L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

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La Terra vista da Anticoli Corrado

 

diario del Prof (scolastico e oltre)

 

dicembre 2010

 

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venerdì 31 dicembre

 

 

Un anno senza tv. E scopro che non mangiar più merda... è bellissimo!

 

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 Sì, perché oggi, 31 dicembre, non sto festeggiando solo la fine del 2010 e l’inizio del 2011 (a proposito: auguri a Tutti!) ma anche il compimento del primo meraviglioso anno senza tv della mia vita (dal 1957, ahimé) e l’inizio del secondo.

 

Festeggiando? Sciogliendo Inni alla Gioia, dovrei piuttosto dire.

 

E io che pensavo, un anno fa, quando il passaggio del Lazio al digitale terrestre mi diede la spintarella decisiva, che non potendo più sintonizzarmi avrei letto di più, tutto qui.

 

Ne ero contento, naturalmente, ma credevo che non ci sarebbe stato altro.

 

Come mi sbagliavo! Intossicato com’ero, sottovalutavo grossolanamente gli effetti positivi della disintossicazione. Proprio così: non solo mangiavo merda da una vita, avevo perfino dimenticato quanto ci si sente meglio dopo un po’ che si è smesso di mangiarla.

 

Tanto che i primi mesi non facevo che estrarre videocassette dagli scaffali (ne ho circa 3.000) o comprar dvd, e a sere alterne ero di nuovo davanti allo schermo: a vedere film, bei film che desideravo vedere e che avevo scelto io, senza che nessun palinsesto me li imponesse, ma pur sempre davanti allo schermo come se non accenderlo fosse una privazione.

 

Un po’ come quando smisi di fumare, nel 1998, e all’inizio mi sembrava che non ci sarei riuscito, che non potessi farne a meno. Mentre poi, quando iniziarono i capogiri e il medico mi spiegò che non dovevo preoccuparmene, era solo che il mio cervello non era più abituato a ricevere dai polmoni tutto quell’ossigeno, allora cominciai a capire che sarei stato meglio.

 

Lo stesso è accaduto con la tv: a poco a poco non accenderla è diventato un piacere, e oggi l’intossicazione si è capovolta: se una volta alla settimana l’accendo (per un bel film che non ho fatto in tempo a vedere al cinema, o un vecchio che desidero rivedere per farci sù nuovi sogni) ecco che già mi manca la lettura! E non solo: la lettura stessa sta cambiando, sta tornando quella di quand’ero bambino e ragazzino, mi avvince ed emoziona come fino a un anno fa accadeva sempre più raramente. E le idee pullulano e fioriscono come una nuova primavera mentale, e...

 

Ma non vorrei dar l’impressione che la cosa sia solo intellettuale, astratta: perfino il cibo è diventato più saporito, da quando non lo mescolo più con la merda! Perfino l’aria di casa è più pulita, da quando non ha più quel cattivo odore! E, chissà, qualcosa mi dice che se l’amore tornasse a trovarmi (per la serie non è mai troppo tardi) anche da quel punto di vista scoprirei quanto fa bene anche fisicamente non mangiar più merda, non mangiarne più mai, non mangiarne più assolutamente!

 

Si dirà, probabilmente: ma perché parli di merda? Perché la chiami merda? Mica è tutta merda, alla fin fine! Ma io rispondo: e se non è merda, se non è tutta e proprio tutta merda, come mai sto così bene adesso che non la mangio più?

 

Se stessi soltanto un po’ meglio, potrei convenire che in fondo non fosse tutta merda, quella che ingurgitavo dalla tv... Ma sto meglio così tanto!

 

Un’unica volta, in questi dodici mesi, la libertà dall’imbuto catodico cacciato a forza nella gola mi è un po’ spiaciuta: quando Rai3 ha trasmesso Vieni via con me. Non tanto per Fazio o Littizzetto, che mi son sempre sembrati solo un po’ meno perbenini del Floris, ma per Saviano, che stimo come pochi.

 

Sì, non vederlo, non ascoltarlo, un po’ mi è dispiaciuto, lì per lì. Ma ecco, è passata qualche settimana e sai che c’è? Non me ne frega già più niente.

 

Poiché la verità è quella che (sotto sotto) sapevo benissimo anche per tutti gli anni e i decenni in cui mi son voluto illudere che non farsi ingozzare di merda dalla tv sia solo questione di saper scegliere: non è così. Non ero io che sceglievo, era la tv che lo faceva. Una sera c’era Fazio, e va bene. Ma poi un’altra c’era Iacona, e un’altra la Gabanelli, e un’altra Piero Angela, e un’altra Tozzi, e tutte quante c’era 8 e mezzo (poiché bisogna pur informarsi) e in attesa di 8 e mezzo tanto valeva vedersi il tg, e dopo 8 e mezzo vediamo un po’ se c’è un buon film, e poi la pubblicità, la pubblicità, la pubblicità, e il Berlusconi che salta sempre fuori come un mostruoso babau da romanzo di Stephen King, e questo, e quell’altro... Basta! Alla fine è un intruglio vomitevole, lo diventa anche se non lo è, e in quanto intruglio è merda.

 

Non vogliamo chiamarla merda? D’accordo. Allora chiamiamola disperazione. La tv t’ingozza di disperazione contro gli Esseri umani. Non te n’accorgi finché non smetti di mangiarne, e ti dai tempo, e scopri che non solo stai meglio, ma stai meglio così tanto.

 

Al punto che, se la riaccendi, vai in crisi d’astinenza. Dalla speranza.

 

 

E per saperne di più...

 

Massimiliano Novelli intervista Luigi Scialanca sulla televisione

 

e

 

L'abuso di tv come possibile concausa di lesioni cerebrali e demenza

 

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lunedì 20 dicembre

 

Molto opportunamente L'Unità del 20 dicembre ha contrapposto la faccia del regime alle facce delle Ragazze e dei Ragazzi italiani: da una parte l'odio e la rabbia, dall'altra la creatività e la lotta.Molto opportunamente L'Unità del 20 dicembre ha contrapposto la faccia del regime alle facce delle Ragazze e dei Ragazzi italiani: da una parte l'odio e la rabbia, dall'altra la creatività e la lotta.

 

Figli dell’odio contro i Giovani in lotta

 

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Lo scopo delle ingiurie “a freddo” del La Russa o delle “trovate” sempre più fasciste del Maroni e del Gasparri (divieto di manifestare e arresto preventivo per chi è sospettato di intenzioni violente, lesivi entrambi dei Diritti Umani) non è meno evidente dell’odio che ne rende inguardabili i ceffi: il berluscìsmo e il leghìsmo ― mentre da un lato, con la “riforma” Tremonti-Gelmini, demoliscono la Scuola e l’Università e abbandonano milioni di Ragazze e di Ragazzi all’insensatezza e alla ferocia delle tirannie private ― dall’altro, umiliandoli, insultandoli, provocandoli, tentano di indurli alla disperazione e alla violenza per servirsene come pretesto per imporre le leggi liberticide che da sempre hanno in mente contro tutti Noi. Ci riusciranno? Non dipende da loro. Dipende dai Giovani, che invece stanno difendendo il proprio futuro e quello del Paese con un’umanità (un’immaginazione, un’intelligenza, una generosità, una calma, una resistenza) che a prima vista appaiono di gran lunga più intatte e più sane di quanto si aspettavano, ipnotizzati dai media, molti spregiatori delle nuove generazioni.

 

Io non penso che i La Russa, i Maroni e i Gasparri riusciranno tanto facilmente a far credere a questi Giovani di non avere altra risorsa che la violenza, a farli sentire ― cioè ― come prede o predatori non umani. Più che i La Russa, i Maroni, i Gasparri ― dalle cui fisionomie solo i poveretti che li hanno votati potevano lasciarsi ingannare fino a distruggersi per loro ― (o, sul versante apparentemente opposto, più che i falsi “maestri”, nostalgici degli anni di piombo, che imperterriti continuano a uscire dalle tombe bramosi di carne giovane) chi soprattutto può far impazzire i Ragazzi e le Ragazze in lotta sono i falsi amici, coetanei o poco più vecchi, pochi ma del tutto matti, che inebetiti o tracotanti gli si trascinano dietro (nelle aule, nelle piazze, nella realtà virtuale dei social network) per poi a un tratto inconsultamente colpirli tentando di coinvolgerli in teorizzazioni e azioni non meno stupide che violente.

 

Falsi amici come quelli che ieri, devastato il liceo Caetani di Roma, rotti i vetri delle finestre, rubati i computer, fatti a pezzi sedie e banchi, imbrattati i muri, svuotati gli estintori, hanno poi firmato l’impresa (La Repubblica, lunedì 20 dicembre 2010) lasciando su una parete dell’ufficio del preside un versetto della Bibbia (“se un esercito si accampasse contro di me, il mio cuore non avrebbe paura; se infuriasse la battaglia contro di me, anche allora sarei fiducioso; una cosa ho chiesto al Signore e quella ricerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita”) a testimonianza, l’ennesima, del retroterra “culturale” e famigliare intriso di religiosità che certi individui hanno alle spalle. O falsi amici come i giovinastri, spesso provenienti dalle file della destra, anche estrema ― nullafacenti senz’arte né parte, ma abili nell’incantare gli sprovveduti fingendosi raffinati intellettualini nichilisti, teorizzatori del superamento delle ideologie ― che su Facebook, a ogni ora del giorno e della notte, incitano gli “amici” alla violenza come unica igiene del mondo. Ben più dei vecchiacci che dall’alto del Potere (o dal fondo di certi anfratti di sedicente opposizione) secernono l’eterna ripetizione del passato come eterna riproduzione di sé, i più subdoli nemici dei Giovani in lotta sono altri Giovani, pochi e in apparenza simili a essi ma del tutto matti, che li odiano per la loro intatta genialità umana.

 

Ha scritto un altro Giovane, Roberto Saviano, su La Repubblica di giovedì 16 dicembre: “Chi ha lanciato un sasso alla manifestazione di Roma lo ha lanciato contro i movimenti di Donne e Uomini che erano in piazza, chi ha assaltato un bancomat lo ha fatto contro chi stava manifestando per dimostrare che vuole un nuovo Paese, nuove idee, una nuova classe politica”. E ha scritto bene, come meglio non potrei certo fare io. Io, invero, posso solo raccontare la mia esperienza di giovane manifestante di tanti anni fa: non per trarne lezioni”, se riesco a evitarlo, ma per cercare di immaginare, con l’aiuto della memoria, cosa sentano le Ragazze e i Ragazzi di oggi quando qualcuno di loro ― qualcuno che sembra qualcuno di loro ― a un tratto inconsultamente li coinvolge, nella realtà delle aule e delle piazze o nella realtà virtuale dei social network, nella sua disperazione e follia fino a quel momento insospettate...

 

L’esperienza, intendo, del 12 marzo 1977, quando partecipai all’ultima manifestazione della mia vita fino a quelle di questi anni contro il berluscìsmo e il leghismo. Trentun anni senza scendere in piazza, e non certo perché non labbia mai desiderato: quasi ogni giorno avrei voluto farlo! Ma il 12 marzo 1977, a ventisei anni non ancora compiuti, giurai a me stesso che mai più avrei permesso a qualcuno di fare di me lo “scudo umano” di un’azione violenta. Che mai più avrei contribuito con la mia presenza a creare il “numero”, la “massa” protettiva, il “mare” in cui potessero “nuotare” indisturbati i “pesci” che quel giorno si servirono di me e di decine di migliaia di compagni come di scudi, umani, per i loro atti disumani. Mai più. E ho mantenuto l’impegno per trentun anni. Poiché il giorno prima, venerdì 11 marzo 1977, a Bologna, nel corso di una serie di scontri a fuoco tra cosiddetti Autonomi e Forze del cosiddetto ordine, era stato ucciso Vincenzo Lorusso. E così il giorno dopo, a Roma, un immenso Corteo di protesta e di lotta contro la repressione partì da piazza della Repubblica diretto... diretto dove? Non lo ricordo più. Ricordo, invece, che quel pomeriggio, infine, dopo nove anni di lotta sempre più disperata, noi centinaia di migliaia di Ragazzi e di Ragazze ci ritrovammo soli in una capitale d’Italia non “blindata”, no ― magari fosse stata “solo” blindata ― ma completamente sprangata. Abbassata ogni saracinesca, serrata ogni finestra, inchiavardato ogni portone di Roma, noi centinaia di migliaia di Giovani in lotta ci ritrovammo infine completamente soli, abbandonati da tutti. Proprio da tutti? No. Erano rimasti gli sbirri. Gli unici per i quali esistessimo ancora, gli unici presenti, gli unici che non solo dovessero ma volessero (come dimostrato dalla convinzione e intensità delle loro botte) essere e restare in rapporto con noi, gli unici che anche quel giorno a modo loro ci abbracciarono e ci tennero stretti, furono gli sbirri.

 

Aveva detto, insensatamente, Pier Paolo Pasolini: “La matrice che genera tutti gli Italiani è ormai la stessa. Non c’è più dunque differenza apprezzabile, al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando, tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che più impressiona, fisicamente interscambiabili”. Ma Pasolini non sapeva quel che diceva. O forse mentiva. La sua “interscambiabilità” è una bruttissima panzana oggi (basta non esser ciechi o pazzi nel confrontare, qui sopra, la rabbia del Gasparri berluscìsta e la “rabbia” della Ragazza in lotta contro il berluscìsmo) ed era una bruttissima panzana anche negli anni ’70. Ma in una cosa ― in una cosa sì, effettivamente ― una parte di noi centinaia di migliaia di Giovani in lotta e una parte degli sbirri con cui rimanemmo soli eravamo davvero “interscambiabili”: c’erano, tra di noi e tra di loro, molti Figli di Papà. Figli di padri e di maestri più o meno folli che avevano tentato e talvolta erano riusciti a farci impazzire ― noi con le bugie religiose o ideologiche e talora con le botte, gli sbirri a forza di botte e anche di bugie ― per fare di entrambi le prede della violenza “intellettuale” e fisica del Potere e di certi anfratti di sedicente opposizione. E come prede e predatori non umani, infatti, molti di noi e di loro ormai si braccavano, si aggredivano, si uccidevano, anziché da Esseri umani lottare insieme contro gli stupidi, pazzi, violenti, grandi e piccoli padri e maestri pieni d’odio che avevano tentato e talvolta erano riusciti, a bugie e a botte, a farci impazzire a loro immagine e somiglianza.

 

Fu così che quel sabato 12 marzo 1977, poco dopo la partenza da piazza della Repubblica, a un certo punto di via Cavour vidi una decina di Ragazzi come noi ― che sembravano come noi ― saltar fuori dal Corteo, come schizzando da invisibili molle giganti, per fare a pezzi a colpi di spranga le vetrate di una banca. Ricordo che ingenuamente ― da vero figlio di mamma, oltre che di papà ― mi domandai come facessero a non aver paura delle schegge che piovevano su di loro a migliaia, se esse invece terrorizzavano me che ero a metri di distanza? Non sapevo, non capivo, da vero figlio di intellettuali come Pasolini, che non c’è, non c’è mai stato né mai ci sarà alcunché di “interscambiabile” fra la sensibilità di una pelle umana sana e quella di chi, da “guardia” o da “ladro”, si riduce a poter colpire e ferire un altro. E così ancora, metro dopo metro, per via dei Fori imperiali, attraverso piazza Venezia, giù per via dei Cerchi, semisoffocato da nubi di lacrimogeni stagnanti su luoghi per i quali fortunosamente passavo o prima o dopo gli accadimenti che li avevano disseminati di sangue e di schegge, sempre più impaurito, sempre più certo che per nulla al mondo era umanamente ancora possibile essere lì. Finché arrivai, sul Lungotevere all’altezza di ponte Sisto, dinanzi a una grande armeria che da pochi minuti era stata presa d’assalto e dalla quale in quel momento altri Giovani come me, che sembravano come me, uscivano senza un grido, in perfetto silenzio udibili solo per il violento scalpiccìo della corsa e per l’orrore che suscitavano nel mio cuore carichi di fucili e di pistole e di munizioni con cui nel loro cuore già si presentivano sparare e ammazzare. E quella vista, finalmente, per me e per i compagni e amici con cui ero, mise la parola fine a quella e a ogni altra manifestazione che allora potessimo prevedere: svicolammo sul primo ponte che trovammo, fuggimmo dall’altra parte del Tevere inseguiti da ventate di gas e di sirene, e quando ormai era buio, in vie lontane ma non meno sprangate di quelle del centro, trovammo qualcuno che per pietà ci lasciò rifugiare nell’androne di un palazzo.

 

Due mesi dopo, non lontano dal luogo di quell’estrema rinuncia, sparatori rimasti sconosciuti uccisero una ragazza di diciannove anni, Giorgiana Masi. Un anno dopo, fu ritrovato ucciso Aldo Moro.

 

“Posso solo raccontare la mia esperienza di giovane manifestante di tanti anni fa,” ho scritto, “non per trarne lezioni, se riesco a evitarlo, ma per cercare di immaginare, con l’aiuto della memoria, cosa sentano le Ragazze e i Ragazzi di oggi...” E ne sono certo: trarne “lezioni”, in effetti, è impossibile ― e quindi stupido, e quindi folle e violento, da “padre” o “maestro” pieno d’odio che tenti di far impazzire ― perché i Giovani in lotta in questi giorni sono, e si sente e si vede, Esseri umani quasi tutti “diversi”, in un modo che immagino ma non so descrivere (più sani?, più intatti?) dai Giovani di allora. E dunque posso davvero solo raccontare loro la mia esperienza e sperare con tutte le forze, con tutto l’amore, che questa diversità (più sana?, più intatta?) questa volta sia così forte da riuscire a non farsi scacciare, come fui scacciato io, dalle vie e le piazze del nostro Paese; da riuscire a non farsi stuprare dai sempre identici figli dell’odio che ancora e sempre tentano e tenteranno di farla impazzire. I quali sono in parte gli stessi di allora divenuti padri e “maestri” ― i Gasparri, i Maroni, i La Russa ― e in parte ne sono i “figli” e “allievi” fatti impazzire a loro immagine e somiglianza. Poiché i figli dell’odio sono il Jack Torrance di Shining, di Stanley Kubrick: sono lì da sempre, sono sempre stati lì ― come nel film si rivela, alla fine, al coraggio e all’intelligenza di andare a studiarsi una per una le migliaia di immagini incastonate nelle pareti dell’Overlook Hotel ― poiché gli uni dagli altri si riproducono, figli di figli, allievi di allievi, ripetendo gli uni sugli altri la medesima tragedia. Ma questa volta non prevarranno, Ragazze, Ragazzi, non riusciranno a far impazzire anche voi, non vi scacceranno dalle vie e dalle piazze del vostro Paese. Lo sento, lo vedo: magari non sapete ancora tutte le cose, ma siete più bravi, più forti, più sani. Siete più intatti.

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mercoledì 1° dicembre

 

Pasolini e Berlusconi: due pesi e due misure?

 

Pasolini e Berlusconi: due pesi e due misure?

 

Domanda: avere rapporti sessuali con un minore (cioè, per la legge e per ogni sano di mente, fargli violenza) sarebbe meno grave se l’adulto fosse un grande scrittore e regista anziché un minuscolo presidente del Consiglio? Sarebbe meno grave se l’adulto fosse (anzi: passasse per essere) di sinistra anziché di destra? Sarebbe meno grave se il minore fosse un povero ragazzino abbandonato anziché una povera ragazzina abbandonata? Noi pensiamo di no: non sarebbe meno grave. E potrebbe anzi diventare perfino più grave, noi pensiamo, se dell’adulto in questione si facesse un Maestro non solo di letteratura e di cinema, ma, invero un po’ inconsultamente, di Vita.

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