L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

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La Terra vista da Anticoli Corrado

 

diario del Prof (scolastico e oltre)

 

dicembre 2008

 

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mercoledì 31 dicembre

 

Il 2008 augura un felice anno nuovo al 2009.

 

Ma dov’è andato il 2008 che se n’è andato?

 

Da nessuna parte. Per fortuna non c’è Aldilà per gli anni che muoiono. (O che crepano, poiché non tutti muoiono nel proprio letto, amareggiati dai festeggiamenti, a mezzanotte del 31 dicembre: alcuni fanno una brutta e prematura fine; come il 2001, massacrato l’11 settembre, o il 1963, assassinato il 22 novembre).

 

Ma, comunque decedano, essi periscono e basta: come per gli animali non umani e per le galassie, niente vita eterna per le rivoluzioni della Terra intorno al Sole! E questo è un bene, per noi. Un bene immenso. Se vi fosse un Aldilà anche per gli anni, infatti, chi ne pagherebbe il fio?

 

Immaginiamo, per esempio, che il 2008, alle 24 di San Silvestro, con sua grande sorpresa si reincarni. Se è stato cattivo, gli toccherebbe rivivere in una creatura di rango inferiore. E inferiore, per un lasso di tempo, significa più lungo: dieci anni, un secolo, un milione, un miliardo di anni! Perché mai? Ovvio: più è la via da percorrere, più difficile è comportarsi bene fino alla meta. Immaginiamocelo, un 2008 che dura un miliardo di anni! Roba da far sparire ogni traccia di vita dall’intero Universo. E se l’anno fosse stato buono? In tal caso, rivivrebbe in una creatura di rango superiore. E per noi la cosa sarebbe lo stesso spiacevole: un solo giorno buono invece di 365; o solo un’ora; o solo un minuto. O magari appena un miliardesimo di secondo buono, che soltanto i più sensibili fra i nostri neuroni farebbero in tempo a godersi.

 

In un Aldilà come quello dei Romani o dei Greci, invece, l’anno sarebbe condannato, buono o cattivo che sia, a vagare in eterno in un’eterna tenebra, disperato, rabbioso, livido di nostalgia per la vita per sempre perduta; e noi, rimasti sulla Terra, neanche un attimo di quanto ci resta da vivere trascorreremmo senza sentirci colpevoli della sua atroce condizione per la nostra umana incapacità di offrirgli adeguata sepoltura dimenticandolo.

 

Ma il destino peggiore, per il 2008 come per qualsiasi altro anno dal Big Bang in poi, sarebbe un Aldilà della serie Dolcetto o Scherzetto? (detta anche Paradiso o Inferno?). Lì, infatti ― non importa se nell’uno o nell’altro, se in perpetua beatitudine o in sempiterno pianto e stridor di denti ― il 2008, tutto preso dalla sua gioia o dalla disperazione, non avrebbe più interesse per noi, dimenticherebbe che esistiamo; in parole povere: non ci vorrebbe più né bene né male. E la sua mostruosa indifferenza avvelenerebbe ogni singolo istante del 2009, che meschino vivrebbe nel terrore dell’avvicinarsi della fine (altrimenti detto paura della morte) e dal terrore si vedrebbe avvelenare tutte le sue passioni, affettuose o malevole che siano, e ogni suo sentimento, ogni tentativo di appassionarsi alla vita: un 2009 sempre tetro, che a primavera già penserebbe all’autunno e in piena estate rabbrividirebbe presentendo l’inverno!

 

Dice: ma non è vero, dall’Aldilà il 2008 continuerà ad amarci e a pensare a noi! Ah sì? Ebbene: meno male che non è così, poiché questa sarebbe per noi la massima iattura. Proviamo a immaginarlo, un 2008 non soltanto immortale ma eternamente geloso di noi, proviamo solo a immaginarlo e sapremo che cos’è l’orrore dell’eterno. Cosa potremmo fare di creativo, nel 2009 ― di diverso e più bello, più affettuoso, più intelligente, o di diverso e più brutto, più invidioso, più stupido ― se il 2008 fosse sempre lì a sorvegliarci, a controllarci, a rampognarci per avergli reso irriconoscibile il mondo che lui vuol continuare a vedere intatto, identico a come l’ha lasciato, perché ogni benché minimo cambiamento renderebbe un po’ più morta ― e dunque vana ― la vita eterna stessa?

 

No: è molto meglio che per gli anni non vi sia Aldilà di sorta, né primitivo né futuribile, né classico né moderno. Molto meglio che ciò che accade loro dopo la mezzanotte del 31 dicembre sia in esclusivo, assoluto potere dei nostri affetti e della nostra immaginazione. Molto meglio che anche per gli anni, come per i nostri cari e per l’intero Universo, tutto dipenda solo da Noi.

 

Detto questo, ScuolAnticoli augura a noi tutti un 2009 di grandi e felici realizzazioni!

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venerdì 26 dicembre

 

Obama Babbo Natale (immagine tratta dal sito http://www.martin-missfeldt.de)

 

I Figli della Precarietà (sociale e mentale)

 

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Son quasi due mesi che non aggiorniamo questa rubrica, ma la visibilità del pianeta Terra da Anticoli Corrado è frattanto rimasta (quasi sempre purtroppo) sempre perfetta. Abbiamo dunque molte cose da riferire e commentare, e per non tralasciarne alcuna lo faremo nel modo più rapido e semplice possibile.

 

L’ormai lontano 25 settembre 2008 i giudici della Cassazione hanno confermato la condanna a molti mesi di reclusione di un insegnante ― tale Marcello P., di 50 anni ― per aver detto a un’alunna di seconda liceo: “Non hai più alcuna possibilità di essere promossa”. Non l’avessero mai fatto! Sùbito si sono abbattuti su di loro gli anatemi dell’ombra di ministro della Pubblica Istruzione del Pidì, Maria Pia Garavaglia (Bisogna smetterla di minare l’autorevolezza degli insegnanti!) e gli strali della vicepresidente (per il Pidièlle) della bicamerale (sic) per l’Infanzia (sic) Gabriella Carlucci (È ora di finirla: il buonismo dei giudici farà dilagare i bulli!). Cioè del regimetto Destra-“sinistra” che da qualche legislatura (oltre a servirsi della Scuola di tutti come di un bancomat per le sue privatizzazioni e “liberalizzazioni” a favore di quella che Loretta Napoleoni ha chiamato l’economia canaglia) ha individuato nei Bambini e nei Ragazzi un allettante capro espiatorio (come gli Immigrati, i Rom, gli Impiegati pubblici, o gli stessi Insegnanti) su cui dirottare l’indignazione dei cittadini per le spoliazioni che dal regimetto subiscono.

 

Non che i bulli non ci siano (su ScuolAnticoli ne abbiamo scritto più volte). Ma non tanti come le campagne del regimetto vorrebbero farci credere: i casi più eclatanti, gonfiati dalla delinquenza mediatica, sono poche decine all’anno su milioni di ragazzi. Ed è meraviglioso che siano così pochi: fa pensare che la maggior parte dei nostri “piccoli” abbiano doti di creatività e di resistenza straordinarie, poiché l’azione congiunta dei disumani rapporti sociali da cui le famiglie sono oppresse, dell’anaffettività di certi genitori e dell’indifferenza di certi insegnanti parrebbe in grado di allevarne molti di più.

 

Nel caso del professor Marcello P., in particolare, sembra che per la Cassazione l’unico bullo di tutta la vicenda sia proprio lui. Quella del P., sostengono i giudici, è stata una vendetta. La sua minaccia, infatti, è arrivata dopo che la mamma della ragazza, all’assemblea dei genitori, aveva chiesto la rimozione dell’insegnante. E dopo che il docente, “mediante implicite ma chiare minacce di ripercussioni negative sul curriculum”, aveva costretto gli studenti a sottoscrivere una lettera nella quale si dava atto dell’ampio programma svolto, aveva imposto alla ragazza di firmarne un’altra in cui ammetteva la propria impreparazione, aveva obbligato quindici studenti di un’altra classe a chiedere alla preside di conservargli l’incarico e “aveva minacciato la stessa preside di renderle la vita impossibile, utilizzando anche dati personali, se avesse chiesto un’ispezione!” Un bell’esemplare, non c’è che dire!

 

Chi sono, a questo punto, i bulli? Abbiamo pochissimi dubbi: gli insegnanti come il P. e le politiche come Garavaglia e Carlucci, entrate l’una nel Pidì direttamente da qualche sacrestia e l’altra nel Pidièlle direttamente da qualche comparsata televisiva. Per fare che? Ma le pupe dei bulli, naturalmente.

 

(Quattro giorni dopo, il 29 settembre, sulla stessa Repubblica che il 25 aveva descritto per filo e per segno le belle imprese del P., quell’altro bullo di complemento che risponde al nome di Mario Pirani ha condannato certe sentenze, come quella recente della Cassazione che ha confermato la condanna a 17 mesi di carcere di un insegnante di Vicenza, biasimevole senz’altro per aver dato lezioni private a suoi allievi, ma punito soprattutto per violenza privata avendo minacciato la bocciatura a una studentessa. Con ciò estendendo giuridicamente, con una delibera aberrante, i confini del “paese dei balocchi” a tutte le aule scolastiche del nostro disgraziato Paese. Ma il nostro disgraziato Pirani, evidentemente, oltre a non leggere con attenzione il suo giornale, non ha letto Pinocchio. Altrimenti saprebbe che i bambini che finiscono nel Paese dei Balocchi ― e vi si trasformano in somari ― sono i poverini, loro sì disgraziati, che vivono in Paesi dove i giudici schiaffano in galera le vittime e mandano liberi i Gatti e le Volpi.)

 

Il 20 ottobre, sempre su La Repubblica, abbiamo letto un impressionante articolo di Giampaolo Visetti di cui, a conferma di quanto sopra, non possiamo non citare alcuni brani:

 

Siamo la nazione europea, tolto l’Est, con più minori abbandonati, o in abbandono. Con più adolescenti imbottiti di psicofarmaci, con più bambini vittime di violenza, con più comunità di accoglienza, con più sentenze di affidamento. (...) Ma siamo anche lo Stato Ue (...) con la minor spesa per i minori da parte di Regioni e Comuni, con la percentuale più bassa di assistenti sociali, consultori per la famiglia e giudici minorili. (...) “Dobbiamo uscire dall’ipocrisia ― dice (...) il sociologo Giuseppe Moro ― e sollevare il velo che nasconde il dramma che ci fa vergognare. Oltre 50.000 bambini e ragazzi italiani non hanno genitori che li seguono. È una massa che aumenta per il disinteresse generale. Per la prima volta gli adulti scaricano sui giovani la paura, la rinuncia a responsabilità e progetti, la totale incapacità educativa. Bruciamo una generazione, confondendo l’autodistruzione con la normalità”. (...) “La precarietà ― dice lo psicologo dell’adolescenza Saverio Abruzzese ― devasta genitori immaturi, e la famiglia si disintegra. È tempo di aprire gli occhi sul mistero di una Società che distrugge i figli che genera”. (...) “La tragedia ― dice Franco Occhiogrosso, presidente del tribunale dei minorenni di Bari e padre dell’“adozione mite” ― è che non si capisce più se gli Italiani amano oppure odiano i figli. Se li vogliono oppure no, e perché”. (...) “È una Società ― dice Luciana Iannuzzi, anima dell’associazione Famiglia Dovuta di Bari ― tacitamente costruita per l’abbandono. (...) Qualche domanda è lecita sugli interessi inconfessabili che si muovono attorno all’agonia delle nostre relazioni”.

 

Sì, qualche domanda è più che lecita. E una prima risposta l’abbiamo trovata proprio oggi (27 dicembre) in un bellissimo (e sconvolgente) libro di Luciano Gallino, professore emerito di Sociologia all’Università di Torino e autore di numerosi altri testi di grande importanza: Il lavoro non è una merce – Contro la flessibilità, edito da Laterza nell’ottobre 2007.

 

Psicologi e sociologi francesi ― scrive il professor Gallino (pp 84 - 85) ― hanno prodotto studi inquietanti su ciò che avviene a individui, famiglie e anche ragazzi e giovanissimi in presenza d’una marcata e prolungata insicurezza. A tale proposito si comincia a parlare di “figli della precarietà”, i quali peraltro potrebbero anche esser chiamati “figli della globalizzazione”. Sono i giovanissimi che crescono entro famiglie dove ambedue i genitori sperimentano da lungo tempo un’insicurezza lavorativa pronunciata, non necessariamente correlata a un reddito basso, ma con l’assillo continuo di trovare un altro lavoro allorché quello in corso terminerà. Questi giovani manifestano disturbi della personalità rilevanti, relativi a una formazione inadeguata o incompleta della stessa, da cui tendenze comportamentali che oscillano tra la resa e la rivolta senza scopo, tra il rinchiudersi in se stessi e il ricorso alla violenza. I giovani che scelgono la prima soluzione sono socialmente poco visibili, se non forse alle assistenti sociali, agli operatori di comunità, alle organizzazioni caritative (e, aggiungiamo noi, a chi è in servizio sulle ambulanze e nella polizia stradale il sabato notte). Quelli che scelgono la seconda contribuiscono invece visibilmente alla cronaca nella scuola, negli stadi, nelle periferie, in Italia come in Francia o in Germania.

 

“Quisquilie! Pinzillacchere!” starnazzerebbero Garavaglia, Carlucci, Pirani, “Beppe” Fioroni e Gelmini (il famoso Quintetto del regimetto). “Obbligheremo i docenti a tornare alla ferula, e tutto andrà a posto!” E d’accordissimo starnazzerebbe anche il Merlo ― Francesco Merlo, vicedirettore de La Repubblica ― che il 19 novembre si è indignato ― si fa per dire, il Merlo ironizzerebbe perfino sulle povere ossa delle sue ave ― perché a Londra un padre aveva passato una notte in cella per aver sculacciato il figlio disubbidiente: L’Inghilterra sta diventando uno strano Paese ― scrive il Merlo ― dove i ragazzi si accoltellano senza ragione. A Londra accade sugli autobus, nelle stazioni della metropolitana, per la strada, perfino dal panettiere. Secondo un sondaggio riportato ieri dal Daily Telegraph, per i minorenni “è più facile comprare coltelli che birra”. Forse noi padri siamo davvero dei loschi individui, ma se a questi giovani accoltellatori i padri avessero dato qualche sculacciata o magari anche qualche schiaffone in più...

 

Eh, signora mia!... Ma no, siamo ingiusti: le comari di una volta al mercato, quand’anche se ne uscivano con stupidaggini del genere, erano troppo umane per non addolcirle con una carezza: Amore e Timore, dicevano, coi figli ci vogliono Amore e Timore. Pagavano, cioè, il loro tributo di Timore alla (mistica) idiozia che non distingue i piccoli umani dai botoli canini perché tra l’umano e il non umano non riconosce altre differenze che quelle indotte dal battesimo, dalla sferza e dal rincitrullimento verbale, ma poi, esse stesse troppo umane per non commuoversi, ci mettevano anche l’Amore. Per comare Merlo, invece, l’amore non è necessario: bastano le botte. Poiché comare Merlo, oltre a non aver più pena da devolvere ai (più suoi che nostri) giovani accoltellatori, evidentemente non ha cercato né pensato abbastanza (ah, qualche scapaccione ci sarebbe voluto!) per scoprire che a farne degli accoltellatori sono stati proprio l’odio e il disprezzo per loro che alle madri e ai padri non lasciava che le botte, per addestrarli e soprattutto per toglierseli di torno. Poiché ci vuol fantasia, per immaginare le mille vie diverse dalle botte di arrivare al cuore dei Bambini, e per trovar la fantasia bisogna amarli. Ed esser stati amati.

 

(Coraggio, Merlo, sei in buona compagnia: cinque giorni dopo di te, il 24 novembre, sul tuo giornale, comare Curzio Maltese ― commentando il film tratto dal romanzo La Classe, di Bégaudeau, e così togliendoci per sempre la voglia di leggerlo o andarlo a vedere ― ha pontificato come un altro papa sul “bisogno primordiale della scimmia umana di sottoporsi al comando di un capo. Bisogno tanto più emergente nell’età della crisi, nell’adolescenza, quando non si sa chi si è e quindi si può diventare qualsiasi cosa...” Un capolavoro: la scimmia umana, cioè la scimmia che è umana solo ed esclusivamente perché non si sottopone ad alcunché, nemmeno alla realtà, è chiamata e al tempo stesso negata umana in meno di quindici parole. Per il bel ghigno di tutti i capi, i caporali, i capibastone e i capi della Chiesa).

 

Poi c’è Obama. La gioia per la sua vittoria (gioia ancora intatta oggi, 27 dicembre) e il timore, a inquinare la gioia (timore rinfocolato dalla composizione della sua cosiddetta “squadra”) che anche lui si riveli l’ennesima riverniciatura “progressista” (ma con una vernice di qualità indubbiamente assai più sana di quella del fantasmatico e pio pallore veltroniano) della finta “sinistra” che da decenni imbroglia e incanta come uno stregonesco pifferraio quasi l’intera metà buona dell’Occidente.

 

Obama, abbiamo letto l’11 novembre, lì per lì non sapeva dove far studiare le figlie: Sono partiti alla carica i sostenitori della scuola pubblica, che chiedono a gran voce per le figlie del presidente l’istruzione statale. Nessuno tiene conto che a Washington praticamente non esistono scuole pubbliche di buon livello ― l’ultima ad averne frequentata una fu la figlia di Carter ― e che Sasha e Malia già a Chicago vanno a una scuola privata. Ma dall’uomo che ha promesso di rimettere in piedi l’istruzione pubblica si pretende il buon esempio, tanto che mamma Michelle ha dovuto cominciare il suo viaggio washingtoniano con la visita a una scuola pubblica.

 

“A Washington praticamente non esistono scuole pubbliche di buon livello”. A Washington, capitale degli Stati Uniti d’America. A Washington, capitale del Paese più ricco e potente della Terra, chi non ha denaro deve abbandonare i figli a scarsa e scadente istruzione non perché non li ami, ma perché è costretto a sacrificarli ― come Abramo, da Dio, a mettere il coltello alla gola di Isacco ― da un potere infame che per denaro contamina di disprezzo per gli esseri umani tutto ciò che tocca.

 

Come è piaciuto e piace tanto, qui da noi, al regimetto Berlinguer - Moratti - “Beppe” Fioroni - Gelmini.

 

Obama, Obama, non tradire chi ti ama!

 

Il 15 novembre, sempre su La Repubblica, il professor Gallino ha pubblicato un importante articolo intitolato Politica nell’angolo: tutto il potere è dell’economia. Ecco un brano che ci ha particolarmente colpiti: La privatizzazione è ben più di una mera ideologia economica, ha scritto un noto politologo, Benjamin Barber: “Fraintende il concetto di libertà e in tal modo distorce quel che intendiamo per libertà civica e cittadinanza, spesso ignorando e talora scardinando il significato stesso di beni pubblici e di pubblica prosperità”. I beni pubblici dovrebbero essere il terreno di elezione della partecipazione dei cittadini al governo della cosa pubblica. Escluderli da esso mediante le privatizzazioni erode tanto la libertà quanto la democrazia. Una classe politica rinnovata dovrebbe avere tra i suoi primi scopi l’allargamento della partecipazione dei cittadini, insieme con il rientro dell’economia nel suo alveo di strumento di cui la Società decide gli impieghi, piuttosto che subirla come una padrona. Conosciamo bene l’obiezione. Al tempo in cui l’economia mondiale rischia di crollare, occorrono drastici rimedi economici, che i cittadini debbono accettare. Se non fosse che qui siamo dinanzi a un rovesciamento del rapporto tra cause ed effetti. È stata l’abdicazione della politica, il porsi diligentemente al servizio dell’economia, che ha prodotto i disastri economici cui stiamo assistendo. Sono le leggi che la politica ha varato, in una con la sua assenza di scopi da porre all’economia: produrre tramite il lavoro più sicurezza umana piuttosto che insicurezza, ridurre gli abissi delle disuguaglianze, estendere la fruizione dei beni pubblici al maggior numero.

 

Luciano Gallino non dice quali politici abbiano varato quelle leggi e abbandonato i cittadini alle banditesche scorribande dell’economia canaglia. Non lo dice non perché non lo sappia o non voglia, ma ― noi pensiamo ― per pudore: poiché non solo lui ma noi tutti abbiamo ritegno ad ammettere di essere indifesi, inermi ― sembra, se lo si ammette, di giungere pietosamente le mani e invocare aiuto mentre si vorrebbe fieramente continuare a credere di aver dalla nostra parte una possente Sinistra mondiale fautrice della libertà, dell’eguaglianza, della fraternità, della trasformazione ― ma le cose, ahimé, stanno proprio così: siamo abbandonati a noi stessi, e lo siamo da decenni, perché quell’abdicazione della politica, quella rinuncia cioè (o stupida o interessata, tertium non datur) a imporre all’economia di guardare all’essere umano come al fine di ogni propria azione, e mai come a un mezzo, è stata ed è non solo della Destra, ma anche della “sinistra”: in Italia, in Gran Bretagna, in Europa, negli Stati Uniti: ovunque, negli ultimi quindici anni e più, i governi sedicenti di “sinistra” hanno privatizzato i beni pubblici e ridotto a merce il lavoro umano quanto e più dei governi di Destra. Per stupidità o interesse: altra spiegazione non c’è. Chi ha privatizzato e “liberalizzato”, in Italia, dal ’96 al 2001, se non Prodi e D’Alema? Chi ha privatizzato e “liberalizzato”, in Gran Bretagna, se non il governo “laburista” di Tony Blair? Chi, negli Stati Uniti (citiamo da un articolo di Federico Rampini su La Repubblica del 29 settembre scorso) è colpevole della “dissennata deregulation che nel 2000 ha sottratto i derivati (cioè i titoli a rischio contenenti debiti più o meno inesigibili, n.d.r.) alle regole e ai controlli della normale attività creditizia, o della sciagurata riforma che nel ’95 limitò fortemente la possibilità della class action giudiziaria da parte di coalizioni di clienti contro i banchieri”, chi se non l’amministrazione Clinton ancor’oggi così rimpianta dai finti “sinistri”? Chi, nel 1999, con la legge 130 (citiamo questa volta da un altro articolo di Luciano Gallino, sempre su La Repubblica del 29 settembre) ha liberalizzato la confezione e la compravendita di quegli stessi titoli a rischio anche in Italia, se non il governo D’Alema?

 

Poi, quando pèrdono le elezioni per aver deluso e confuso e fatto impazzire i propri elettori ― o forse, vogliamo dirla tutta?, per aver fatto in modo di perderle per onorare segreti accordi di alternanza con la Destra ― ecco che all’istante i “nostri” finti “sinistri” ricominciano a fingersi veri, “dimenticano” di aver dato inizio alle privatizzazioni e “liberalizzazioni” e nefandezze assortite che la Destra sta ora completando, e all’improvviso sembrano tutti di nuovo altrettanti Difensori dei Deboli e degli Oppressi. Ma noi quousque tandem continueremo a farci incantare dalle loro commedie? Dal Veltroni che dopo aver proclamato finita la lotta di classe scopre a un tratto quanto sia tornata a essere insopportabile la diseguaglianza sociale? Dal D’Alema che dopo aver ignobilmente flirtato col Berlusconi in bicamerale, di punto in bianco si dichiara “comunista” facendo l’occhietto a Maurizio Crozza? Dai cattolici più o meno fondamentalisti (ce n’è per tutti i disgusti, dal Fioroni alla Binetti passando per Cicciobello Rutelli) che con una maschera rampognano la Destra, con l’altra leccano le scarpette rosse del Ratzinger e con la loro vera faccia frantumerebbero uno specchio al giorno, se gli specchi avessero occhi?

 

(E per calarci dai massimi ai minimi sistemi, per parlare cioè di beni pubblici più vicini a noi, qui, nella nostra Valle, be’, ce ne vengono in mente soprattutto due: l’acqua del fiume Aniene e la cosiddetta “cava di Riofreddo”. A chi appartengono? Secondo noi, alla popolazione della Valle dell’Aniene, agli abitanti del Lazio e a tutti gli Italiani. Ma non siamo affatto sicuri che l’uso che se ne fa sia (o sarebbe) approvato dalla maggioranza dei cittadini. È umano e bello, per esempio, che possano bere e lavarsi e lavorare con la “nostra” acqua anche i cittadini dei Castelli Romani. Ma è umano e bello ― o anche solo animalescamente razionale ― che questa cosiddetta “captazione” cresca fino a portate insostenibili per l’Aniene perché i capibastone di Destra e di finta “sinistra” di là manovrano più voti di quelli di qui? E per quanto riguarda il Grande Buco di Riofreddo, è umano e bello che la comunità che ogni giorno subisce l’uso privatistico di questo bene collettivo non sia mai interpellata né tanto meno chiamata a convalidare col voto la prosecuzione di questo andazzo?)

 

Il 19 novembre, del resto, abbiamo appreso che la criminalità organizzata si sta diffondendo anche nel Lazio, soprattutto lungo la fascia costiera che va da Aprilia al confine con la Campania, e che sono già 50 i clan laziali noti alla magistratura, di cui 31 della ’ndrangheta e 14 della camorra e dei casalesi. Anche noi siamo sotto attacco, dunque, e pertanto ci sembra doveroso ricordare che in guerra ― sì, in guerra, poiché quella è gente che invade e devasta i territori come un esercito aggressore ― ogni atto che anche solo minimamente e “involontariamente” possa favorire il nemico dev’essere condannato e contrastato con la massima fermezza da chiunque ne venga a conoscenza: ogni minimo favoritismo, ogni raccomandazione, ogni evasione fiscale, ogni comportamento men che irreprensibile, ogni scorrettezza mirante a procacciarsi un sia pur minimo indebito vantaggio su qualcuno ― anche solo non rispettare una fila, anche solo non rilasciare o non richiedere uno scontrino, anche solo farsi una fotocopia personale con una fotocopiatrice che personale non è, anche solo tardare dieci minuti a cominciare una lezione per occuparsi degli affari propri ― aiuta e consolida la criminalità organizzata perché nel suo “piccolo” è comunque una mancanza di rispetto per gli altri, e in quanto tale è un contributo ― modesto, certo, niente più che una monetina da un centesimo, ma di centesimi son fatti i miliardi ― alla nera marea di disprezzo per gli esseri umani che dilaga nel mondo, e della quale la crescente potenza e diffusione della criminalità organizzata non è la causa ma l’effetto. Poiché ogni fenomeno sociale è la somma di miriadi di comportamenti individuali, e alla somma non c’è comportamento che aggiunga (o tolga) soltanto zero.

 

(Se poi tutto questo risultasse un po’ oscuro, be’, si può sempre seguire il consiglio della “prestigiosa” rivista Nature ― riferito da La Repubblica del 10 dicembre ― di potenziare le prestazioni cerebrali assumendo farmaci psichiatrici, come fanno ― per il momento ancora illegalmente ― migliaia di studenti americani. Consiglio di chi? Di sette “autorevoli” comari ― pardon, neuroscienziati ― di università americane e britanniche, che dopo aver messo in guardia contro eventuali effetti collaterali di lungo termine, ingiustizie sociali dovute al costo dei farmaci (sic!) o pressioni dei genitori per migliorare le prestazioni scolastiche dei figli, sposano con convinzione la causa delle “pillole dell’intelligenza”. I nomi? Ronald Kessler, Henry Greely, Michael Gazzaniga, Martha Jarah, Philip Campbell ― americani ― Barbara Sahakian e John Harris ― inglesi. Del resto, conclude la “prestigiosa” rivista, già oggi i soldati americani ricevono anfetamine e Provigil e hanno l’obbligo di assumere farmaci per migliorare le loro performance, se glielo ordina un superiore. Non solo il Vaticano, anche il Pentagono ha i suoi Zichichi. E non da oggi).

 

Malgrado ciò ― e dal momento che noi invece resistiamo, resistiamo, resistiamo ― felice 2009!

 

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Materiali di ScuolAnticoli sul cosiddetto bullismo

 

Bambini vestiti da cretini guidati da cretini vestiti da Bambini

 

Sulla campagna di stampa contro i ragazzi: Riapre la caccia ai ragazzi e i media ricominciano a sparare.

 

Sul cosiddetto bullismo: La colpa del bullismo è di chi non c'è.

 

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