alla base della relazione sana fra il bambino e il mondo umano che lo circonda.

 

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