L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

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La Terra vista da Anticoli Corrado

 

diario del Prof (scolastico e oltre)

 

novembre 2010

 

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venerdì 19 novembre

 

Le giuro che non ho voluto offenderla, signor Lavaccara!...

 

Giuro che non ho voluto offendere il signor Lavaccara...

 

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Giuro che non ho voluto offendere il signor Lavaccara né una volta né due, come in paese si va dicendo.

 

Il signor Lavaccara mi volle parlare d’un suo porco per convincermi ch’era una bestia intelligente.

 

Io allora gli domandai:

 

“Scusi, è magro?”

 

Ed ecco che il signor Lavaccara mi guardò una prima volta come se con questa domanda non propriamente lui ma avessi voluto offendere quella sua bestia.

 

Mi rispose:

 

“Magro? Peserà più d’un quintale!

 

E io allora gli dissi:

 

“Scusi, e le pare che possa essere intelligente?”

 

Del porco si parlava. Il signor Lavaccara, con tutta quella rosea prosperità di carne che gli tremola addosso, credette che io dopo il porco ora volessi offendere lui, come se in genere avessi detto che la grassezza esclude l’intelligenza. Ma del porco, ripeto, si parlava. Non doveva dunque farsi così brutto il signor Lavaccara né domandarmi:

 

“Ma allora io, secondo lei?”

 

M’affrettai a rispondergli:

 

“O che c’entra lei, caro signor Lavaccara? È forse un porco lei? Mi scusi. Quando lei mangia col bello appetito che Dio le conservi sempre, per chi mangia lei? mangia per sé, non ingrassa mica per gli altri. Il porco, invece, crede di mangiare per sé e ingrassa per gli altri.

 

Mica rise. Niente. Mi restò lì piantato e duro davanti, più brutto di prima. E io allora, per smuoverlo, soggiunsi con premura:

 

“Poniamo, poniamo, caro signor Lavaccara, che lei con la sua bella intelligenza fosse un porco, mi scusi. Mangerebbe lei? Io no. Vedendomi portare da mangiare, io grugnirei, inorridito: «Nix! Ringrazio, signori. Mangiatemi magro!» Un porco che sia grasso vuol dire che questo ancora non l’ha capito; e se non ha capito questo, può mai essere intelligente? Perciò le ho domandato se il suo era magro. Lei m’ha risposto che pesa più d’un quintale; e allora mi scusi, caro signor Lavaccara, sarà un bel porco il suo, non dico, ma non è certo un porco intelligente”.

 

Spiegazione più chiara di questa mi sembra che non avrei potuto dare al signor Lavaccara. Ma non ha valso a nulla. Anzi è certo che ho fatto peggio; me ne sono accorto parlando. Più mi sforzavo di render chiara la spiegazione e più il signor Lavaccara si scuriva in viso, masticando:

 

“Già... già...”

 

Perché certo gli è parso che io, facendo ragionare quella sua bestia come un uomo, o meglio, pretendendo che quella sua bestia ragionasse come un uomo, non intendessi mica parlare della bestia, ma di lui.

 

È così. So difatti che il signor Lavaccara va portando in giro il mio discorso per farne risaltare la fatuità agli occhi di tutti, perché tutti gli dicano che non avrebbe senso quel mio discorso riferito a una bestia la quale anch’essa crede di mangiare per sé e non può sapere che gli altri la facciano ingrassare per conto loro; e se un porco è nato porco che può farci? per forza come un porco deve mangiare, e dire che non dovrebbe e dovrebbe rifiutare il pasto per farsi mangiar magro è una sciocchezza, perché un tal proposito a un porco non può mai venire in mente.

 

Siamo perfettamente d’accordo. Ma se me l’ha cantato lui, santo Dio, il signor Lavaccara, lui in tutti i toni, che quella sua bestia la parola sola le mancava! Io gli ho voluto dimostrare appunto che non poteva averla e non l'aveva per sua fortuna questa famosa intelligenza umana; perché un uomo sì, può permetterselo il lusso di mangiare come un porco, sapendo che alla fine, ingrassando, non sarà scannato; ma un porco no, no e no. Perdio, mi sembra così chiaro!

 

Offendere? ma che offendere! io ho voluto anzi difendere contro se stesso il signor Lavaccara e conservargli intero il mio rispetto e levargli fin l’ombra del rimorso d’aver venduto quella sua bestia perché fosse scannata alla festa del Signore della Nave. Se no, alle corte: m’arrabbio sul serio e dico al signor Lavaccara che, o il suo porco era un porco qualunque e non aveva questa famosa intelligenza umana che lui va dicendo, o il vero porco è lui, il signor Lavaccara; e ora lo offendo per davvero.

 

Questione di logica, signori. E poi qui è in ballo la dignità umana che mi preme salvare ad ogni costo, e non potrei salvarla se non a patto di convincere il signor Lavaccara e tutti quelli che gli dànno ragione, che i porci grassi non possono essere intelligenti, perché se questi porci parlano tra sé come il signor Lavaccara pretende e va dicendo, non essi, ma la dignità umana appunto sarebbe scannata in questa festa del Signore della Nave. (Da Il Signore della Nave, di Luigi Pirandello, Novelle per un anno. Candelora, Milano, 1987, Arnoldo Mondadori Editore, pp 15 - 17).

 

(Post scriptum di ScuolAnticoli: qualcuno ad Anticoli Corrado e nella Valle dell’Aniene anche questa volta vorrà andare in cerca di somiglianze fra il testo e il contesto di questa deliziosa novella e recenti o antichi fatti e misfatti noti e meno noti di questi nostri bei Paesi? Speriamo di no. Ma chi fosse così testardo da voler tentarlo e avesse tempo ed acume da perdere a tal bisogna, be’, ci permetta almeno di suggerirgli di non accontentarsi di scoprire soltanto chi rappresenti, per noi, l’offeso signor Lavaccara, ma anche e soprattutto chi rappresenti il suo porco. Che mangia e ingrassa non per sé ma per lui, per il signor Lavaccara. E che dal signor Lavaccara è ammazzato, scannato, arrostito, divorato e cacato non una sola volta, il dì della festa del Signore della Nave, ma ogni benedetto giorno che il Sole manda in Terra).

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lunedì 1° novembre

 

 

In che secolo vive Nicola Vendola?

 

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Sprizzavano eccitazione il 25 ottobre i quotidiani, i blog, i post su Facebook (e magari anche le tv, ma non avendo un televisore non possiamo esserne certi) per la formidabile intervista di Nicola Vendola del giorno prima. Formidabile? Be’, in effetti sì: un po’ di paura ce l’ha messa, al pensiero che il candidato leader della Sinistra italiana giudicato (quasi) all’unanimità come il più “promettente” (benché le sue promesse dipendano molto da chi ha davanti) si esprima come un candidato alla beatificazione...

 

(Per inciso, se lo chiamiamo Nicola e non Nichi è perché gli adulti che continuano a “portare” un diminutivo, anziché il proprio integro nome ― come Gino invece di Luigi ― suscitano in noi il desiderio di soccorrerli, di aiutarli a superare il “rimpicciolimento” che forse subirono, nell’infanzia, da parte di chi forse aveva creduto alla millenaria bugia che vuole i “piccoli” un po’ meno umani dei “grandi”...)

 

La frase più impressionante di quell’intervista, a nostro giudizio, è la seguente: Tra le tante mie diversità vi beccate anche questa: sono innamorato di Cristo, che morendo in croce ha ribaltato i simboli del potere (L’Unità, lunedì 25 ottobre). Sì: l’uomo che per una parte della Sinistra è Il Nuovo, con le iniziali maiuscole, e che in tali magiche sembianze la entusiasma fino all’innamoramento, è invece innamorato di Cristo. E come mai? Perché Cristo, morendo in croce, avrebbe ribaltato i simboli del potere.

 

Ha un significato questa frase? Il solo significato a cui riusciamo a pensare, per “giustificare” in qualche modo l’innamoramento di Nicola Vendola per Gesù, è che egli (Nicola Vendola) creda che nell’anno 33, morendo in croce, Cristo abbia sostituito la Croce al Trono come simbolo del potere, e l’essere Vittima all’essere Carnefice come titolo al potere. Ora ― mettendo fra parentesi, per un momento, che l’idea di essere governati da una sorta di Vittimocrazia Crociata fa gelare il sangue nelle vene ― siamo sicuri che le cose siano andate proprio così? E a che serve una Sinistra, allora? Gli oppressi sono andati al potere millenovecentosettantasette anni fa, gli oppressori sono ruzzolati nella polvere da venti secoli, di che altro abbiamo bisogno? Solo di accorgercene, e ogni tiranno o tirannello superstite morirà di vergogna, al pensiero di essere così obsoleto. Solo di accorgercene, e sarà Nicola Vendola (Il Nuovo... Unto del Signore?) a comunicarci la Buona Novella che Dio è grande, che noi al Suo cospetto siamo minuscoli ― e però, vivaddio!, da inferiori anche tutti uguali ― e che Nichi è il Suo (e nostro) profeta.

 

Nicola Vendola, Il Nuovo, sarebbe dunque il nunzio di una “verità” “rivoluzionaria” di cui venti secoli di Storia, dalla persecuzione dei Pagani alle violenze sui Bambini, han pienamente dimostrato non solo l’impotenza dinanzi al potere, non solo (eccettuate alcune nobili figure, per altro non meno impotenti) la complicità col potere, ma ― quel ch’è peggio ― la funzione di ispiratrice ideologica, nel suo essere invece menzogna sull’Essere umano, delle peggiori degenerazioni del potere?! Ma si può?!

 

Indicare agli Oppressi il Cristo sulla Croce, con buona pace di Nicola Vendola, è menzogna perché è indicare loro la morte, subìta o inflitta, come unica “via d’uscita” dall’oppressione: il martirio che fa del sacrificato il signore di chi ne ha fatto la vittima, l’impero del mors tua vita mea, l’opposto assoluto di una Società compiutamente umana. E come potrebbe essere altrimenti, se già l’idea di Dio ― sulla quale la “geniale” invenzione del sacrificio umano si fonda ― altro non è che l’idea che l’oppressione dell’Essere umano, di ogni Essere umano, sia necessaria e inevitabile per quella che sarebbe la natura “inferiore”, “impura”, dell’Essere umano stesso? Menzogna ma in buona fede? Ma come lo si può ancora credere, dopo millenni di tragici fallimenti di tutte le religioni, nessuna esclusa? Gli “unti del Signore” potevano essere in in buona fede nell’anno 1000, nel 2000 mentono. O, se non mentono, stanno male.

 

Sì, lo sappiamo: molti fan di Vendola (meno male che Nicola c’è?) affermano e giurano, facendo occhiolino, che Nicola Vendola non sarebbe affatto il santarellino che proclama di essere: fingerebbe, con doppiezza comunista, per conquistare voti cattolici, rabbonire i chierichetti del Pidì, ingraziarsi i Centristi e magari, perché no?, anche “far fessa” qualche tonaca più credulona di altre. Bella immagine, eh? Sarà una coincidenza che molti Pidiellìni parlino di Silvio con analogo cinismo? Ma per noi, spiacenti, il discorso non cambia: se è disprezzo per gli Umani pensarli come inferiori sotto un “Essere” “superiore”, così è disprezzo per gli Umani che credono in un “Essere” “superiore” tentare di ingannarli fingendo di condividerne la fede. E Nicola Vendola, dunque, in un modo o nell’altro non la conta giusta.

 

La Sinistra ― e specialmente quella italiana, ridotta com’è e in un Paese che non ha eguali al mondo per la sudditanza della sua classe politica a una teocrazia ― si attende e cerca e desidera ben altro che un “nuovo” unto del Signore “di sinistra”. La Sinistra si attende e cerca e desidera una ricerca sui Diritti umani libera sia dal pregiudizio che essi si fondino sul... divino, sia dal pregiudizio che essi non possano derivare che dal lavoro e dunque, ancora una volta, non dall’evoluzione, che ci ha reso umani per nascita, ma dall’investitura di una Società divinizzata. Basta. Non se ne può più. Siamo stanchi di sentirci riproporre da furbi e furbetti i cascami di idee fallite da secoli, e dai loro fan il desolante spettacolo di cicliche infatuazioni, per i suddetti furbi e furbetti “di sinistra”, che dopo la sbornia puntualmente ci riconsegnano ― ancora più delusi, ancora più distrutti ― ai furboni e furbastri di Destra. Basta. Staccatevi dalle tv e dai boccali, cari compagni, e fate funzionare i cervelli che né Dio né altri vi hanno dato.

 

(Guarda caso, il giorno dopo la vendoliana esaltazione della Morte in Croce come ribaltamento dei simboli dell’oppressione, Antonio Gnoli per La Repubblica intervista Niccolò Ammaniti sul suo nuovo romanzo, Io e te, e lo scrittore dichiara: “Potevo scegliere un finale aperto. Ma quella ragazza, con la sua grande forza ed energia, è al tempo stesso esposta a una grande debolezza. Ed è solo perché lei si perde completamente, cancellandosi, che Lorenzo può aspirare a una vita diversa, può finalmente uscire dal suo bunker”. Come ti sbagli? Ancora una volta ― come da duemila anni a questa parte ― mors tua sarebbe vita mea: qualcuno deve sacrificarsi, qualcuno deve crepare, qualcuno dev’essere crocifisso, perché qualcun altro possa vivere o, almeno, “aspirare” a vivere. Qualcuno, cioè, dev’essere meno umano ― o del tutto non umano, cioè cadavere ― perché altri possano essere pienamente umani o, almeno, “aspirarvi”, come dice, con impagabile sadismo, l’Ammaniti. Che il 29 ottobre, nuovamente intervistato sul Venerdì di Repubblica ― il “partito” scalfariano italiano è sempre in prima linea, quando si tratta di “promuovere” pessimismo “di sinistra” nei riguardi dell’Umanità ― da quattro svegli liceali romani che intuiscono che nel suo “discorso” c’è qualcosa che non va (“Lei sostiene che un adolescente è un alieno e lo racconta facendo allusioni di tipo animale. Sono metafore della psicologia umana?”) allegramente lo ammette e con supponenza lo rivendica: “Ho studiato biologia, sono appassionato di etologia. Ogni animale conquista il suo spazio per vivere, scegliendo (sic) una strategia. In questo ci vedo anche comportamenti umani. Anche fisicamente le persone somigliano ad animali. Io le guardo e vedo bradipi, cammelli”. Implacabilmente ovvio: l’Umano che sarebbe umano solo per il divino, cioè per un bel niente, “logicamente” si ritrova a essere un animale come gli altri, senza un bel niente che lo distingua come animale umano. E allora lo ripetiamo: basta. Non ne possiamo più di queste millenarie bugie fritte e rifritte, non ne possiamo più, soprattutto, di questo millenario, macabro ricatto. Siamo umani tutti, e ci realizzeremo pienamente tutti ― senza alcun bisogno di sacrifici umani che non “ribaltano” un fico secco, senza che nessuno debba fare il bradipo o l’agnello perché altri possano fare i cammelli o i lupi ― perché finalmente accetteremo che niente è soprannaturale in noi: che siamo Umani, tutti, perché l’Umanità che ci distingue dagli altri animali, in altro non consistendo che nelle fisiologiche caratteristiche della materiale sostanza cerebrale con cui veniamo al mondo, non necessita, per essere da Noi ottenuta, di alcun sacrificio, ma solo di quel po’ di sana ginnastica che tutti abbiamo fatto per uscire dalle nostre mamme e vedere la luce).

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