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novembre 2011

 

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mercoledì 9 novembre

 

Contro Berlusconi "Merkozy", contro Bersani la finta "sinistra"

Contro Berlusconi “Merkozy”, contro Bersani la finta “sinistra”

 

Diario di come Repubblica, destra del Pd, Terzo Polo (e qualche Altro) stan cercando di far fuori

non solo Silvio, ma anche Pier Luigi. Per far cadere Noi dalla padella nella brace.

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Paul Krugman, Stati Uniti, premio Nobel per l’Economia: Se la Banca centrale europea potesse sostenere i debiti sovrani europei stampando nuova moneta, la crisi si ridimensionerebbe drasticamente. Si genererebbe inflazione in questo modo? Probabilmente no1. Inoltre, all’Europa potrebbe giovare una leggera inflazione generale, perché un tasso di inflazione generale troppo basso condannerebbe i Paesi del Sud dell’Europa a una deflazione distruttiva, rendendo certo il perpetuarsi di alti tassi di disoccupazione e una catena di default. Ma questa opzione, si continua a ribadire, è impensabile. (...) Questo sviluppo degli eventi è, come ho detto, tragico. La storia dell’Europa del dopoguerra ha un profondo valore di ispirazione. Sulle rovine della guerra, gli Europei hanno costruito un sistema di pace e di democrazia, creando società che, seppure imperfette ― e quale società non lo è? ― sono probabilmente, da un punto di vista morale, le migliori mai generate dall’intera storia dell’Umanità. Questa conquista ora è a rischio perché l’élite europea, nella sua arroganza, ha rinchiuso il Continente in un sistema monetario che ha ricreato le rigidità dello standard aureo e si è trasformato, come il gold standard degli anni Trenta, in una trappola mortale. (Da un articolo pubblicato, tradotto, su La Repubblica di martedì 25 ottobre 2011).

 

Domande: perché la Banca centrale europeaDomande: perché la Banca centrale europea non prende in considerazione la proposta del premio Nobel Paul Krugman? Perché la Germania, la Francia, la Commissione europea ― impegnandosi intanto, ma da sùbito, per dotare l’Europa di un vero Parlamento e di un vero Governo, cioè di Istituzioni sovranazionali davvero democratiche, in mancanza delle quali l’economia europea, e per suo tramite l’economia mondiale, sono del tutto in balìa dei cosiddetti mercati, cioè delle tirannie finanziarie globali ― non hanno neanche provato, pur con tutto il rispetto per l’indipendenza della Bce, a chiedere a Trichet, e oggi a Draghi, di stampare moneta per tamponare l’emergenza? Forse perché la Merkel, il Sarkozy, il Barroso, il Trichet e il Draghi son gente di destra, decisa ad approfittare della crisi, e della conseguente ricattabilità dei Paesi a essa più esposti, per aggredire e devastare società che, seppure imperfette, sono probabilmente, da un punto di vista morale, le migliori mai generate dall’intera storia dell’Umanità?

 

E in Italia? Come mai nessuna proposta diversa dalla sottomissione ai diktat europei (totale smantellamento del Welfare a favore delle tirannie private e dello Stato a favore dell’antiStato) viene presa seriamente in considerazione non solo dal governo Berlusconi ― che forse (sottolineiamolo: forse) è ancor più di destra dei principali governi europei ― ma neanche dall’opposizione parlamentare? Come mai la Sinistra italiana ― tranne quella cosiddetta radicale, e nel Pd la voce isolata e rimbrottata del “ministro ombra” per l’Economia, Stefano Fassina ― sembra incapace perfino d’immaginare di resistere all’aggressione delle tirannie finanziarie e dei loro “lacchè” a Berlino e a Parigi? C’entrano qualcosa, in ciò, i non ancora ben trascorsi due decenni di insensata sottomissione ideologica all’iperliberismo della finta “sinistra” dei Blair e dei Clinton? C’entra qualcosa, in ciò ― per carità, è solo una domanda ― la moral suasion assiduamente esercitata sul Pd dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che di tale sottomissione era l’italico alfiere quando i Blair e i Clinton portavano ancora i calzoni corti?

 

Andiamo avanti con la rassegna stampa, e vediamo se salta fuori qualche spunto che ci permetta di rispondere a questa e ad altre domande o almeno di avanzare delle ipotesi...

 

Ezio Mauro, direttore de La Repubblica, editoriale (Un regime vuoto) del 26 ottobre 2011: L’Europa aveva imposto il principio di realtà ai trucchi contabili italiani e alla falsa rappresentazione dei conti del Paese. Passata la dogana, anche Berlusconi aveva dovuto parlare di crisi, negata per mesi nei comizi telefonici e nei comunicati imperiali che rimbalzano perfetti nei telegiornali di corte. Una manovra riscritta quattro volte, sotto il diktat europeo, era la prova regina del governo dell’impotenza e del commissariamento europeo, con Napolitano ormai unico punto di riferimento, dentro il Paese e fuori. Poi l’atto finale. Con la leadership sostanziale dell’Europa (Sarkozy-Merkel) e quella formale (Van Rompuy e Barroso) che notificano a Berlusconi l’obbligo di varare in tre giorni le misure necessarie.

 

Tutto vero e giusto. Ma... proprio tutto? Davvero, come il Mauro butta lì senza scomporsi, il Sarkozy e la Merkel sono la leadership sostanziale dell’Europa? Li abbiamo forse eletti Primi Consoli d’Europa? Non ci risulta. E allora perché non scrivere, piuttosto, che i governi francese e tedesco non hanno alcun titolo per dare ordini all’Italia? Di più: che la pretesa di comandare a bacchetta un Paese sovrano, da parte di governi stranieri, è un atto, se non di guerra, neanche amichevole?

 

Ma c’è di peggio: il Mauro, con agghiacciante disinvoltura, parla di trucchi contabili e di falsa rappresentazione dei conti del Paese da parte del governo Berlusconi. Non si limita cioè a ricordare che la propaganda berluscista ha sempre irresponsabilmente negato la crisi per convincere “madama la marchesa” ― cioè i suoi fatui elettori ― che tutto andava bene: accusa il governo di aver falsificato i conti, cioè di aver commesso il reato di creare, stampare e diffondere in Italia e in Europa documenti falsi sulla situazione economica italiana. Domande: se il Mauro non parla tanto per parlare, come un grullo sulla pubblica via, ma sa con certezza che Berlusconi e Tremonti, o chi per loro, hanno falsificato i conti del Paese, perché non li denuncia? E se invece non ha questa certezza né le relative prove, come si azzarda a propalare, attraverso il maggior quotidiano italiano, affermazioni così allarmanti? Non capisce che rischia così di aggravare la sfiducia dei cosiddetti mercati nei confronti dell’Italia? Oppure, non essendo un idiota, lo capisce benissimo ma è disposto ― lui e i potentati ai quali La Repubblica fa capo ― anche a mandare a picco l’Italia pur di abbattere Berlusconi? E in tal caso, per sostituire il governo Berlusconi con quale governo? E per fare cosa? Per ubbidire a capo chino ai diktat delle tirannie finanziarie europee e globali? E comunque, ammesso e non concesso che quelle tirannie abbiano a cuore (e a mente) il nostro Paese più e meglio del governo Berlusconi, vale la pena di mandar per stracci il 95% degli Italiani (attuali e futuri) nella speranza di un più e meglio così improbabile?

 

Umberto Bossi, 25 ottobreUmberto Bossi, 25 ottobre (ma citato da La Repubblica il 26): La lettera della Banca centrale europea è una fucilata a Berlusconi. Chi fa quella roba lì è un italiano. Chi ha scritto quella lettera è un italiano. È di Mario Draghi che parla: esponente di primo piano delle tirannie finanziarie globali (viene dalla Goldman Sachs2, ex governatore della Banca d’Italia, presidente dal 1° novembre della Banca centrale europea. E noi ― che di un Bossi non ci fideremmo neanche per portar giù l’immondizia, ma che lo conosciamo come del tutto incapace di prudenza nel servirsi di quel che sa per colpire i nemici ― a questo punto non possiamo non domandarci: be’, la “fucilazione” del Berlusconi e dell’intero suo maledetto governo sarebbe naturalmente un’ottima cosa ― da anni conserviamo con ogni cura una costosissima bottiglia per celebrare il fausto evento ― ma siamo sicuri che sia cosa buona e giusta che a “sparare” sia un plotone che nessuno ha eletto? Si obietterà: d’accordo, la Bce non è un’istituzione elettiva, ma è stato eletto chi ha nominato i governatori delle banche nazionali e chi della Bce ha statuito, all’atto delle sua fondazione, l’indipendenza dai governi. Vero. Ma anche chi nomina il Capo di Stato maggiore dell’Esercito viene eletto, e non per questo il Capo di Stato maggiore dell’Esercito può dare ordini al governo.

 

Der Spiegel, la più autorevole rivista della Sinistra tedesca, 25 ottobre (ma citata da La Repubblica il 26): L’Italia è il bambino che crea problemi e causa preoccupazione all’Unione europea, e siede su una montagna di debiti di circa 1900 miliardi di euro. Domanda: perché proprio un bambino? Solo un bambino può rappresentare chi crea problemi? E comunque, anche ammesso che sia lecito parlare di chi crea problemi come di un bambino, a quali cure un bambino “problematico” ha diritto in Germania? Ricatti, perdita della libertà, violenta riduzione a zero (o poco più) dell’affetto e dell’interesse che ne hanno fatto, per parafrasare Krugman, il bambino meglio trattato dall’intera storia dell’Umanità? E se il “bambino” invece si ribella? Lo si vorrà allora abbandonare, “dimenticare” in auto, magari in una Volkswagen, a morire soffocato dal sole del Mediterraneo? È questo che la più autorevole rivista della Sinistra (!) tedesca ha in mente per noi, a solo 66 anni dal 1945? E noi, in tal caso, quali similitudini saremmo autorizzati a fare? Quella del nazista che ammazza il bambino spaccandogli il cranio contro il muro?

 

Massimo Giannini, vicedirettore de La Repubblica (e uomo di destra se mai ce ne furono, come potrebbe facilmente dimostrare un’antologia delle sue “perle” degli ultimi quattro anni), 27 ottobre: Ora il governo italiano si dichiara pronto a raccogliere questi inviti. Ma solo nella parte più distruttiva (la libertà di licenziare per le imprese) e non in quella più costruttiva (il diritto a veri sussidi di disoccupazione per i lavoratori). È una scelta irresponsabile: non può non suscitare la dura e immediata reazione dei sindacati e delle opposizioni. Ma è soprattutto una scelta insensata: un governo che non ha più una base politica e sta ormai perdendo anche quella parlamentare, può mettersi contro l’intero schieramento dei corpi intermedi della società italiana, dalla Confindustria ai sindacati alla Chiesa cattolica? (...) Un programma come quello spiegato dal Cavaliere ai capi di Stato e di governo d’Europa avrebbe avuto senso il 14 aprile 2008, il giorno dopo il trionfo elettorale che consegnò a Berlusconi la più larga maggioranza della storia repubblicana. Un progetto tosto, da vera destra tatcheriana pronta a reggere l’urto delle piazze perché cementata da un impianto politico-culturale compiuto e condiviso. Lanciarlo oggi (...) sembra solo un modo per cadere sul campo, fingendo di combattere ora la “buona battaglia” che non si è avuto la forza e la voglia di combattere tre anni e mezzo fa. Domande: benché il Giannini si creda il più “avveduto” dei sinceri, sbagliamo noi o queste parole dicono che Berlusconi, per lui, non è abbastanza tatcheriano, non è abbastanza di destra? E se questo è vero ― e dal momento che il Giannini non è solo il Giannini, ma anche il potente gruppo editoriale che lo foraggia e, con esso, l’intera élite istituzionale, politica, economica e intellettuale, dalle più alte cariche dello Stato fino all’ultimo consigliere comunale di finta “sinistra”, che quatta quatta ha sempre votato e fatto votare Berlusconi pur negandolo a spada tratta ― è del tutto infondato il sospetto che la caduta del governo attuale possa precludere, se non si andrà al voto, all’insediamento di un governo molto peggiore, magari con l’avallo suicida di un Pd “debersanizzato”? Di un governo espressione di quella “vera destra tatcheriana”, pronta alla “buona battaglia” e “a reggere l’urto delle piazze”, che il partito editoriale de La Repubblica provò a insediare già nel 2007-2008 tirando la volata al veltronismo e spingendo, dietro le quinte ma neanche troppo, per la caduta del governo Prodi? Son solo domande, per carità ― domande permeate di “complottismo”, ce ne rendiamo conto ― ma scagli la prima pietra chi mai ha avuto la sensazione che sotto La Repubblica gatta ci covi.

 

Lo stesso giorno in cui il Giannini si augura un governo in grado di “reggere l’urto delle piazze”, La Repubblica ― che non è un monolite, come anche noi “complottisti” riconosciamo volentieri ― dà la parola a Susanna Camusso, leader ― davvero di Sinistra ― della Cgil. E Camusso cosa dice? Denuncia, sì, l’odio contro i Lavoratori di cui trabocca la “lettera d’intenti” che i berluscisti hanno scritto per apparire più tatcheriani alle Destre europee, La Repubblica e la destra del Pd comprese. Giudica, sì, intollerabili i tre attacchi mirati, contenuti nella lettera, alle norme sul Lavoro, ai dipendenti pubblici e alle pensioni. Dà anche lei, insomma, la sua brava picconata al governo Berlusconi. Ma poi ― alla domanda: Berlusconi ha la forza per mettere in atto le misure annunciate? ― risponde contrapponendo al termine forza, scelto dall’intervistatrice Luisa Grion, il termine volontà: Credo che non abbia né la volontà né la forza per farlo. Cioè, se non andiamo errati, lascia capire che anche lei, apparentemente come Giannini, considera i berluscisti non abbastanza tatcheriani nell’animo. Al che la giornalista, ringalluzzita, suggerisce: Questa volta però anche il Quirinale sostiene che non bisogna tergiversare sulle riforme impopolari. E si becca una “rispostaccia” che al Giannini avrà fatto male: Non ne posso più di questo uso strumentale delle riforme impopolari: se ne fanno da tre anni e tutte pesano sulle spalle dei Lavoratori. Mi aspetto una riforma impopolare che introduca la patrimoniale e scontenti qualcun altro. L’intervistatrice, che “tiene famiglia”, tenta la parata: Ma l’impegno è preso! Si può dire di no alla Banca centrale europea? Risposta: Certo che si può dire di no. Domanda: siamo dunque invitati a pensare che anche il Quirinale, stando alle parole di Susanna Camusso (che ringraziamo di esistere), faccia un uso strumentale del concetto di riforme impopolari? E se è così, e poiché il Quirinale non è solo il Quirinale, ma un immane gruppo di pressione istituzionale-politica non meno forte de La Repubblica, non sarebbe ora che a Sinistra ― tra quelli che, come Susanna Camusso, sono davvero di Sinistra ― si trovasse finalmente il coraggio di chiamare simili potentati con il loro vero nome, che è (forse) altrettanto brutto che berluscisti? Susanna Camusso, in questa intervista, dà il buon esempio: osa lambire il Colle non come un Di Pietro o un “Beppe” Grillo in piazza o al bar, ma come il leader di milioni di Lavoratori sindacalizzati, come il leader dell’Italia migliore. E gli altri? E Bersani, che probabilmente la pensa come lei? Se non ora, quando?

 

La Repubblica, 28 ottobre: Intanto Bruxelles non perde tempo e si organizza per mettere in pratica il commissariamento dell’Italia chiesto e ottenuto dalle altre capitali europee che non vogliono vedere i loro sforzi per salvare l’euro e l’Unione vanificati dall’inazione del Cavaliere. All’uscita dal vertice tutti lo dicono, da Sarkozy a Barroso passando per Van Rompuy, Juncker e la Merkel (che ci mette sullo stesso piano di Spagna e Grecia): gli impegni italiani vanno bene, ma ora devono essere messi in pratica. La Commissione ci seguirà passo passo e chiede un calendario dettagliato per la loro realizzazione (con tanto di tempi parlamentari per ogni singola riforma). Barroso annuncia poi che promuoverà Olli Rehn, commissario agli Affari economici, a vicepresidente della Commissione “responsabile per l’euro”. È l’Italia a subire per prima la governance rafforzata (in gergo “plus”) di Bruxelles che permetterà a Rehn di esaminare, prima delle Camere, le manovre e le riforme con la possibilità di imporre rilievi e modifiche vincolanti. Così come potrà fare l’Eurogruppo. Sottolineiamo: il commissario europeo “responsabile per l’euro” esaminerà le manovre e le riforme italiane prima delle Camere, e potrà imporre alle Camere rilievi e modifiche vincolanti. Domande: se le cose stanno così, è vero o no che in tal modo viene esautorato non solo il governo, ma anche e soprattutto il Parlamento della Repubblica? Se la risposta è , è vero o no che in tal modo si fa carta straccia della Costituzione e cessa di esistere la Repubblica italiana nata dalla Resistenza al nazifascismo? Se la risposta è , è vero o no che in tal modo la Repubblica si estingue non insieme agli altri Stati dell’Unione, ma unilateralmente? Domandina finale: è vero o no che al partito La Repubblica, pur di abbattere Berlusconi, tutto ciò sembra star bene?

 

Intanto il socialdemocratico tedesco Frank-Walter Steinmeier, ex ministro degli Esteri, definisce vergognoso il comportamento della Merkel nei confronti del Parlamento tedesco (La Repubblica, 28 ottobre). Domanda: perché in Italia invece non si trova un cane ― non, almeno, in certi “canili” istituzionali ed editoriali ― che definisca vergognoso il comportamento della Merkel e del Sarkozy contro i Parlamenti democraticamente eletti della Germania e della Grecia, e La Repubblica, addirittura, parla di Camere esautorate come se si trattasse di normale amministrazione? Abbattere il governo Berlusconi vale la pena di un tale scempio? O più che l’abbattimento del governo, quel che preme al partito editoriale e al suo altissimo referente nel Palazzo è di evitare le elezioni e imprigionare il Partito democratico in un governo tecnico che umili il tentativo di Bersani di rifarne un partito davvero di Sinistra?

 

Perfino le banche italiane ― che di estrema sinistra non pare che siano ― cominciano a sentir puzza di bruciato nel supino servilismo di una parte degli “oppositori”3 del berluscismo alle tirannie finanziarie globali e ai loro sgherri nelle destre europee e nella Bce. E ― ne dà notizia La Repubblica il 30 ottobre ― tentano il contrattacco. Hanno due settimane, dopo la votazione delle misure Eba4 di rafforzamento bancario, per dimostrare all’Eba e alla finanza mondiale che non sono certo tra le meno solide e capitalizzate, in Europa. Non hanno bisogno di 14,7 miliardi di patrimonio, il doppio dei big francesi, il triplo dei tedeschi. (...) Il paradosso, ripetuto tra le file delle banche coinvolte (quelle già sottoposte a stress test: Intesa, Unicredit, Mps, Banco popolare, Ubi) risiede anche nel fatto che Andrea Enria guida l’Eba, Vittorio Grilli presiede l’Efsf5, Mario Draghi la Bce. Un filotto italiano che non ha saputo scansare la batosta regolamentare: “Lo dovranno spiegare agli Italiani,” brontola un banchiere, “perché si è deciso di penalizzare il debito sovrano e le banche del Paese, che ora per adeguarsi rischiano di dover limare i crediti alle Pmi (piccole e medie imprese) e alle famiglie”. Domanda: davvero i cosiddetti “mercati” ― alias le tirannie finanziarie globali e i loro sgherri in Germania e Francia e nella Bce ― ce l’hanno “solo” con Berlusconi? O ce l’hanno soprattutto con l’Italia in quanto Paese anomalo, per la Costituzione che lo difende e i Diritti che essa garantisce, e dunque Paese nemico dei nemici dell’Umanità?

 

31 0ttobre. La Repubblica, gongolante, dedica due pagine a Matteo Renzi (e due penne, una delle quali di Concita De Gregorio) e passa in rassegna l’esercito renzista descrivendolo come una sorta di italica “quinta colonna” della Banca centrale europea: Niente di meglio che un Big Bang, per ridisegnare la geografia di un partito. Le nuove linee di frattura del Pd si erano già delineate dopo l’estate, non è “merito” di Renzi, giurano i suoi rivali, ma la musica suonata alla Leopolda non ha certo aiutato. Le wikidee dei nuovi rottamatori, per intenderci sì alla Bce no alla Cgil, sì a Marchionne no alla Fiom, sì a Steve Jobs no a Nichi Vendola, superano i confini di chi si è proclamato renziano. Volano oltre l’ex sindaco di Torino Sergio Chiamparino, l’economista Pietro Ichino, il prodiano Sandro Gozi. Sorpassano l’endorsemont arrivato dall’uomo ombra del “professore”, Arturo Parisi. E arrivano nel cuore della segreteria del Pd, nella compagine che fa capo al vice di Bersani, Enrico Letta. Toccano i modem di Veltroni. Interloquiscono con Areadem di Franceschini. (...) Il nodo è sempre lo stesso: non appiattirsi sulle posizioni della Cgil, saper affrontare i nodi posti dalla lettera della Bce. Lo dice chiaramente, anche se da un’altra posizione, il modem Gentiloni: “Bisogna allargare il campo e non rinchiudersi nel recinto della sinistra tradizionale”. “Gli equilibri sono delicati,” dice un dirigente, “e qualsiasi forzatura può far saltare tutto. Se Renzi avesse annunciato la sua candidatura, o se Bersani decidesse di indire primarie il 15 gennaio, il Pd esploderebbe”. E poi, spiega, tra Renzi e Montezemolo c’è più di un flirt: “Se non allarghiamo il campo, e quei due vanno insieme, son dolori sia per il Pidièlle che per il Pd. Domanda: se è vero, come pare, che le forze d’occupazione delle destre europee e della Bce combattono per le tirannie finanziarie in guerra contro l’Umanità, si rendono conto i renzisti della destra del Pd e de La Repubblica che un giorno saranno chiamati a rispondere di collaborazionismo come Petain in Francia e i repubblichini di Salò in Italia?

 

1° novembre. Scende in Campo la Tirannia Cinese nella persona del suo presidente, Hu Jintao: Pechino potrebbe contribuire all’Efsf direttamente, fornendo un backstop su richiesta, oppure finanziando un nuovo fondo all’interno dell’Fmi (Fondo monetario internazionale), stanziando fra i 50 e i 100 miliardi di dollari. I Cinesi pretendono però che parte del contributo sia denominato in yuan, vendendo per la prima volta la propria valuta all’Europa e apprestandosi a lanciarla come nuova moneta di riserva internazionale. Ma la Cina pone anche clausole politiche: anticipo, da parte dell’Unione europea, del riconoscimento della propria economia come economia di mercato, smantellamento delle barriere commerciali anti Pechino, sblocco dei trasferimenti di tecnologia, rivoluzione del sistema monetario internazionale e rilancio del commercio mondiale attraverso lo stop a ogni forma di protezionismo. Partita cruciale: un’Europa in ginocchio induce la Cina a dubitare del piano di salvataggio Ue, ma un pacchetto “economia in cambio di politica” fa temere ai leader europei che il soccorso finanziario si riveli dannoso. (La Repubblica, 1° novembre 2011). Domande: le Merkel, i Sarkozy, i Draghi, all’apparenza così tosti e severi (contro l’Italia, ma fingendo di avercela col Berlusconi) son forse le marionette (consapevoli o meno) di poteri assai più reali e più forti di loro? Non sarà che, mentre fanno credere agli “utili idioti” sparsi per l’Europa di occupare l’Italia per il suo bene, stanno invece svendendo la libertà dell’intero Continente, e con esso un sistema di pace e di democrazia che ha creato società che sono probabilmente, da un punto di vista morale, le migliori mai generate dall’intera storia dell’Umanità?

 

E Giorgio Napolitano, intanto, cosa fa? La Repubblica ce lo racconta il 2 novembre: Bersani ha convocato per stamattina una riunione dei massimi dirigenti del partito. A sorpresa, sul tavolo ci sarà anche la manifestazione di sabato 5 a piazza san Giovanni, per la quale Roma è tappezzata di manifesti da settimane. Napolitano ha chiesto informazioni sull’appuntamento del week end. Voleva capire quale sarebbe stato lo slogan. Se è Berlusconi a casa, bene. Se è del tipo Elezioni sùbito, meno bene perché non si concilia con una strategia del dopo Berlusconi che passi da un esecutivo tecnico. Domanda: il presidente della Repubblica ha forse già deciso cosa emergerà dalle consultazioni che terrà dopo la caduta del governo? Non vogliamo pensarlo, poiché vorrebbe dire che il presidente tenta di allargare i poteri che la Costituzione gli assegna. Allora ha “solo” deciso la linea politica del Partito democratico? Non vogliamo supporlo, poiché significherebbe che il presidente tenta di disporre del maggior partito italiano come di un partito personale. Ma allora che sta facendo il presidente della Repubblica? “Ho il dovere,” dice il presidente, “di verificare le condizioni per una larga condivisione nelle scelte che l’Europa ci chiede”. E qui il messaggio è destinato anche all’opposizione: “Il Paese può contare su un ampio arco di forze sociali e politiche consapevoli della necessità di una nuova prospettiva di larga condivisione delle scelte che l’Europa, l’opinione internazionale e gli operatori economici e finanziari si attendono con urgenza dall’Italia. Il presidente della Repubblica, dunque, non “solo” avrebbe già deciso gli slogan del Pd da oggi a quando lo dirà lui, non “solo” avrebbe già deciso che dalle consultazioni successive alla caduta del governo dovrà emergere un governo tecnico, ma addirittura avrebbe già deciso la linea di tale futuro governo, cioè che dovrà chinare il capo con urgenza davanti all’Europa delle destre e delle tirannie finanziarie globali? E perfino ― udite udite ― davanti agli operatori economici e finanziari? Per carità, son solo domande: si avrà ancora il diritto di porne, supponiamo. O vi sono forze e altissimi livelli istituzionali, in questo Paese, che pretenderebbero di decidere in anticipo non solo gli slogan, ma anche le domande?

 

3 novembre, torna a farsi sentire il Giannini: Il Cavaliere non può e non vuole combattere la grande guerra per la modernizzazione, da uomo di una destra tatcheriana dura e pura che in Italia non è mai esistita e che lui (a dispetto della grancassa bugiarda del Foglio e di “Radio Londra”) non ha mai incarnato. (...) Ma l’opposizione politica è coesa, quanto meno nell’immediata disponibilità ad approvare anche le misure più severe, purché Berlusconi esca di scena un minuto dopo. L’opposizione sociale è compatta, quanto meno nella richiesta di un’immediata “discontinuità” di governo. Soprattutto, è in campo il presidente della Repubblica, che ha di fatto avviato un ciclo di consultazioni informali, come se una crisi di governo fosse già virtualmente in atto. Domande: davvero la caduta di Berlusconi non dipende tanto dall’opposizione politica e sociale, quanto soprattutto da Napolitano? E in quale articolo della Costituzione è scritto? Forse nella Costituzione materiale del futuro governo del presidente, alias governo di responsabilità nazionale, alias governo tecnico, alias governo fantoccio delle tirannie finanziarie?

 

(Lo stesso giorno arriva una notizia interessante dal Venezuela, ma ne parla solo L’Unità: Il Venezuela si prepara a rimpatriare le sue riserve d’oro. 211 tonnellate per 16.000 lingotti e un valore di 11 miliardi di dollari, depositati in Gran Bretagna, Svizzera, Francia, Stati Uniti e Canada, che entro la fine di novembre dovranno tornare nelle casseforti della Banca centrale del Venezuela. Costo totale del rimpatrio: nove milioni di dollari, trasporto e scorte incluse. Chavez, sappiamo che tipo è: amico di Castro, amico di Gheddafi. Ma... il Venezuela è ricchissimo di petrolio, della crisi economica mondiale poco gliene importa, di che ha paura? In altre parole: possibile che ci sia da aver paura così tanto di quel che potrà accadere ai piccoli ribelli dopo che la culla dei Diritti umani, l’Europa, sarà stata lobotomizzata?)

 

A questo punto, però (come vedremo nelle righe che seguono) accade qualcosa di abbastanza simile a un colpo di scena: all’improvviso, il partito editoriale e il suo “altissimo riferimento” cambiano tono. Anzi: il tono rimane perentorio, forse per dissimulare un certo imbarazzo, ma il senso cambia, quasi si capovolge. Domanda: il dietrofront ha a che vedere col fatto che la manifestazione del Pd con Bersani, indetta per il 5 e intitolata alla Ricostruzione dell’Italia, è stata confermata e si preannuncia poderosa?

 

4 novembre, Napolitano: “Saranno gli sviluppi dell’attività parlamentare a consentire di valutare concretamente l’effettiva evoluzione del quadro politico-istituzionale”. Pesano come un macigno le parole del presidente della Repubblica. Parole che arrivano a conclusione di due giorni di consultazioni informali del Colle (“non consultazioni protocollari, non c’erano le condizioni”), e tanto più pesanti se lette insieme a quell’altro passaggio-chiave della nota ufficiale che il Quirinale sforna a metà mattinata: “A tutte le forze appartiene interamente la libertà di assumere determinazioni in Parlamento, e la responsabilità che ne consegue, in una crisi gravida di incognite. Per La Repubblica, forse preoccupata che l’altissimo referente appaia “ondivago”, queste parole pesano come un macigno, ma a noi suonano piuttosto come una marcia indietro, dopo i precedenti “commissariamenti” di governo e Camere. Salvo che per quell’accenno alla responsabilità che ne consegue, che fa un po’ mugugno da bimbo rimproverato.

 

È il giorno prima della manifestazione, e La Repubblica, dopo il la di Napolitano, si riempie di no global dell’ultima ora. Federico Rampini (per anni cantore delle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione): L’asse col turbo Merkozy, dopo aver sospeso la democrazia in Grecia imponendo la cancellazione del referendum, rivolge la sua pressione sull’Italia. Timothy Garton Ash, fino a ieri blairista quant’altri mai: Tra i gradini della cattedrale di St.Paul a Londra e il vertice del G20 a Cannes, invio questo messaggio ai banchieri: date indietro qualcosa. Con “banchieri” intendo chiunque abbia fatto un sacco di soldi nel settore finanziario negli ultimi venticinque anni. E un certo Giampiero Martinotti, inviato a Cannes, tiene a dirci che il buon Sarkozy e la buona Merkel stan facendo di tutto per imporre alle tirannie finanziarie una tassa sulle loro “transazioni” (= ruberie), ma non riescono a superare le resistenze di molti grandi Paesi, dagli Stati Uniti alla Russia, dalla Cina alla Gran Bretagna. Domanda: avrà anche visto la “povera” Merkel e il “povero” Sarkozy strapparsi i capelli, per questo insuccesso?

 

La mattina dopo, 5 novembre, dovrebbe essere un giorno di festa, per i tatcheriani de La Repubblica e del Quirinale: Italia sorvegliata speciale. Dall’Unione europea e adesso, a sorpresa, anche dal Fondo monetario internazionale, che farà un “monitoraggio trimestrale”. La prima missione dei vigilantes Fmi arriverà “entro il mese”, assicura il direttore generale Christine Lagarde, e dovrà verificare a che punto sono le promesse di risanamento e di rilancio dell’economia contenute nella famosa lettera d’intenti redatta dal governo. Non solo: la prossima settimana saranno a Roma anche gli esperti della Commissione, ugualmente incaricati di seguire passo passo l’attuazione dei provvedimenti annunciati. Dovrebbe esser festa, dicevamo, per i “finti sinistri” che giudicano il Berlusconi troppo poco di destra, inetto com’è a “reggere l’urto delle piazze”. Invece, nuovo dietrofront: il fin qui bramato governo di salvezza nazionale viene finalmente descritto da La Repubblica (attribuendo la “scoperta” a non meglio identificati individui “vicini al premier”) per quello che in effetti sarebbe: una “soluzione” che favorirebbe Berlusconi: Se Napolitano incaricasse Mario Monti per un governo “di salvezza nazionale”, con una dura agenda di sacrifici ― quella tracciata ieri a Cannes con l’Unione europea e il Fondo monetario ― per il Pidièlle e Berlusconi ci sarebbero vantaggi. “Avremmo tutto il tempo di riorganizzarci e preparare la candidatura di Alfano nel 2013”. Inoltre si alleggerirebbero le responsabilità per i micidiali tagli che dovranno essere approvati. E resterebbe solo Monti come artefice della purga. Solo Monti? E con lui tutti i partecipanti al governo per la salvezza delle tirannie finanziarie. Compreso il Pidièlle. Ma escluso Berlusconi Silvio, che forte delle tv, delle mani nette di sangue (della “macelleria”) e di una ricostruita “verginità”, rivincerebbe le elezioni nel 2013 con un partito nuovo di zecca. Come la destra greca, maggior colpevole della tragedia del Paese per aver truccato i conti dello Stato, che oggi è di nuovo in testa ai sondaggi per essersi opposta alle “misure impopolari” che “i mercati” hanno imposto al governo Papandreou. Questo però La Repubblica del 5 non lo dice ancora: aspetta di vedere come andrà la manifestazione del pomeriggio (tanto poi, domenica, parlerà Scalfari). E intanto registra senza commenti il secondo dietrofront in due giorni del capo dello Stato, finora europeista “senza se e senza ma”: Non si può, dichiara Napolitano, in particolare nelle sedi europee, ripartire ogni mese con nuove indicazioni e prescrizioni.

 

Nel pomeriggio del 5, a piazza san Giovanni in Roma, la manifestazione del Partito democratico è un successo pieno non “solo” per il partito e il segretario, ma per tutti gli Italiani di Sinistra. Il povero Renzi, paracadutato tra i manifestanti per verificare in corpore vili quanto sia amata dal “popolo del Pd” la destra del partito (iperliberista, globalista, meno-Stato-più-privato e, come se non bastasse, quasi tutta clericale, insomma: la quintessenza nostrana del fallimento mondiale della “nuova” “sinistra” dei Blair, dei Clinton, degli Schroeder) riceve solo fischi e incitamenti a tornarsene ad Arcore, dove La ruota della fortuna lo gonfiò come un pallone e lo lanciò a ulteriormente oscurare i nostri cieli. E Pier Luigi Bersani ― con un’unica concessione alla moral suasion presidenziale: non chiede il voto immediato, non ne parla affatto ― è però chiarissimo sui temi politici (niente berluschini di primo piano nel “governo di salvezza nazionale”, che il Pd appoggerà “solo se vi saranno le condizioni”) e soprattutto su quelli economici, cioè sulle famose “scelte impopolari” (= antipopolari) pretese (per conto delle tirannie finanziarie) dalla Merkel, dal Sarkozy e dalla Bce, misure che ancora il 3 pomeriggio, come abbiamo visto, erano dogmi di fede per il Terzo polo, per gli –oni del Pd, per il partito editoriale e per il presidente della Repubblica: le misure di risanamento dell’economia dovranno essere rigorose ma eque, scandisce più volte il segretario; e non solo: chi finora ha dato meno, adesso dovrà dare di più. Parole testuali, e impegno solenne.

 

Con risultati immediati.

 

In tempo reale, le “scelte impopolari” si fanno più miti nell’eloquio di Giorgio Napolitano, che in Puglia torna a evocarle, sì, ma questa volta chiama anche a uno “spirito di equità” e a una “giusta misura della distribuzione dei pesi e dei tagli sul nostro sistema sociale” (La Repubblica, 6 novembre). E la mattina dopo, domenica, tono e contenuti del consueto editoriale di Scalfari sono molto diversi dal tono generale del quotidiano nei giorni precedenti: il capo del partito editoriale non desiste dal propugnare quello che chiama governo del Presidente (la via delle elezioni anticipate non è praticabile; la sconfitta del Pdl e della Lega Nord sembra inevitabile e catastrofica6. Ma c’è anche un’altra e più stringente ragione: l’Italia non si può permettere due mesi di campagna elettorale con i mercati che porterebbero lo spread a 600 punti base e il rendimento dei titoli pluriennali all’8%. Non resta che un governo del Presidente guidato da una personalità al di fuori dei partiti, che abbia grande autorevolezza internazionale e l’appoggio di tutte le forze responsabili rappresentate in Parlamento. Tra queste ci deve essere anche il Pdl affinché la fiducia parlamentare sia solida e non esposta a trabocchetti che avrebbero un effetto devastante sulla crisi economica) ma il tatcherismo alla Giannini (di cui il giornale era intriso fino al giorno prima) non sembra più l’opzione preferita: crescita e rigore, sentenzia lo Scalfari, ma probabilmente prima crescita e poi rigore. Francamente non so ― qui pare quasi un no global, n.d.r. ― quanto questa scelta coincida con le ondivaghe indicazioni delle Autorità europee e soprattutto della Germania. Finora l’Europa e la Germania in particolare hanno privilegiato il rigore, ma gli effetti sono stati assai poco soddisfacenti. (...) La prima mossa di Draghi da Francoforte, il 2 novembre, ha indicato la via della crescita con una diminuzione significativa del tasso di sconto dell’euro. (...) Obama dal canto suo è stato ancora più netto: ha esortato l’Europa a puntare sullo sviluppo produttivo, sulla creazione di nuovi posti di lavoro e su una rete di protezione dei disoccupati e dei lavoratori precari prima ancora di passare a nuove strette rigoriste. (...) Un governo di questa natura non ha certo davanti a sé una strada fiorita di rose, ma neppure di macelleria sociale. Fino a qui, non conoscendo lo Scalfari, verrebbe quasi voglia di controfirmarlo. Ma il veleno è nella coda: Ci vorrà una legislatura costituente nel senso sostanziale del termine, come auspicò Aldo Moro quando promosse l’apertura al Pci di Berlinguer pochi giorni prima del suo rapimento. Domanda: lo Scalfari scrive dunque “con penna biforcuta”? Escludiamo, infatti, che un uomo intelligente come lui possa credere che un redivivo compromesso storico (l’operazione politica forse più insana mai allestita in Italia) non porterà “naturalmente” (nel senso di quel che parrà “naturale” ai servi del Vaticano come il Casini, il Rutelli e la destra del Pd) a scelte ferocemente antipopolari.

 

No, l’editoriale scalfariano di domenica 6 non è una ritirata: è un ripiegare, consigliato dalla vista impressionante della manifestazione del 5, sul consueto mimetismo della finta “sinistra”. Un mimetismo dalle tinte quasi no global per quel che concerne le “misure impopolari”, da un lato (ché tanto, pensa lo Scalfari, faremo sempre in tempo a invocarne la “dolorosa necessità” una volta che il “governo del presidente” sarà in sella) e dall’altro, invece, giù la maschera e fuoco ad alzo zero contro Bersani, unico ostacolo al compromesso storico in quanto ormai chiaramente capace di portare la Sinistra (Pd-Idv-Sel) a una vittoria travolgente (la sconfitta del Pdl e della Lega Nord sembra inevitabile e catastrofica).

 

Spara per primo Romano Prodi, che come il Draghi e il Monti non per niente è stato “addestrato” dalla Goldman-Sachs, la più grande (e pericolosa) banca del mondo: Bersani è una persona eccellente, di grandi capacità, posso dirlo, è stato mio ministro, ma non riesce a “uscire”... Non è confortante leggere che, con quel che succede, nei sondaggi il Pd non riesce a crescere come ci si aspetterebbe (La Repubblica, 6 novembre). Domande: ha dimenticato, il Prodi, di aver detto che fu il Veltroni a far cadere il suo governo? E se non l’ha dimenticato, perché falsifica come un veltroniano la storia delle elezioni del 2008, nelle quali il Pd ottenne, sì, il 33%, ma derubando la Sinistra radicale col ricatto del cosiddetto voto utile, rivelatosi poi del tutto inutile? O mente sapendo di mentire, il Prodi, quando finge di ignorare che il 28% delle intenzioni di voto registrato dagli ultimi sondaggi è invece autentico, ed è stato espresso ― ciò ch’è più importante ― da centinaia di migliaia di Cittadini che le derive iperliberiste e clericali avevano deluso fino alla disperazione, e che proprio Bersani ha cominciato a poco a poco a recuperare?

 

Lunedì tocca al Gentiloni scagliarsi contro Bersani e ridar la carica alla finta “sinistra” delle tirannie finanziarie: Continuo a sottolineare che il segretario debba dire quanto prima con chiarezza quali sono le posizioni del Pd sulle scelte economiche. Per me la lettera della Bce ad esempio è un terreno obbligato attraverso il quale passare, mentre ho sentito anche autorevoli dirigenti sostenere che non può essere quella la strada. (...) Bersani deve dire chiaramente che non può essere questa la linea del Pd (L’Unità, 7 novembre). La Repubblica si concede un giorno di pausa, ma l’8, in compenso, tira fuori l’artiglieria pesante: da un lato cinque colonne di fabbrica del fango contro Bersani (tentando ancora una volta di imputare a lui i presunti intrallazzi del Penati, un individuo che fu infilato nella sua segreteria proprio a questo scopo come una sorta di “bomba a tempo”), dall’altro sei colonne d’intervista al Veltroni (che per La Repubblica non parla come noi comuni mortali: il Veltroni scolpisce) per fargli dire il martedì quel che lo Scalfari gli ha insegnato a dire domenica: che ci vuole un “governo del presidente”, che ci vuole il Monti (cioè, invece, un governo della Goldman-Sachs) e che per farlo ci vuole un “nuovo” “compromesso storico” col cattofascismo italiano: fu così dopo la Resistenza e così durante gli anni del terrorismo, quando non era certo facile far convivere il partito di Berlinguer e il partito di Andreotti.

 

Contro Berlusconi "Merkozy", contro Bersani la finta "sinistra". (Clicca sulla miniatura per ingrandirla!)Contro Berlusconi "Merkozy", contro Bersani la finta "sinistra". (Clicca sulla miniatura per ingrandirla!)

 

Per il momento ci fermiamo qui. Ma con un’ultima domanda, a proposito di cattofascismo: perché nes­sun articolista del partito editoriale si interroga sulle condizioni in cui versa, nella Grande Crisi, la spe­cialissima tirannia finanziaria nota ai più con il nome di Città del Vaticano? Forse per non lasciarci supporre che il primo obiettivo del “nuovo” compromesso storico sia quello di risanarla col nostro sangue?

 

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Note

 

[1] La stessa cosa ha sostenuto Alessandro Roncaglia, professore ordinario di Economia politica alla Sapienza e autore, tra l’altro, de Il mito della mano invisibile (Laterza, 2005) nel corso di una conferenza presso la libreria Amore e Psiche il 27 ottobre 2011: L’idea comunemente accettata che stampare moneta generi inevitabilmente inflazione, ha detto, non ha alcuna base scientifica. (Cito a memoria, ma la lezione è stata videoregistrata).

 

[2] E tuttavia, incredibilmente, Mario Draghi viene anche dall’insegnamento dell’economista Federico Caffè, che sosteneva che le Borse dovrebbero essere chiuse. O forse, e soprattutto, viene dall’insegnamento dei Gesuiti...

 

[3] Gli “oppositori” del berluscismo, dal ’94 a oggi, sono stati davvero tutti all’opposizione? O alcuni di essi hanno invece sostenuto il berluscismo in ogni modo possibile e immaginabile ogni volta che hanno ritenuto di poter farlo senza essere smascherati? E si badi che non parliamo “solo” della destra del Pd, del partito de La Repubblica e di certi loro altissimi referenti istituzionali, ma anche (e soprattutto) di qualche centinaio di migliaia di connazionali sedicenti “di sinistra” ― nel senso che tali si definivano nelle nostre cerchie di amici e perfino di parenti ― che nel segreto dell’urna votavano invece per Forza Italia e poi per il Pidièlle. Ci si è sempre domandati con meraviglia chi fossero gli elettori di Berlusconi, visto che in giro se ne trovavano così pochi, ma si credeva che fossero cittadini di destra che non volevano dichiararsi tali. Sembra sempre più probabile, invece, che una buona fetta fosse composta da Italiani e Italiane che nella vita di tutti i giorni, e fin nei più intimi rapporti personali, continuavano a dichiararsi “di sinistra” e inveivano contro Berlusconi. Dottor Jekyll e mister Hyde? Ebbene sì: esattamente questo.

 

[4] European Banking Authority.

 

[5] European Financial Stability Facility.

 

[6] Curiosa motivazione: la prospettiva di una “sconfitta catastrofica” del Pdl e della Lega Nord non dovrebbe indurci a preferire la via delle elezioni? E se invece la proposizione è stata scritta (male, per altro) mettendosi dal punto di vista di berluscisti e leghisti, be’... si può sapere perché mai dovremmo metterci dal loro punto di vista, decidendo cosa è meglio per il Paese? Forse perché il partito editoriale preferirebbe che la Sinistra non diventasse troppo forte?

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martedì 1° novembre

 

Chi è Matteo Renzi e perché non si può che parlar male di lui?

 

Chi è Matteo Renzi e perché non si può che parlar male di lui?

 

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Come mai l’autore del pdf con le 100 proposte della Leopolda 2011 è Giorgio Gori (La Stampa on line, lunedì 31 ottobre 2011), ex direttore di Canale 5 e Italia 1, l’uomo che alla fine degli anni ’90 ha portato sugli schermi italiani Il grande fratello?

 

Risponde il Renzi: Immagino perché fosse suo il computer su cui hanno scritto il file con la sintesi della tre giorni. Plausibile? Plausibilissimo.

 

Ma la pronta risposta del sindaco di Firenze, tanto convincente quanto ovvia, non impedirà che anche questo piccolo “incidente”, insieme ai molti altri a lui occorsi, rimanga impresso nelle nostre menti al pari dei mille segnali più o meno allarmanti che raccogliemmo su Silvio Berlusconi all’epoca dei suoi esordi prepolitici di impresario televisivo: quei mille segnali più o meno significativi che oggi, alla faccia degli antiberluscisti dell’ultima ora, ci permettono di affermare che noi avevamo capito già trent’anni fa chi è Silvio Berlusconi. Ecco: se il Renzi arrivasse dove mira ad arrivare e combinasse ciò di cui è capace (faccia gli scongiuri chi crede nell’efficacia dei medesimi) noi che gli resistiamo potremo dire di non essercelo mai bevuto, questo ometto della provvidenza per infatuati da piccolo schermo. E di non essercelo bevuto, tra gli altri mille segnali più o meno allarmanti, anche per la dolorosa scoperta che nel Partito democratico albergano (e son da molti ritenuti credibili) perfino individui (come il Renzi) che non considerano oltraggiosi la vicinanza e il sostegno di chi, portando in Italia Il grande fratello, ha fatto quel che ha potuto, nella posizione di primo piano che occupava, per promuovere l’istupidito antiumanesimo di massa che delle tv berlusciste era ed è (più o meno consapevolmente) l’obiettivo fondamentale.

 

Un segnale, il renzismo del Gori dal Renzi accolto e apprezzato, che avvalora la nostra idea che il Renzi altro non sia che l’ultimo (ed ennesimo) prodotto della mente pericolosa (nel senso clooneyano dell’espressione) di Mike Bongiorno, agente dei servizi segreti americani in Italia e primo motore immobile dello strapotere televisivo nel nostro Paese. L’idea che al Renzi, cioè, (prima e più che Comunione & liberazione, il cui influsso sugli adepti non porta che a stimolarne e potenziarne la finta umiltà, la furbizia e l’ipocrisia da sottogoverno) sia stato Mike Bongiorno a cambiargli per sempre la vita.

 

In che modo? Facendogli intuire (come al Berlusconi e, nel loro piccolo, al Veltroni e al Vendola) che un’immagine pubblica di stampo televisivo (anche non direttamente emanata dalle tv, ma comunque modellata sulle maschere televisive) può assurgere in breve tempo a una sorta di (quasi) irresistibile potenza religiosa. Con la differenza che se il Berlusconi, quanto a distruttività dell’immaginazione degli Italiani, ha superato il maestro amerikano di gran lunga, e se il Veltroni ha fatto (a Sinistra) danni quasi altrettanto gravi ma (forse) in una sorta di “innocente” sonnambulismo, il Renzi invece (per nostra fortuna, o perché stiamo diventando tutti più bravi) è per il momento fermo a un interminabile big bang che può ancora concludersi con un flop che faccia di lui il Romolo Augustolo del berluscismo.

 

Ce lo auguriamo, naturalmente: un Renzi a poco a poco dimenticato, ridotto a sbattersi sulle tv paesane come una Wanna Marchi all’ultimo stadio.

 

Ma... e se così non fosse? Se il berluscismo, inteso come macchina mediatica per l’imbarbarimento delle menti (nel senso dei barbari del Baricco, un precursore dello sfondamento berluscista a Sinistra che oggi sembra aspirare al ruolo di “Goebbels pensoso” del renzismo) non fosse affatto agli sgoccioli? Se, al contrario, stesse per trionfare sulla nostra Resistenza reincarnandosi, per l’appunto, in un berluscismo baricchiano di (finta) “sinistra”?

 

Ebbene: Matteo Renzi, in tal funerea eventualità, può riuscire nell’impresa molto più del Vendola, e appare perciò di gran lunga più pericoloso. Diversamente dal Vendola, infatti (che gli istupiditi da tv giudicano vecchio non, come dovrebbero, in quanto veterocomunista e baciapile, ma perché incapace di semplificare oltre un certo limite) il Renzi non vuol sembrare profondo. Al contrario: il Renzi, baricchianamente, sa che la semplificazione, quanto più è volgare, tanto più facilmente penetra e ipnotizza le menti dei teledipendenti; e che lui perciò, anziché spremersi le problematiche meningi, può e deve (sollievo!) essere quel che è, dare a bere sé stesso: un sempliciotto di destra (il semplificare non potendo produrre che “idee” di destra) che conferma e avvalora nei sempliciotti “di sinistra” il delirio che si possa essere di Sinistra anche da sempliciotti, anche da istupiditi pieni di “idee” di destra.

 

Attenzione, però: sempliciotto non vuol dire poco pericoloso. Non, almeno, quando il sempliciotto (a un certo momento di una vita che altrimenti non l’avrebbe portato che a straparlare nei bar) ha visto la luce. Non, cioè, quando il sempliciotto ha ricevuto in dote dai mikebongiorni un’immagine di stampo televisivo che gli conferisce una potenza iperreale, cioè religiosa. Cioè una potenza non vera, priva di autentico spessore e sconnessa dalla realtà propria e altrui, che in quanto tale non può essere agita che come berluscismo: scardinando, immiserendo, insozzando e dissolvendo non tanto i valori della Sinistra (magari, come il Renzi vorrebbe far credere, perché vecchi e obsoleti) quanto soprattutto quel sentimento della complessità e profondità del reale, e specialmente del reale umano, che ci mantiene di Sinistra, noi che resistiamo, nel solo modo in cui si può essere di Sinistra davvero: in quanto sani di mente.

 

Obiezione: può mai essere così grave il frequentare senza sentirsene feriti un Bongiorno, un Gori, un Baricco? Be’: a dire il vero , può esserlo. Ma ovviamente non c’è solo questo. Ovviamente sono mille, appunto, i segnali più o meno allucinanti che il Renzi si è lasciato sfuggire di quel semplicismo antiumano che nell’Italia di oggi porta il nome di berluscismo. Per chi ha poca memoria (o meglio, per chi ancora non si è reso conto della vitale importanza, contro l’istupidimento, di percepire i brutti segni, soffrirne, e tenerne registro) ricordiamone alcuni.

 

Sembrano passati anni, ma era l’aprile del 2009: il Renzi si candida a sindaco di Firenze mettendo in lista l’ex “schedina” di Quelli che il calcio Elisa Sergi e dichiara: Anche Berlusconi le preferisce belle, che male c’è. Immaginiamo l’esultanza del Baricco: il cavallo di Troia dei suoi amati barbari bussa a (certe) menti di Sinistra nel punto di lor minore attrito col berluscismo, l’odio e il disprezzo contro la Donna.

 

Ma non è così facile mettere in rotta la Resistenza, e il 19 giugno 2009 su La Repubblica (per la penna, se non ricordiamo male, di Alberto Statera) appare un interessante trafiletto: I siluri contro di lui da parte dello schieramento opposto sono partiti con un singolare ritardo: quando Renzi, con il 47 e mezzo per cento ottenuto al primo turno, aveva già praticamente in tasca la vittoria che celebrerà lunedì prossimo. “L’è evidente,” è stato il commento di chi nel Pd non ama il giovane cattolico rampante, “Denis deve dimostra’ che il bimbo non l’ha cresciuto lui a mollichella”. Dove mollichella sta per coccole, Denis sta per Denis Verdini, plenipotenziario del Pidièlle in Toscana, e il bimbo per Renzi. Il quale, secondo la leggenda metropolitana, fu aiutato nelle primarie democratiche da votanti infiltrati dalla Destra, e a queste elezioni dalla scelta verdiniana di contrapporgli per favorirlo un avversario debole come l’ex calciatore della Fiorentina e del Milan Galli.

 

Passano neanche due mesi e il giorno di Ferragosto del 2009 il Renzi lancia un richiamo, Mai più con la Sinistra radicale!, che dai tempi del primo governo Prodi è una sirena irresistibile per quanti, tra gli elettori del Partito democratico, non vedono l’ora di semplificarsi... Lungo silenzio e poi, il 28 aprile 2010, una dichiarazione che è un intero programma, anche se semplificato e semplificante Lungo silenzio e poi, il 28 aprile 2010, una dichiarazione che è un intero programma, anche se semplificato e semplificante: Se il Pidì è solo il gruppo dirigente, ammonisce il “nostro”, c’è da stare preoccupati. Ma se è l’esperienza di popolo, quello non ossessionato da Berlusconi, allora vedo entusiasmo ed energia. Due punti di fondamentale importanza ― il popolo (entità indifferenziata puramente mediatica) e che non sia, esso popolo, ossessionato da Berlusconi ― con cui il Renzi chiama esplicitamente a raccolta il popolo televisivo che, per quanto si creda ancora “di sinistra”, ormai è così istupidito da non capire più che essere “ossessionati” da Berlusconi è vitale, perché significa non sopportarne l’odio e il disprezzo per l’Umano.

 

Ma il neologismo “geniale”, che si lascia alle spalle anche Berlusconi e traghetta il renzismo verso lidi antiumani ancora inesplorati, è del 29 agosto 2010, appena quattordici mesi fa: Il Nuovo Ulivo, detta il “nostro”, fa sbadigliare: è ora di rottamare i nostri dirigenti. Rottamare: il termine è così spaventoso, evoca il nazismo in modo così esplicito, che lì per lì suscita una reazione di rigetto: il Renzi ha esagerato, si è spinto troppo oltre, proprio come accade spesso al Berlusconi? Niente affatto: il termine apparentemente non passa, è vero, e tuttavia, proprio come accade con le provocazioni berlusconiane e berlusciste, rottamare e rottamatore diventano di uso comune (e il Renzi se ne vanta:Ci dicevano che eravamo matti, a usare la parola rottamazione, ora lo fanno tutti) a “sinistra” come a destra: a dispetto della generale riprovazione, cioè, l’idea che di un Essere umano si possa parlare come di un rifiuto inorganico, una volta impiantata (con la crescente potenza mediatico-religiosa renziana) nelle menti degli istupiditi “di sinistra” anelanti a semplificarsi (e degradarsi) come i berluscisti, risulta inestirpabile.

 

È da questo momento che il Renzi comincia ad attrarre davvero l’attenzione dei poteri forti (e straricchi) dell’antiumanesimo, e perciò a diventare davvero pericoloso per la Sinistra. Se ne accorgono per prime L’Unità e, su La Repubblica, l’intelligente e attenta Alessandra Longo, entrambe il 3 novembre 2010: Nessun format prestabilito, work in progress, promette il sindaco del capoluogo toscano Matteo Renzi, che ormai è diventato una star contesa da tv, radio e settimanali. In un’intervista a Chi, per esempio, dice che “Adesso basta con gli stessi volti da vent’anni. Cambiamo facce, idee, proposte. Non si può fare politica tutta la vita. Bindi e D’Alema, andate a casa”. Non solo loro, è chiaro, per il sindaco di Firenze a casa ci devono andare in tanti, compresi Veltroni e Fini. Berlusconi anche, ovvio. Un leit motiv che sta dando grandi risultati mediatici: oggi sarà ospite della trasmissione di Radio2, Supermax, condotta da Max Giusti e Francesca Zanni, poi alle 23.55 si sposta su La7 da Victor Victoria, dove improvviserà una coreografia. (L’Unità). Matteo Renzi, il leader dei “rottamatori” del Pd, nonché sindaco di Firenze, si è guadagnato un superservizio sul settimanale Chi, house organ della famiglia Berlusconi. Toni agiografici del cronista, primi piani con scorci di Firenze by night. “Renzi cercherà di mandare a casa Bersani e Veltroni, di pensionare D’Alema, Bindi e Marini e di piazzare una precaria al posto della veterana Finocchiaro”. Insomma, un gigante della trasgressione perché “lui se ne infischia delle ripicche di partito e tira dritto come un treno”. Anche una notazione ammirata per le sue condizioni di salute: “Ci vuole un fisico bestiale per fare il primo cittadino e pure il capo dei rottamatori del Pd”. La frase più forte: “Sono cresciuto con Kennedy e Mandela nel cuore, io”. (Alessandra Longo, La Repubblica, 3 novembre 2010).

 

Tre giorni, e il 6 novembre 2010 il Renzi torna a esternare da par suo: Bisogna uscire dalla barzelletta berlusconian-tremontiana, ma si deve evitare il delirio padoaschioppano. Come si fa a dire che è bello pagare le tasse? Nota bene: il Renzi non chiama delirante il povero Padoa Schioppa in quanto uomo di destra (che, se i ministri di Sinistra non gli avessero resistito, avrebbe fatto contro lo Stato le stesse cose che poi ha fatto il berluscismo) ma per una delle poche cose di sinistra che disse in vita sua; e così facendo, di nuovo, è ai sempliciotti e agli istupiditi “di sinistra” che mira, sdoganando a loro “beneficio” l’odio antistatale contro le tasse. Mentre, da sindaco di Firenze, rottama anche il 1° maggio e costringe i Lavoratori del commercio a 363 giorni all’anno di rinuncia a sé stessi e alle famiglie: poiché l’odio contro i Lavoratori, si sa, come quello contro i Migranti, o contro i Bambini e i Ragazzi, è una componente sine qua non dell’odio antiumano in cui gli istupiditi “di sinistra” bramano di sprofondarsi per godere anch’essi, finalmente, della smemorata, anaffettiva beatitudine che invidiano agli istupiditi di destra.

 

Dobbiamo continuare? 7 dicembre 2010: Renzi-Berlusconi, incontro ad Arcore. Il sindaco chiede fondi per Firenze. Il premier: “Tu mi somigli”. Non sono sfuggite al premier le dichiarazioni contro la proposta di “Union sacrée” per scacciare il tiranno da palazzo Chigi: “La sinistra,” ha detto Renzi, “non può mettere insieme la solita ammucchiata selvaggia antiBerlusconi”. 22 dicembre 2010, Barbara Berlusconi: Il sindaco di Firenze mi è sembrato una persona che vuole davvero cambiare le cose, da lui mi sentirei rappresentata; ad avvicinarci non sono le idee politiche, ma la stessa cultura generazionale. 8 gennaio 2011, Giuseppe “Beppe” Fioroni (noto campione dell’antiumanesimo religioso, che da ministro dell’Istruzione sproloquiava che i Bambini e i Ragazzi non siano umani): Matteo Renzi ha la mia storia, è una risorsa, questi ragazzi sono oro colato, altro che trattarli come Stalin con Trotsky. Matteo in persona, 12 gennaio 2011: Sto con Marchionne senza se e senza ma. La Fiat tira fuori i soldi invece di chiederne e il Pd non si schiera? Io sto con chi investe. Gli risponde come merita Chiara Ingrao (ma, poiché nessuno le mette a disposizione la potenza mediatica che il Renzi raccoglie a piene mani, deve accontentarsi di una lettera a La Repubblica): Chi ha accettato di pagare un presunto salvataggio di posti di lavoro a suon di turni di notte e straordinari incontrollati, mensa a fine turno, pause e indennità malattia decurtate, rinuncia al diritto di sciopero e di rappresentanza sindacale democraticamente eletta, cosa firmerà la prossima volta? E se il prezzo per ottenere un investimento in Italia fosse chiedere alle lavoratrici di rinunciare alla maternità, che non è garantita né negli Stati Uniti né in Cina? Non lo abbiamo già visto nella crisi finanziaria globale, quali risultati può portare dare mano libera alle imprese? Sono quesiti che riguardano tutti. Dalle risposte che daremo dipenderà il futuro del nostro Paese. 18 marzo 2011: Il Renzi, criticato per aver tardato a organizzare il rimpatrio dal Giappone, dopo il disastro nucleare di Fukushima, di oltre 300 fra orchestrali, coristi e tecnici del Maggio fiorentino, allude a Susanna Camusso con le parole sciacallo nazionale, aspirante politico.

 

Si potrebbe continuare a lungo, ma ci sembra che basti: l’obiettivo del Renzi, quale emerge dalle sue prese di posizione, non è “solo” quello di diventare il candidato premier del Pd, ma soprattutto quello di “semplificare” e “istupidire” l’intero Partito democratico, privando così la Resistenza italiana all’antiumanesimo del principale (se non unico) sostegno politico di cui dispone.

 

Non è il solo, naturalmente: nella destra religiosa e iperliberista del Pd (in perfetta sintonia col Vaticano gli uni e con le tirannie finanziarie globali gli altri) sono a dir poco legione quelli che combattono con le unghie e coi denti (alcuni, da molto più tempo del Renzi) per questa, chiamiamola così, soluzione finale dell’anomalia di una Sinistra italiana che il blairismo e il clintonismo seminati a piene mani per un ventennio non sono ancora riusciti a normalizzare. Una legione che attorno al Renzi si sta a tal punto compattando (con qualche contenuta gelosia dei solutori finali antemarcia, quali il Veltroni e il Fioroni) che un attento esame dei renzisti del Pd ci sembra non meno importante, per capire chi sia Matteo Renzi e quale pericolo rappresenti, della disamina fin qui condotta delle sue allucinanti esternazioni.

 

L’Unità, 27 ottobre ultimo scorso: Renzi incassa un appello-sostegno di dieci parlamentari dell’area che fa capo a Fioroni, Gentiloni e Veltroni, che in una lettera scrivono: “In un momento così difficile per l’Italia, il Pd deve assicurare la massima apertura a tutte le risorse che vengono dalla sua area, includere tutti i possibili contributi e non certo provocare esclusioni che suonerebbero contraddittorie rispetto alla sua ragion d’essere costitutiva”. Il testo, messo giù dal senatore Andrea Marcucci, è stato firmato da Roberto Della Seta, Francesco Ferrante, Pietro Ichino, Luigi Lusi, Luigi Bobba, Roberto Giachetti, Maria Paola Merloni, Ermete Realacci e Giuseppina Servodio. E chi sono mai questi renzisti? Andrea Marcucci (fratello di Marilina, ex editore de l’Unità vicino a Veltroni) è quello che nel settembre 2010 dichiarò: Dobbiamo andarcene dal Pd al più presto. Poi, evidentemente, folgorato da Matteo, ci ha purtroppo ripensato. L’Ichino, tutti lo conosciamo: inventore del termine fannulloni per i Lavoratori statali, in confronto a lui il Brunetta è di sinistra. Luigi Lusi, rutelliano (rimasto nel Pd a far danni?) è quello che nel febbraio 2009 votò col centrodestra a favore della norma sull’obbligo di idratazione e alimentazione artificiale, e che nel settembre 2009, irritato dalle proteste contro il della (oggi pidiellìna) Dorina Bianchi, in commissione Sanità, a un’indagine conoscitiva sulla pillola Ru486, dichiarò: Ma che ci stiamo a fare in questo partito? Qui siamo più bolscevichi dei siberiani. Vogliono fare il Pci? Ma lo facciano... Luigi Bobba, poi, è quello che nell’ottobre 2009 difese la Binetti contro Franceschini, e che nel febbraio 2009 si dichiarò favorevole a un disegno di legge urgente per “salvare” Eluana Englaro. Roberto Giachetti, anche lui rutelliano, è quello che nel luglio 2008 (appena seduto in Parlamento) “aprì” ai berluscisti contro la Magistratura (“apertura” rinnovata nel marzo 2011) e che nel luglio 2009 attaccò Ignazio Marino “colpevole” di aver detto che chi non era d’accordo sulla laicità avrebbe dovuto saltare un giro; e la Merloni è quella che nel marzo 2009 fu accusata da sei deputati (anche loro del Pd) di delocalizzazione selvaggia, indifferenza per il destino dei dipendenti e speculazione industriale.

 

Occorre altro? Potremmo continuare: seriamente, con l’assist che al Renzi sta fornendo il Chiamparino, noto marchionnista che anche i leghisti portano in palma di mano per le sue dichiarazioni contro i Migranti; oppure, da burloni, con l’appoggio che al Renzi offre suor Patrizia Prestipino (non solo i brontosauri, anche le brontosaure del centrosinistra sono eterne, La Repubblica, 30 ottobre 2011), una che di “giovani” deve intendersene, se è vero che nutriva la massima fiducia (al punto da accettarne passaggi in auto) nel presunto violentatore seriale Luca Bianchini, coordinatore del circolo della Margherita del Torrino, Roma... Ma concludiamo, invece, con la stupefacente (ma poi non tanto) Amaca di Michele Serra su La Repubblica di oggi, martedì 1° novembre 2011:

 

Sono tutti molto circospetti nel giudicare Matteo Renzi. Lo stesso Bersani, che a nome dei “dinosauri” potrebbe reagire con veemenza, non ne parla come di un nemico, né come di un corpo estraneo alla sinistra. Questa generale prudenza si spiega in parte con l’aura di vittoria che il giovane Renzi si porta dietro: non è conveniente mettersi contro un potenziale premier. In parte dipende dal fatto che non è affatto semplice inquadrarlo, decifrarlo, capire chi è e che Italia vuole, al netto del suo successo personale, questo travolgente outsider. Azzardiamo dunque un pronostico, rassicurati dal fatto che li sbagliamo sempre e dunque non abbiamo, in materia, un’autorevolezza da difendere. Ipotesi infausta: Renzi è il più riuscito tentativo di creare “un Berlusconi di centro-sinistra”. Molta confezione, dunque, e poco contenuto: esattamente come l’originale. Ipotesi fausta: Renzi è, con una ventina d’anni di ritardo, il nostro Tony Blair, traghettatore delle forze progressiste dal secolo ideologico a quello post-ideologico, con tutti i pro e i contro del caso. Niente di entusiasmante, ma qualcosa di nuovo e di spiazzante, sì. Quanto ai vent’anni di ritardo, non sarebbe colpa sua ma di un Paese che ha viaggiato, ultimamente, in costante retromarcia. Un Tony Blair, anche usato, per un’Italia così conciata sarebbe un lusso.

 

Non credevamo ai nostri occhi, leggendo queste righe. Tralasciamo le sciocchezze e le balle “minori” (non è vero che siano tutti molto circospetti nel giudicare il Renzi, il piccolo fenomeno suscita le passioni che merita; non è vero che non è affatto semplice capirlo, nelle righe precedenti abbiamo dimostrato che la semplificazione è la sua cifra; non è vero che il Renzi sia un Berlusconi di centro-sinistra, è un Renzi che sembra in grado di assecondare molto meglio di chiunque altro la tendenza di una parte della Sinistra all’istupidimento antiumano) e concentriamoci sulla maggiore: davvero sarebbe un’ipotesi fausta quella che il Renzi sia il nostro Blair?! Ancora non ha capito, ancora non sa, il Serra, chi è stato ed è il Blair?! E auspica un individuo simile anche in Italia?! Nell’unico Paese “occidentale”, cioè, in cui l’istupidimento antiumano “di sinistra” (clintoniano e, appunto, blairiano) non è ancora riuscito ad aver partita (del tutto) vinta?! Ma ci fa o c’è, il Serra? Nel caso (improbabile) che ci sia, gli annunciamo che perfino il Federico Rampini e la Barbara Spinelli hanno ormai capito cos’abbia fatto alla Sinistra mondiale il blairismo, stando a quel che la seconda, recensendo il primo, ha scritto sulle stesse pagine che oggi ospitavano la sua (del Serra) professione di fede renzista: Non era fatale che la sinistra s’insabbiasse nel mimetismo, cedesse al caos del mercato: soprattutto l’osannata sinistra riformista di Clinton, Blair, che facilitò l’egemonia della destra e la sua letale deregolamentazione. (...) Di una cosa Rampini è convinto: l’egemonia culturale, dopo la crisi petrolifera del ’73, è la destra anti-Stato a conquistarla. E il fallimento non sembra intaccarla. Questa è la vera sfida che la sinistra ha di fronte.

 

Ipotesi fausta, signor Serra? Mai più. Noi che Resistiamo vogliamo salvarla, la Sinistra (e con lei l’Italia), non vederle precipitare entrambe, colpite da un ultimo calcio da somaro, nella fossa che il Renzi sta scavando molto più efficacemente (lo ammettiamo) dei blairiani che lo hanno preceduto.

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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).

L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

 

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