ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

La Terra vista da Anticoli Corrado

nellaprile del 2015

 

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(Venerdì 1° maggio 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Dalla postfazione:

Perché Anthos ha scritto è un capitolo di un romanzo di circa 300 pagine, ambientato nell’Italia degli anni ’60, a cui mi dedicai, fra alterne vicende e lunghe interruzioni, tra il 1980 e il 1990; e che da un quarto di secolo, benché in me sempre vivo, giace in un cassetto. Nacque, dunque, dalla passione per la scrittura che mi allieta e mi tormenta da quando ero bambino. Ma lo ispirò l’amore, e il mio immenso rispetto, per Antonio Gramsci, ed ebbe dunque origine anche da un’altra passione, meno precoce ma non certo meno intensa: la passione per la politica. Nacque, insomma, da una duplice ricerca, che ha continuato a dar frutti nella mia vita fino a oggi e continuerà a farlo...  Continua.

(Lunedì 27 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Andiamo avanti, ma da una parte abbiamo una maggioranza di docenti abulica e dallaltra una minoranza aggressiva che strilla (dallintervista della Giannini al sito de la Repubblica). Per costei, dunque, gli insegnanti italiani si dividono in abulici e in squadristi. Continua cioè a insultare, ad additare al pubblico disprezzo. Spero (anzi: son certo) che le famiglie e gli studenti italiani, di gran lunga migliori di lei e di tutti i piddino-renzisti, non si lasceranno ingannare dalla campagna denigratoria della ministra e dellintero governo. Ma nessuno la denuncia per calunnia? O si aspetta che qualche malato di mente, comè successo al Tribunale di Milano, così sobillato decida di fare giustizia?

(Inoltre, a proposito di squadrismo e di squadristi, è ora di dire ― pur non pretendendo che la Giannini sia in grado di capirlo ― che i mezzi del fascismo, benché devastanti allepoca, erano niente a paragone dei mezzi finanziari, mediatici e tecnologici del renzismo e dei suoi mandanti internazionali; è ora di dire che la violenza subdola e perseverante, che può permettersi di essere soft perché può concedersi decenni, avrà alla lunga effetti forsanche più mostruosi di quelli di allora; è ora di dire che tra il nazifascismo e i regimetti-fantoccio al soldo delle tirannie finanziarie, sarà la Storia, misurate le conseguenze, a stabilire se vi sia o meno una differenza e a vantaggio di chi; è ora di dire che la definizione del termine regime varia con le epoche, e che in ogni caso non la stabiliscono i linguisti, ma lesasperazione di chi lo subisce).

(Domenica 26 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Sabato 25 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Domenica 19 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Giovedì 23 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Una vera Sinistra esiste ed è maggioritaria: è l’Italia laica

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Se è vero (e lo è) che la finta “sinistra” italiana, comunque si sia chiamata e presentata nel corso del tempo, è stata finta non per altro che per la sudditanza alla Chiesa; e se è vero (e lo è) che nel sottomettersi alla Chiesa è sempre stata unita, compatta, monolitica ― una trista macchina da guerra ― malgrado ogni sua concomitante divisione e frammentazione; allora è anche vero che un’autentica Sinistra italiana può invece riconoscersi, chiamarsi a raccolta, unirsi (e perfino vincere) nel desiderio di liberare l’Italia dall’invadenza ecclesiastica.

Vero? Di più: penso che la storia del nostro Paese ci abbia già offerto, di tale possibilità, ampie e circostanziate prove.

Tutti conoscono le più vicine nel tempo: il referendum del 12-13 maggio 1974 (affluenza 87,7%), vinto dal trasversale schieramento divorzista col 59,3% dei voti; e il referendum del 17-18 maggio 1981, vinto col 68% dei voti dal trasversale schieramento favorevole alla legge 194 sull’interruzione anticipata della gravidanza.

Non tutti, invece, sanno che una battaglia laica forse non meno importante, per i suoi tempi ― anche se allapparenza solo simbolica ― fu combattuta dalla vera, trasversale Sinistra italiana, negli anni tra il 1876 e il 1889, per la realizzazione a Roma, in Campo de’ Fiori ― cioè in faccia al Vaticano, oltre che alla faccia del Vaticano ― di un monumento a Giordano Bruno, il filosofo e scrittore che, per aver sostenuto che l’Universo è infinito, è sempre esistito e sempre esisterà, il 17 febbraio 1600, torturato, nudo, con la lingua serrata in una morsa, fu bruciato vivo dal cosiddetto papa, da cardinali, vescovi e preti, dai loro sbirri e dalla marmaglia loro devota.

Ho sempre amato quel monumento. Ma ignoravo che per ben tredici anni la vera, trasversale Sinistra italiana si unì, coinvolgendo tutti i laici d’Italia e del mondo, per imporre al Comune di Roma la sua realizzazione (, proprio dove Giordano Bruno fu brutalmente assassinato) a dispetto della durissima ostilità di tutto il clero e dei clericali italiani. Cioè di tutta la vera, trasversale destra (finta “sinistra” compresa) dell’Italia di allora e di sempre. Ignoravo che la vera Sinistra non solo si unì, ma seppe ottenere il sostegno attivo, appassionato, di un amplissimo arco di forze politiche, culturali e sociali che di sinistra non si consideravano, ma che in quell’occasione lo furono.

Ha colmato questa mia grave lacuna ― e mi ha ispirato la tesi che questo scritto propone ― un libro straordinario, documentatissimo e appassionato, e che, per di più, si fa leggere d’un fiato come un romanzo di quelli buoni: Campo dei Fiori ― Storia di un monumento maledetto (Torino, Einaudi, 2015) di Massimo Bucciantini, docente di Storia della scienza all’Università di Siena.

Cliccate qui e guardate questa fotografia (Campo dei Fiori, cit., p. 236, da l’Illustrazione Italiana): fu scattata a via Nazionale, a Roma, il 9 giugno 1889, giorno dell’inaugurazione del monumento, mentre la coda del corteo era ancora in piazza dei Cinquecento e la testa era già a Campo de’ Fiori! Secondo le spie papaline, “disseminate in ogni angolo della capitale [...] a Campo de’ Fiori [si contarono quel giorno] 1970 bandiere, 34 concerti, 2.000 associazioni (oltre quelle di Roma). [In tutto] circa 30.000 manifestanti” (Campo dei Fiori, cit., p. 238) provenienti da tutta Italia e dall’estero.

Ma Campo dei Fiori ― Storia di un monumento maledetto va letto per intero, se ci si vuol fare un’idea adeguata di quale immensa unità di popolo (e non solo di borghesia progressista colta: Giordano Bruno divenne in quegli anni un mito anche fra i proletari e perfino tra gli analfabeti) si realizzò per un moto spontaneo, partito da un anonimo gruppetto di studenti universitari, che a poco a poco entusiasmò Garibaldi, arrivò fino al governo Crispi e coinvolse, ripeto, la maggioranza degli Italiani.

Più di una volta, dunque, il nostro Paese ha visto raccogliersi una vera, trasversale, maggioritaria Sinistra intorno alla bandiera della laicità. Almeno tante volte quanto quelle in cui la finta “sinistra”, divisa ma concordemente papalina e clericale, è stata sconfitta su “parole dordine” e “programmi” che essa credeva (o fingeva di credere) di gran lunga più “unitari”.

Può accadere ancora? Può, soprattutto, non solo accadere ma permanere? E avere il tempo, così, di costruire un’Italia non più succube ai “rappresentanti di Dio” e perciò davvero umana?

Sono certo di sì. Ma ad alcune condizioni.

In primo luogo, a patto che l’avversario sia individuato non nella religione (poiché non spetta a un’alleanza sociale e politica attaccare una condizione mentale) ma bensì nella pretesa della Chiesa e del clero di intervenire nelle decisioni degli Italiani, nonché negli individui e nelle forze che di tale pretesa, con la scusa della fede, si fanno portatori. L’avversario, cioè, non può essere chi crede, e nemmeno chi ubbidisce al papa, ma chi pretende d’imporre la propria ubbidienza ad altri, piegando a questo scopo le decisioni politiche e amministrative.

In secondo luogo, la battaglia non deve conoscere soluzione di continuità. Deve, cioè, lottare contro ogni singola ingerenza ecclesiastica, dalla più piccola alla più grande, nella vita politica, economica e sociale del Paese. L’asservimento alla Chiesa, in altre parole, dev’essere denunciato e combattuto sempre, ovunque esso esorbiti dalla vita privata individuale tracimando nella vita pubblica. E a ogni battaglia, anche la più modesta, dev’essere attribuito il valore massimo: quello di una battaglia di principio.

In terzo luogo, va individuato un terreno di preminente, assoluta importanza (e quale, se non quello dei Diritti civili, della Scuola e della Sanità?) e su di esso si deve agire fin dal primo momento, e con la massima decisione, per l’unità di tutti i cittadini, quali che siano le loro idee politiche, che non son più disposti a tollerare le grinfie dei preti sulle proprie scelte di vita, sulle menti dei bambini e sui propri corpi.

Non vi è coalizione di popolo che il potere, in Italia, tema di più: 1°. Poiché sarebbe, ripeto, di gran lunga maggioritaria. 2°. Poiché concorderebbe non su chiacchiere da bar contro la casta, ma sul diritto di ognuno di noi, e di tutti noi insieme, di disporre delle nostre vite. 3°. Poiché, una volta vinto, essa procederebbe a trasformare il Paese davvero, in ogni campo, con la passione, l’intelligenza e l’onestà di tutti i migliori.

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(Mercoledì 22 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Si parla di malasanità, ma è sbagliato. Si dovrebbe dire malgoverno (e malagestione) della Sanità, perché la stragrande maggioranza dei medici e degli infermieri, dotati di scienza ed esperienza e di tecnologie sicure, danno prova ogni giorno di straordinario impegno e di grandissima professionalità nonostante le pessime condizioni in cui gli infami governi degli ultimi vent’anni li hanno ridotti.

Ben pochi, invece, parlano della malapsichiatria1, che non solo esiste ma imperversa, cagionando forse più decessi, più lesioni e più invalidità permanenti (tra i pazienti malcurati, o non curati affatto, e tra le loro vittime) di quanti ne causi la cosiddetta “malasanità”.

Centocinquanta morti in una frazione di secondo, ma in una mostruosa agonia di terrore. “Solo” morti? No. Centocinquanta donne, bambini, uomini polverizzati, ridotti in atomi, come se non siano mai esistiti. Vittime della “psichiatria” che ha scambiato per “depressione” la gravissima patologia mentale di Andreas Lubitz, il pilota, lucido, razionale, corretto, ma probabilmente schizofrenico all’ultimo stadio, mai diagnosticato né tanto meno curato2, che il 24 marzo ha schiantato il volo 9525 della Germanwings.

Che diremmo di un medico che scambi un tumore per un’influenza intestinale, condannando a morte il paziente? Lo chiameremmo, a buon diritto, fasullo? Ebbene: una “psichiatria” che scambia una schizofrenia gravissima per una depressione è molto più fasulla di quel “medico”.

Perché “molto più”? Perché quel medico può aver commesso un errore, per quanto inescusabile, ma la sua scienza, la scienza medica, rimane, nondimeno, valida e vera. Mentre quegli “psichiatri”, tal quali astrologi o cartomanti, praticano una falsa scienza di cui ben conoscono l’inefficacia, di cui tra loro ammettono la totale incapacità di curare, ma che continuano a spacciare come se niente fosse.

Certo, la malapsichiatria dispone di pillole che “funzionano”: che “tranquillizzano” o “tirano sù”, fan “dormire” o “svegliano”. Che alleviano i sintomi. Ma che non curano. E tanto meno è in grado, la malapsichiatria, pur con tutte le sue pillole, di riconoscere un malato gravissimo prima che uccida.

Che diremmo di un “medico” che, non avendo diagnosticato una grave malattia e avendo dunque causato una morte che poteva evitare, se la “cavi”, a mo’ di “sora Cesira”, allargando le braccia e sospirando: “E pensare che sembrava così in salute! Eh, signora mia, son davvero brutti tempi, questi!”?

Ma la malapsichiatria, per “giustificare” la propria ignoranza e inettitudine, “teorizza” da decenni che la malattia mentale non esista ― che sia solo “disagio”, “disturbo”, o addirittura una “scelta di vita” ― o che, quand’anche esista, sia dovuta ad alterazioni organiche del cervello, a carenze o eccessi di neurotrasmettitori, che si possono tutt’al più “stabilizzare” farmacologicamente, ma non curare.

Che diremmo di un “medico” che non solo scambi un tumore polmonare per una broncopolmonite, ma ci dica che nemmeno per la broncopolmonite vi sono cure, ci prescriva qualche pillola “per tenerci sù” (finché non crepiamo), ci mandi a casa, e dedichi il resto del suo tempo a insultare e deridere, chiamandoli “presuntuosi” e “presupponenti”, i medici che curano sul serio?

Si obietterà, forse, che un tal “medico” sarebbe un criminale, mentre lo “psichiatra” è “in buona fede”.

Invece no. Quello “psichiatra” non è “in buona fede”. Poiché la cura, la vera psichiatria, esiste da più di quarant’anni, e la malapsichiatria, che lo sa benissimo, non ce lo dice. O quanto meno finge, fors’anche con sé stessa, di non saperlo.

Tentar di descrivere qui, malgrado i limiti di questo articolo e delle mie capacità, le scoperte, la teoria e la prassi dello psichiatra Massimo Fagioli, sarebbe a dir poco velleitario. Mi limito, dunque, a “linkare” al suo nome i suoi primi, fondamentali quattro libri; a invitarvi a leggerli (e ad approfondire la ricerca attraverso le opere successive e i libri e gli articoli dei molti brillanti psichiatri che alle scoperte di Massimo Fagioli si ispirano); e a garantirvi che la malapsichiatria lo conosce bene, anche se finge pervicacemente di saperne nulla; o se, messa alle strette, lo calunnia e/o fatuamente lo dileggia.

Perché? Per non perdere la presa sui pazienti, sulle famiglie, sulle aziende farmaceutiche, su lucrose cattedre, su lucrosi incarichi d’ogni sorta e sui media. In una parola: per non perdere la presa sulla Società, su cui la malapsichiatria esercita un potere ideologico tanto più pericoloso quanto più forte.

Nonostante ciò, come ho detto, una nuova, appassionata, affidabile psichiatria scientifica è nata e si va diffondendo. Ma chi domanda di essere curato non sempre la incontra, poiché essa continua a subire, da parte della malapsichiatria e del potere, il medesimo annullamento che da quarant’anni tenta di cancellare perfino il nome del suo fondatore. Un annullamento che sta fallendo, certo, e di cui presto non rimarrà più traccia. Ma che intanto séguita a mietere vittime tra chi dovrebbe essere curato ora, poiché ora sta male, e invece è abbandonato a sé stesso, ai suoi familiari e a farmaci che lo controllano, ma non lo curano, finché non diventa incurabile davvero. Ma che intanto séguita a mietere vittime (centocinquanta quelle di Lubitz) tra chi ha la sventura d’imbattersi in uno di quei lucidi, corretti e perfino “realizzati” malati di mente gravissimi che la malapsichiatria non riconosce (tanto meno agli esordi, quando le possibilità di guarire sono maggiori), che non cura (tentando, per di più, di impedire di curarli anche a chi lo sa fare) e ai quali, di conseguenza, abbandona anche noi totalmente indifesi.

Non ho parlato a caso di abbandono. Abbandonato, ripeto, non è “solo” chi è in cerca di cura e non la trova (e anzi è tenuto all’oscuro del fatto che la cura c’è), ma tutti noi, che dinanzi alle patologie mentali siamo lasciati in una condizione perfino peggiore di quella degli Antichi dinanzi alle malattie organiche: abbandonati a noi stessi. A non saper dove sbattere la testa.

È qui, nella tragedia dell’abbandono (che, non dimentichiamo, colpisce anche i giovani studenti di psichiatria ingannati da “insegnanti” che tali non sono) che la malapsichiatria (dal 13 maggio 1978, legge 180 Basaglia e “chiusura” dei manicomi, al 1° aprile 2015, “chiusura” degli Opg) si rivela perfettamente funzionale alla malapolitica che da altrettanti decenni infesta le nostre vite abbandonandoci a noi stessi: togliendoci le scuole, gli ospedali, i servizi, l’ambiente, la cultura, l’arte, la scienza e perfino l’acqua e la sicurezza, per consegnarci a un “privato” che non mira che ad arricchirsi a nostre spese.

Ma la malapsichiatria non è “solo” un “ramo” della malapolitica. Al contrario, e molto peggio, la malapsichiatria è lo “scudo” della malapolitica: è l’annullante “corazza” entro la quale la malapolitica si rende invulnerabile ai nostri tentativi di liberarne la Società, cioè di guarirla.

Come difenderci, infatti, dalle tirannie globali (e dai politici loro asserviti) che ci stanno distruggendo? Con le manifestazioni e gli scioperi? Se ne infischiano. Rivendicando i nostri diritti costituzionali? A uno a uno, li stanno “legalmente” riducendo a gusci vuoti. Con le elezioni? Chiunque le vinca, le tirannie globali lo costringono a chinare il capo. Con la violenza? Ne impazziremmo anche noi, diventeremmo peggiori di loro e, in men che non si dica, saremmo ridotti all’impotenza, o a suicidarci come kamikaze, da tecnologie oppressive contro le quali non c’è più Resistenza che tenga.

No. Abbiamo un solo modo non inefficace né suicida, oggi come oggi, di difenderci dalla malapolitica, locale e globale: smascherarne gli artefici come altrettanti Andreas Lubitz, come malati di mente gravissimi che lucidamente, inappuntabilmente, politically correct, ci stanno portando a schiantarci.

Ma per smascherarli, renderli inoffensivi e ordinare loro di curarsi dobbiamo dimostrare che sono malati di mente. Per dimostrarlo ci vuole una psichiatria vera, che sia scienza certa. E tale psichiatria, lo ripeto, c’è. Ma perché vinca è necessario che tutti ci rendiamo conto dell’esistenza, di contro a essa, della malapsichiatria. E che tutti ne comprendiamo la stupidità, la violenza e la pericolosità.

È ora che una perfetta salute mentale scientificamente dimostrata sia il requisito indispensabile non “solo” di chi aspira a pilotare un aereo, ma anche e soprattutto di chi vuol guidare una grande azienda, una grande banca, un’intera nazione, o addirittura il mondo.

Ne volete un esempio? In MicroMega 2/2015, a pag. 181, potete leggere un articolo di Franco Moretti (docente dell’Università di Stanford) e Dominique Pestre (professore all’École des Hautes Études en Sciences Sociales), intitolato “La neolingua della Banca Mondiale: analisi semantica e grammaticale dei rapporti della World Bank dal 1946 al 2012”, da cui si evince che il linguaggio della Banca Mondiale (il linguaggio, cioè, di un “velivolo” a bordo del quale siamo tutti, volenti o nolenti, e la cosiddetta “democrazia” è ormai pura finzione) è un linguaggio sempre più “schizofrenico”. Solo che non si può dire (e perciò l’ho scritto fra virgolette) perché la malapsichiatria non vuole. Perché la malapsichiatria finge di conoscere, tutt’al più, solo “disturbi” ― anzi: “esperienze” di “disturbi”. Perché la malapsichiatria non vuol perdere il potere, e delle vittime se ne infischia: fossero anche l’intera popolazione del pianeta Terra.

 

Post scriptum: ad Anticoli, tra non molto, si voterà per l’Amministrazione comunale. Domanda: quanto potremmo essere fiduciosi di non sbagliare, nella scelta, se una psichiatria vera, scientifica, ci aiutasse a riconoscere, tra i candidati, gli eventuali aspiranti “Lubitz”? E a non farci più abbindolare da “scienziati” che non distinguono uno schizofrenico da un depresso?

Ebbene: la psichiatria vera, scientifica, cari concittadini, è stata nascosta agli Anticolani per quarant’anni da chi aveva tutto l’interesse che non la conosceste. Ma c’è. Funziona. E fra poco renderà (sta già rendendo) l’anaffettività della malapolitica altrettanto riconoscibile dei bubboni della peste.

 

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[1] In psichiatria è stato tutto distrutto, di Massimo Fagioli.

 

“Che vuol dire medicina della psiche? Io, per quel che mi riguarda, ho cercato di portare alla mente la medicina, la diagnosi ― potrei dire anche la prognosi, perché no? Dopo l’inizio di un trattamento, di un lavoro, si può vedere se le cose si mettono bene e quindi la prognosi è fausta; e si può vedere anche quando le cose non si mettono bene, però è sempre meglio non fare la prognosi infausta, non dire mai: «Questo non si risolve, è ben difficile risolverlo», meglio di no ― e quindi la cura (perché la cura è diversa) per la guarigione, per andare alla guarigione. Perciò ho cercato di portare nella mia prassi la parola ‘iatria’ alla mente. [...].

È ben noto che cinquanta, sessant’anni fa, c’è stato un movimento che ha raggiunto il suo culmine nel ’68, ma che in verità era cominciato già agli inizi degli anni Sessanta, nel 1964 a Berkeley negli Stati Uniti. In esso c’era la rivolta contro ogni divieto, contro ogni oppressione, ogni repressione, ogni autorità e la grande parola d’ordine, il dio venerato era la libertà. Sì, la libertà, e da qui la rivolta a priori contro ogni aspetto che fosse di autorità. Sono arrivati a considerare cose reazionarie anche antibiotici e sale operatorie, perché rappresentavano un potere. Il posso: uno può e un altro non può; no, era una differenza inaccettabile. Quindi tutti devono non potere. Quindi se uno sa operare, se uno può fare la cura, è un reazionario.

E se un minimo rapporto con la realtà, uno straccio di sanità mentale ha salvato le sale operatorie e gli antibiotici ― anche se forse ha salvato gli antibiotici soltanto perché rendono molti soldi ― in psichiatria invece è stato tutto distrutto. È stato distrutto il fatto di riuscire a distinguere il cerebropatico dalla persona normale, per non parlare della distinzione tra cerebropatico, oligofrenico, frenastenico e malato di mente. [...].

Da parte della cultura ancora c’è, e lo trovate scritto da tante parti, la parola disturbo, c’è solo il disturbo. Forse io ho troppe radici mediche, ma per me un conto è aver mangiato troppo e avere un disturbo di stomaco, un conto è avere un cancro allo stomaco. Nell’ambito del rapporto dei medici con la mente è stata abolita questa distinzione. E mi pare una cosa abbastanza grave. Ancor più grave nella misura in cui ― notate bene, tutti potete averlo udito ― la parola schizofrenia è entrata nel linguaggio comune. Se uno si comporta stranamente, si dice: «Quello è schizofrenico!» Lo dicono tutti, dai politici ai filosofi. Chi è che ha dichiarato guerra assoluta a un termine, per cui in certi ambienti dire la parola schizofrenia significa essere fascisti, nazisti, repressori e assassini? L’ambiente psichiatrico, già. Nell’ambiente psichiatrico, nella cultura psichiatrica, si può parlare solo di disturbo bipolare... carino!

Vediamo di fare una rappresentazione. Immaginate uno studio medico, uno studio psichiatrico; immaginate che arrivi qualcuno che è giù di tono, non va più a lavorare, è triste, ha delle idee di colpa e dice: «Io sono brutto e cattivo, non mi funziona questo, non vado bene», e un altro che si mette a fare discorsi dissociati, come quelli che compaiono tante volte sui giornali. Bene, in questa cosiddetta psichiatria democratica questa distinzione non si fa: è solo disturbo. Significa che il depresso si suicida e lo schizofrenico rimane schizofrenico cronico per sempre. Non si fa nemmeno un tentativo di cura. [...].

Tutto ciò è poi andato a finire nella porcata storica del basaglismo secondo cui la malattia mentale non esiste.”

(Massimo Fagioli, Religione Ragione e libertà. Lezioni 2009, Roma, 2014, L’Asino d’oro edizioni, pp 52-53, 55, 87. Il titolo dato a questa nota, In psichiatria è stato tutto distrutto, è tratto dal testo ma non vi appare come titolo).

 

[2]

E chi mai avrebbe potuto diagnosticarlo o curarlo? Certo non una “psichiatria” che parla così di Anders Breivik (che il 22 luglio 2011, in Norvegia, ha sterminato 77 persone): “Si è trattato di un terrorista, di un fanatico, di un nazista, di un integralista cristiano, di un uomo alto, bello, biondo, di razza ariana, che scriveva cose che non sono affatto distanti da tante cose scritte da tanti altri, di questi tempi. Ma direi che questo non mi ha affatto colpito: ciò che mi ha spaventato è stato quando per la prima volta ho sentito la dizione “questo pazzo”. Che da per assolutamente buona, incontrovertibile e indiscutibile la dimensione del “pazzo”, del malato di mente. Questo mi ha immediatamente fatto pensare che già, da sùbito, si stavano mettendo in atto modalità che dovevano allontanarci dalla concretezza del pericolo, così evidente, che quel gesto aveva segnalato: le tante aree culturali, politiche e sociali che in Europa si muovono, appunto, nell’ottica dell’ostilità nei confronti di chi viene da altri paesi e altre religioni. Ma naturalmente, a dare spessore a questo tipo di interpretazione ci sono stati, sùbito, gli psichiatri e le psichiatrie: le psichiatrie delle certezze, che pensano, in maniera presupponente, di saper ascrivere al normale o al non normale i gesti e i comportamenti delle persone. Mi ha colpito molto la certezza, la sicurezza con la quale uno psichiatra che per altri versi stimo, uno psichiatra come Andreoli, ha detto una sua sfilza di parole relative allo psicopatologico, alla malattia mentale, al disturbo di personalità e a quant’altro... E a questa hanno fatto seguito altre interpretazioni simili, in un gioco di mettere fuori di noi ciò che appare come minaccioso, come se, appunto, le questioni che stanno alla base di questa visione politica, etica e culturale siano buone, e il giovane norvegese non abbia fatto altro che portarle in un campo di anormalità e di pazzia e di follia che, quindi, nulla toglie alla bontà di quelle radici. Ecco, io credo che qui gli psichiatri dovrebbero affermare con molta chiarezza (ma non so se ne sono capaci) che ci troviamo di fronte a un criminale politico, a un attentatore, a un terrorista, a qualcuno che non fa altro che portare a conseguenze sicuramente estreme, sicuramente fanatiche, dimensioni della cultura politica, etica e religiosa che sono presenti nei nostri paesi. E l’altra questione da sottolineare è che ancora una volta le parole “pazzo”, “folle”, “delirio”, “malattia mentale”, “personalità narcisistica”, cioè le definizioni provenienti dai linguaggi psicopatologici, messe così impunemente accanto alle gesta di questo Breivik, di questo giovane norvegese, non fanno che rafforzare un pregiudizio spaventoso e orribile contro le persone che il disturbo mentale vivono, che la dimensione dell’esperienza del disturbo mentale vivono. (Peppe Dell’Acqua, direttore del Dipartimento di Salute mentale di Trieste).

Da sottolineare che il Dell’Acqua dichiara di essere solo “colpito” dalla strage, e “spaventato”, invece, da chi osa parlarne come dell’azione di un pazzo. Più che ridurre le vittime, dunque, al Dell’Acqua preme denunciare “gli psichiatri e le psichiatrie delle certezze”: denunciare, cioè, i medici per i quali la psichiatria è una scienza, al pari di ogni altra branca della medicina, i cui scopi sono la cura e la prevenzione. E per aver l’aria di denunciarli “a fin di bene” il Dell’Acqua si trincera dietro due pretesti: 1. Chiamare pazzo Breivik sarebbe dare “una patente di bontà” ai razzisti non stragisti dalle cui fila egli proviene. (Ma da quando distinguere con certezza le malattie più gravi equivale ad accettare quelle che lo sono meno, individuare con certezza i tumori rinunciare a curare i mal di stomaco?). 2. Chiamare pazzo Breivik sarebbe ferire e spaventare coloro che “la dimensione dell’esperienza del disturbo mentale vivono”. (Ma da quando i malati si spaventano per i progressi della medicina? Su quale pianeta?)

 

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(Martedì 14 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Sabato 18 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Venerdì 17 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Mercoledì 15 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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La Scuola è sotto attacco in tutto il mondo...

...e i governi, servi dell’anti-Stato criminal-finanziario globale, continuano in tutto il mondo a insultarla, a sfigurarla, a disumanizzarla, a impoverirla. Poiché essi condividono con la superstizione religiosa, col fanatismo e con la pazzia l’odio per chi, nella Scuola, insieme agli insegnanti e ai compagni, soddisfa l’umano desiderio di cercare, di sapere, di capire, di realizzarsi. Di esser libero con gli altri, e agli altri eguale.

(Diagramma tratto da Internazionale n° 1097 del 10 aprile 2015).

(Domenica 12 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Venerdì 10 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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E se i viaggi nel tempo fossero già possibili?...

Kathleen Turner in Peggy Sue Got Married (1986), di Francis Ford Coppola.

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Un viaggio nel tempo potrà considerarsi realmente avvenuto quando nel corso di esso si avrà un’esperienza sensoriale e affettiva indistinguibile da ogni altra.

Se questa asserzione è corretta, la tecnologia per darmi la possibilità di vivere un’esperienza indistinguibile dall’originale di una bella mattina di maggio ― poniamo ― del 1967 a Villa Borghese (Roma), io penso che esista già o, tutt’al più, che sarà pienamente disponibile entro pochi anni.

Non parlo soltanto dell’esperienza del luogo, ma anche di quella degli esseri umani che quel giorno erano lì insieme a me. Non sarebbe difficile: quasi tutti (le “comparse) dovrebbero apparire credibili solo per gli abiti e il comportamento; e gli unici davvero importanti per me, indimenticabili, e che quindi dovrebbero essere perfetti in tutto ― non più di cinque ― mi apparirebbero e sarebbero perfetti se io fossi in grado di offrire di essi, ai realizzatori della loro realtà virtuale, ricordi miei così vividi, e una documentazione materiale così ricca, da consentire di ricrearli proprio com’erano. O come furono per me.

Allo stesso modo, sulla base di quel che sono oggi e di tutto ciò che potrei raccontare sul sedicenne che ero allora, anche la mia esperienza psicofisica di me stesso, il mio vivermi e sentirmi come nel 1967, potrebbe essere ricreata alla perfezione.

A questo punto, una volta immerso in una realtà virtuale così convincente, così identica, per me, a quella di allora, e accanto a chi fu allora per me al centro del mondo e della mia vita, da che cosa dipenderebbe che io possa davvero sentirmi a Villa Borghese, a sedici anni, in una bella mattina di maggio del 1967? Solo dal mio coinvolgimento affettivo nella situazione: dalle mie emozioni.

Quanto più fosse ancora viva e possente, in me, la mia umana affettività, tanto più rivivrei quell’esperienza come reale. O, addirittura ― se teniamo conto della straordinaria sorpresa, della gioia, e della sensazione che ogni istante sia incomparabilmente prezioso ― come più reale di quella di allora.

Questa componente ― la mia condizione affettiva, del tutto individuale ― non penso che sarà mai riproducibile virtualmente: dipende, e dipenderà sempre, solo da me. Da come io sto. Da quanto il tempo sia viaggiabile, per me, per non esser mai davvero passato.

Sarebbe un bellissimo viaggio, no?

Ma, certo, lo sarebbe ancora di più, e riuscirebbe ancor più perfetto, facendolo in due.

P.s.: l’idea, però, non è mia. Oltre che da una sconfinata produzione letteraria e cinematografica che mi ha sempre affascinato, mi è stata ispirata da un bellissimo romanzo, Indietro nel tempo (“Time and Again”, 1970), di Jack Finney (l’autore de L’invasione degli ultracorpi), che però non poteva ancora immaginare le tecnologie di oggi, e soprattutto dal meraviglioso film La jetéè (1962), di Chris Marker.

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(Domenica 5 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Venerdì 3 aprile 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).

L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

 

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