ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

La Terra vista da Anticoli Corrado

nel settembre del 2013

 

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Gli inciuci tra Pd e Pdl stanno venendo al pettine. Per colpa di entrambi, rischiamo la tragedia. Speriamo che tutti, finalmente, se ne rendano conto. Nel Paese e nei paesi. (E i "grillini" che hanno fatto per impedirlo? Zero). (Domenica 29 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

(Domenica 29 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Colpa di Berlusconi? No. Colpa dei CAMERATI di Berlusconi che con lui e contro i cittadini italiani hanno fatto l'insensato governo LettAlfano servo delle tirannie finanziarie globali: Napolitano, Letta, i dirigenti del Pidi' e i 101 sgherri vigliacchi e traditori che ne sono stati gli strumenti. (Sabato 28 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

(Sabato 28 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Spiegare un Film a un Bambino: Romeo e Giulietta, di Franco Zeffirelli.

"Romeo e Giulietta", di William Shakespeare e Franco Zeffirelli (1968), con Olivia Hussey, Leonard Whiting, John McEnery, Michael York e Milo O'Shea.

(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media. Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto semplicistiche. Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e... non dimenticare di citarne l’autore!)

 

Come se non avessero ognuno la propria storia e non si fossero in essa già in parte realizzati, come se nascessero solo allora, quando per la prima volta si vedono e l’un l’altra s’illuminano di luce umana, sembra che Amore in persona, l’antica divinità, faccia innamorare Giulietta di Romeo e Romeo di Giulietta; e che essi non possano fare per impedirlo più di quel che poterono fare per nascere in un altro luogo, in una famiglia e in una città rimaste umane, anziché tra individui che vivono come lupi in una foresta buia: Romeo e Giulietta s’innamorano sconosciuti, nulla sapendo l’uno dell’altra, e solo quando niente può più separarli senza ucciderli scoprono chi sono e in quale guaio l’amore li ha cacciati. Poiché in amore non c’è pretesa di scegliere che tenga: non si esamina, non si valuta, non si ragiona né tanto meno si decide, e chi lo fa non ama, ma mente e finge. Nella migliore delle ipotesi, anche con sé stesso.

 

È quel che non sa più il vecchio Capuleti, il padre di Giulietta, che invita il conte Paride alla festa invitandolo a “parlare con tutte, guardarle tutte, e amare quella che, per le sue doti, gli sembrerà che valga più delle altre” (Romeo e Giulietta, traduzione italiana di Salvatore Quasimodo, atto I, scena II). Poiché Capuleti non parla d’amore, ma d’affari; e Paride, che è come lui, mai amerà né sarà amato.

 

Ma anche Romeo crede di poter comandare all’amore con la ragione: “Fammi vedere una donna che sia bellissima fra le altre” dice al cugino Benvolio, “e la sua bellezza non sarà altro per me che una pagina dove leggerò di quella che supera tutte per bellezza” (Romeo e Giulietta, I, I). Perfino Giulietta: “Guarderò, se il guardare spinge ad amare” promette alla madre; “ma non lascerò che il mio occhio si abbandoni più di quanto il vostro consenso gli darà forza di farlo” (I, III).

 

Entrambi ignorano, per non averlo mai provato ― e i vecchi perché non se ne ricordano; “ma i vecchi” dice Giulietta, “molte volte paiono già morti: incerti, lenti, pesanti e lividi come il piombo” (II, V) ― che non c’è vero amore che non sia fulmineo e invincibile. È stupido, oltre che cinico, prendere in giro Romeo per la rapidità con cui dimentica quella Rosalina che credeva di amare come un pazzo (lo deride per primo Mercuzio, dando il là a un coro di sbeffeggiatori della cosiddetta “volubilità giovanile” che non si è mai più azzittito: “Romeo! Capriccioso! Pazzo! Amante furioso!”, II, I; e Romeo: “Chi non ha mai avuto una ferita, ride di chi ne porta i segni”, II, II): Romeo la “scorda” all’istante non per leggerezza ma perché niente può impedirglielo, se colei che in quell’attimo per la prima volta vede è la ragazza di cui non importa il nome: “Come colomba bianca in una lunga fila di cornacchie sembra la fanciulla fra le sue compagne. [...] Ha amato mai il mio cuore? Negate, occhi: prima di questa notte non ho mai veduto la bellezza” (I, V). Romeo un incostante, un fatuo, un “innamorato dell’amore”? Ma se “Verona è orgogliosa di lui perché è un giovane virtuoso e bene educato” (I, V)! Lo dice un testimone non sospetto, il vecchio Capuleti che lo odia; e dev’esser vero, se a modo suo lo conferma perfino quella belva di Tebaldo: “La sua presenza, che ora può sembrare dolce, diverrà amarissimo fiele” (I, V) sibila, mentre Romeo si presenta a Giulietta tendendole la mano: poiché intuisce, Tebaldo, che sotto i suoi occhi sta nascendo quel che in un istante ― nell’istante in cui nasce ed è già irresistibile ― non può non sovvertire qualsiasi Società il cui primo scopo sia quello di rendere impossibile a tutti un amore vero.

 

È così anche per Giulietta, e anche più che per Romeo: “O sconosciuto, troppo presto visto e troppo tardi conosciuto! O sovrumana forza d’amore, tu mi fai amare il nemico che odiavo” (I, V). “Ogni mia gioia è in te [...]; improvviso, inaspettato, rapido, troppo simile al lampo che finisce prima che si dica «lampeggia»” (II, II). Così è amore, e non è amore ciò che così non è: potere a cui niente può opporsi, neanche il tempo, cui l’amore occorre assai di più di quanto all’amore occorra il tempo. Tutto è nell’amore e l’amore è tutto, dice il Coro: è “la passione [che ha] la forza, il tempo, i mezzi e il modo” (II, prologo).

 

Purtroppo, spiega Shakespeare, l’amore è irresistibile solo per gli innamorati; sugli altri, e sulla Società che gli altri talvolta fanno contro di esso, l’amore non ha che il potere, per loro inammissibile e intollerabile, di mandarli in pezzi fin dal suo apparire... (Clicca qui per continuare a leggere!). (Sabato 28 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Perché è in aumento la violenza contro le donne?

Perché è in aumento la violenza contro le donne? (Grace Kelly e Ray Milland in una scena di "Dial M for Murder" - "Delitto perfetto", 1954 - di Alfred Hitchcock). (Venerdì 20 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

(Grace Kelly e Ray Milland in una scena di Dial M for Murder ― Delitto perfetto, 1954 ― di Alfred Hitchcock)

(Clicca qui per scaricare il testo in pdf - e qui per scaricarlo in Word).

 

Penso: le donne ― tutte, anche le peggiori, ché chi si è reso capace di colpire una donna non lo è più da tempo di distinguerle l’una dall’altra ― sono d’intralcio alla violenza semplicemente essendoci. Anzi: semplicemente esistendo.

 

Non c’è situazione, ritengo, in cui la presenza femminile (o anche solo il sapere che al mondo vi sono donne) non rendano meno probabile il compimento di una violenza. Perfino nei casi in cui è una donna a indurre altri alla violenza o a commetterla.

 

Meno probabile non vuol dire impossibile, non sostengo che le donne impediscano la violenza: penso però che chi, uomo o donna, è divenuto capace di aggredire (fisicamente o mentalmente) un essere umano, viva la presenza femminile (o, ripeto, anche solo l’esistenza delle donne sulla Terra) come un intralcio, un ostacolo, un bastone fra le ruote dell’ingranaggio bellico che egli (o ella) si è ridotto a essere.

 

Che i violenti ne siano consapevoli o meno, le donne ― solo esistendo ― rendono meno ferme le mani che impugnano armi, meno acuti e lucidi gli occhi puntati sulle vittime, più lenti i flussi di “pensiero” delirante che “giustificano” e istigano alla violenza. E un mondo come quello che da qualche decennio si sta costruendo ― opera di gran lunga soprattutto maschile, ma anche di un certo numero di donne ― un mondo sempre più violento perché sempre più carico d’odio contro l’umano (ovunque l’umano sia, ma più dov’è umano di più, nei bambini, nelle donne, in quelli la cui condizione rende loro più difficile nascondere la propria umanità a chi l’ha presa di mira), un mondo così deve liberarsi prima di tutto delle donne, per impazzare senza più freno alcuno.

 

Più la violenza cresce (soprattutto maschile, e forse soprattutto di maschi contro maschi), più essa deve eliminare le donne per poter crescere ancora, questo penso.

 

E i pazzi divenuti capaci di alzar le mani, e gli ancor più pazzi divenuti capaci di impugnare armi, e gli ancor più pazzi divenuti capaci di uccidere, lo sentono, lo sanno: sentono e sanno che devono colpire e uccidere donne, per poter essere più pazzi ancora, per poter esserlo del tutto, per potersi sfrenare dovunque e sempre. Questo penso.

 

La violenza dilagante spinge davanti a sé gli aggressori di donne, i brutalizzatori di donne, i violentatori e gli assassini di donne, come Hitler spingeva davanti a sé migliaia di carri armati a far terra bruciata, prima che arrivassero gli sterminatori. Questo penso.

 

E penso, o piuttosto sono certo, che gli storici e i criminologi lo proveranno dimostrando che le violenze contro le donne son sempre cresciute, nella Storia, negli anni che hanno preceduto le guerre. Violenze contro le donne che in questi anni, come tutti sanno, son in aumento in quasi ogni luogo del pianeta.

 

(Clicca qui per scaricare il testo in pdf - e qui per scaricarlo in Word).

(Venerdì 20 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Spiegare un Film a un Bambino: Sette spose per sette fratelli, S. Donen.

"Sette spose per sette fratelli", di Stanley Donen (1954), con Howard Keel, Jane Powell, Russ Tamblyn, Tommy Rall, Jacques D'Amboise, Jeff Richards e Julie Mewmeyer.

(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media. Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto semplicistiche. Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e... non dimenticare di citarne l’autore!)

 

...E guerra, in effetti, sarà. Ma una guerra senza morti né feriti, in cui nessuno si farà male (giacché i pugni, in questa valle incantata, fanno solo rumore, e i fucili servono solo per andare a caccia) nessuno verserà una lacrima (poiché qui si sorride anche quando si piange) e perfino le valanghe staranno attente ad abbattersi dove non c’è nessuno, a metà strada fra le due schiere avversarie, e quindi a portar loro la pace anziché la morte: sarà una guerra, cioè (come la guerra tra i sessi che Milly e Adam combattono parallelamente a quella tra i Pontipee e il resto del mondo) in qualche modo gentile, affettuosa, nel corso della quale si continua a volersi bene anche quando (per un po’) ci si odia.

Se le cose vanno così, per le sette spose, i sette fratelli e chiunque abbia che fare con loro, è perché questa valle incantata è la Valle del Musical, dove niente può accadere senza che la musica e la danza, abbracciandolo e accompagnandolo, lo accordino con tutto il prima, tutto l’ora e tutto il poi. Poiché musica e danza sono armonia e accordo, si sa: e quando ci sono armonia e accordo, come ci si può far male?

Sette spose per sette fratelli dice che l’amore è una forza così potente, che non solo è in grado di trionfare su qualsiasi ostacolo, ma può pervadere e rasserenare l’intera Società umana.

Nel corso dei loro viaggi in città, i sette fratelli Pontipee – e poi, dopo che li hanno incontrati, anche le sette spose – più che agire per amore sembrano agiti dall’Amore: come in un mito antico, cioè, essi sono una sorta di “veicoli” di cui l’Amore si serve per imporre il suo dominio e la sua legge su tutta la comunità. Dovunque vadano, i sette fratelli portano l’Amore con sé; qualsiasi cosa facciano, come per magia si tramuta in Amore: perfino i cazzotti, perfino i sequestri di persona, perfino i cataclismi naturali! E al mondo non resta che sottomettersi: l’Amore trionfa, e grazie a esso ogni problema è risolto, ogni tensione si allenta, ogni conflitto si dilegua: regna la Pace, piena di vita, di passione, di allegria. Se vi guarderete bene intorno, sembra voler dirci il regista, scoprirete che il mondo è fatto proprio così. E se da qualche parte non è ancora così, è perché l’Amore, lì, non domina ancora le esistenze umane.

Com’è possibile? Come può l’Amore, per quanto potente esso sia, far apparire gioiose e piene di armonia le immagini di una rissa o di un rapimento? Grazie alla musica e alla danza.

Sono la musica e la danza che conferiscono all’Amore la capacità e la forza di penetrare dappertutto, di invadere e conquistare i cuori e le menti, di permeare in un lampo ogni azione umana rendendola aggraziata, generosa, amorevole e inoffensiva, non violenta, qualunque essa sia. La musica, cioè, insieme alla danza che essa suscita e accompagna, entra in noi e “ci muove dentro”, ci “costringe” a provare certi affetti e non altri, ci fa vedere come vuole lei le immagini e le scene a cui assistiamo.

Ma che cos’è la musica? E come fa, a farci quel che ci fa?... (Clicca qui per continuare a leggere!). (Giovedì 19 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Spiegare un Film a un Bambino: Il buio oltre la siepe, di R. Mulligan.

"Il buio oltre la siepe" (1962), di Harper Lee, Robert Mulligan e Alan Pakula.

Invitato alla presentazione di un libro su Harper Lee (Oltre la siepe. Alla ricerca di Harper Lee, di Silvia Giagnoni, Edizioni dell’Asino) colgo l’occasione per riaprire i battenti di Spiegare un Film a un Bambino, il cineforum di ScuolAnticoli, con la mia scheda su Il buio oltre la siepe...

 

(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media. Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto semplicistiche. Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e... non dimenticare di citarne l’autore!)

 

C’è, nel buio oltre la siepe, il lavoro dei bambini per capire il mondo sconcertante degli adulti, bellissimo e atroce, e per non esserne distrutti fisicamente e mentalmente. In questo, il romanzo di Harper Lee continua la grande e incompresa novità ottocentesca e della prima metà del Novecento della ricomparsa dei piccoli umani dal buio di un annullamento millenario (gli abbandoni e i ritrovamenti, le fughe e i ritorni, le sparizioni e riapparizioni di Hänsel e Gretel, di Maria Stahlbaum, di Tom Sawyer, di Huckleberry Finn, di Jim Hawkins, di Pinocchio, di Egòruška, di Holden e Phoebe Caulfield) e la arricchisce e la completa immaginando una bambina , nel “luogo” cruciale in cui i bambini scompaiono, a un passo dalla siepe che divide la luce dal buio, e narrando il suo diventare grande senza mai mettere in dubbio il suo essere fin dalla nascita: una bambina ― Jean Louise Finch, detta Scout ― che fin quasi alla fine del libro comprende poco di quel che accade e mette tutti in imbarazzo con le sue gaffe, e intanto è però inconsapevolmente in rapporto con gli altri a un livello di cui solo lei è capace (Atticus: “C’è voluta nientemeno che una bambina di otto anni per farli rientrare in sé! Ciò dimostra che anche una banda di bruti può essere fermata, semplicemente perché son pur sempre esseri umani. Chissà, forse avremmo bisogno di una polizia composta di bambini... Voi ragazzi stanotte siete riusciti [ma è stata solo Scout, n.d.r.] a far sì che Walther Cunningham si mettesse nei miei panni per un attimo, ed è bastato”) e sa intuire, o sentire, quel che nessun altro intuisce né sente: “Persino i neonati stavan tranquilli, e per un attimo mi chiesi se fossero stati soffocati al petto dalle loro madri” pensa, al processo, quando si rende conto che Mayella Ewell sta mentendo perché Tom Robinson muoia: una bambina capace di sentire il mondo capovolgersi e l’umano farsi disumano, ma che un attimo dopo, quando “Jem si volge a Dill spiegandogli [...] i punti più interessanti del dibattito”, si chiede “quali possano essere”! C’è, poi, nel buio oltre la siepe, il rapporto di Scout e Jem e del loro amico Dill con un adulto, un padre, Atticus Finch, che è l’uomo migliore che ci possa essere, perché ha il coraggio di entrare in conflitto con i suoi concittadini (“prima di vivere con gli altri, bisogna che viva con me stesso”) per difendere i diritti fondamentali di ogni essere umano e per meritarsi il rispetto dei figli (“Se non lo facessi [...] non potrei dire a te o a Jem: fa’ questo e non far quello”) e che lotta, diversamente dai suoi nemici e dagli avversari, senza tentare di rendersi anaffettivo nemmeno quando la sua sensibilità per la sventurata condizione di Mayella Ewell rischia di indebolirlo nella difesa della giustizia che per lui è tutto: poiché Mayella è una “strega”, certo, ma è figlia anche lei, come Scout e Jem, e anche in lei, dunque, Atticus non può non vedere quell’umanità meno forte, e perciò “a rischio”, i bambini, le donne, i neri, i “diversi”, che egli è al mondo per difendere, per far sì che non precipitino (Atticus, infatti, è un catcher in the rye adulto, che è riuscito a realizzare il suo sogno) in quel buio oltre la siepe che a Maycomb non è notte, né sonno, né tanto meno l’irrazionale profondo ch’è solo umano, ma il “luogo” spaventoso della segregazione e tortura di chi non è tollerato ― perché bambino o perché donna, perché di un altro colore o perché “diverso” ― dall’ordine implacabile dei maschi adulti bianchi e delle loro signore. Ordine di cui anche Atticus, perfino Atticus, è parte, ma che egli si ostina invece a credere il “luogo” della luce, l’unico in cui si può vivere con giustizia e umanamente e rispettando i diritti di tutti. E perciò non capisce, Atticus, come sia possibile che altri vi siano invece così pieni d’odio, violenti, stupidi (lo dice più di una volta: “non capisco”; e lo dice in particolare a Scout, perché è con la figlia che Atticus arriva quasi a superare sé stesso e a vedere... che vi è qualcosa che lui non vede, nella luce e nel buio al di qua e al di là della siepe). Dinanzi ai piccoli e ai deboli, vittime “predestinate” dell’ordine di Maycomb, Atticus si erge a impersonare quell’ordine da uomo buono, giusto, amorevole, ed è con loro gentile, dolce, paziente, affettuoso, sempre presente, giusto, severo solo quando è necessario (e anche allora soffrendo): tutto, insomma, Atticus è tutto quel che si può desiderare. Meno una cosa: nel buio non si arrischia, non entra, non va a vedere. E mai vi si fermerebbe a vivere. Perciò Tom Robinson, rinchiuso nella cella della morte dalla stessa Maycomb “della luce” da cui Atticus non può uscire, tenta la fuga da solo. E perciò soccombe. Ha un solo difetto, infatti, Atticus... (Clicca qui per continuare a leggere!). (Martedì 17 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Il papa sta poco bene?

Il papa sta poco bene? (Venerdì 13 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

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Nella lettera di Jose Mario Bergoglio a Eugenio Scalfari c’è qualcosa che non va: un errore, una contraddizione così marchiana, che chiunque la noti (o me ne sono accorto solo io?) non può non domandarsi se la salute di papa Francesco sia davvero buona come sembra.

 

Il settimo capoverso del messaggio, infatti (la Repubblica, mercoledì 11 settembre 2013, p. 2) si conclude con le seguenti parole: Quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità.

 

Fin qui niente d’insolito, purtroppo: siamo abituati ad aspettarci che un papa ― o, più in generale, un credente ― non abbia un’idea positiva dell’umano, occupato com’è a fantasticare il sovraumano. Ma se si va avanti nella lettura, ecco cosa si legge (con grande stupore) al termine del penultimo capoverso: L’incredibile amore che Dio ha per ogni uomo, il valore inestimabile che gli riconosce.

 

A questo punto, come non preoccuparsi per la salute del papa? Sì, perché mi sembra difficile che un uomo nel pieno possesso delle sue facoltà fisiche e intellettuali definisca l’essere umano un fragile vaso d’argilla e poi, a qualche riga di distanza, un valore inestimabile. I vasi d’argilla non hanno un valore inestimabile: i vasi d’argilla valgono pochi centesimi l’uno. È mai possibile che Bergoglio si sia dimenticato dopo poche righe ciò che aveva scritto poche righe prima?

 

Qui non si tratta di teologia, disciplina che non ha mai suscitato in me alcun interesse e sulla quale non intavolerei discussioni non dico con un papa, ma neanche con l’ultimo infelice chierichetto della Cristianità. Qui si tratta di un errore logico, e così madornale che lo vedrebbe chiunque non sia accecato da superstiziosa venerazione: è come se il papa avesse scritto che i bucatini all’amatriciana fanno schifo e poi, dimenticandosene dopo poche righe, avesse scritto che sono il suo piatto preferito!

 

Insegno Lettere nella Scuola media, e da trent’anni ho a che fare quasi ogni giorno con errori d’Italiano d’ogni sorta. Ma non mi è mai capitato di trovare, in uno stesso tema, un’affermazione e l’affermazione opposta a distanza di poche righe. Per questo mi domando se il papa stia poco bene: è mai possibile, mi chiedo, che ci sia più coerenza nella mente di un ragazzino di dodici anni che nella sua?

 

Si obietterà che la lettera può avergliela scritta qualcun altro, e Bergoglio averla solo firmata. Ma l’obiezione cadrà non appena si consideri che il papa non avrebbe mai inoltrato uno scritto così importante senza prima rileggerlo. No, mi dispiace: il papa ha proprio scritto (o letto) che l’essere umano non vale un fico secco, e poco dopo che ha un valore inestimabile, e non se n’è accorto. Ripeto: come starà?

 

All’attenzione della (quasi) totalità dei commentatori il preoccupante sintomo è sfuggito. Perché intontiti dalla fede che un papa, se non proprio infallibile, se non proprio “imboccato” dallo Spirito Santo, sia automaticamente reso dalla papità un geniale pensatore? Fatto sta che tutti si son invece concentrati sull’immensa, sublime, straordinaria novità che il titolo de la Repubblica sintetizza così bene: FRANCESCO AI NON CREDENTI: “SE OBBEDITE ALLA COSCIENZA AVRETE IL PERDONO DI DIO”...

 

Ma dov’è la novità? Solo a un imbambolato da superstiziosa idolatria (o a chi per tornaconto finga di non capire) può sembrare nuovo che un papa chieda ai non credenti di pentirsi, ubbidire alla coscienza e implorare il perdono di Dio. Che c’è di nuovo in questo? Inginocchiatevi e chiedete clemenza, ecco cos’ha detto il signor Bergoglio, e i tonti vanno in brodo di giuggiole! Mentre dovevano rispondergli: No, signor Bergoglio: non credere in Dio non è una colpa e quindi non c’è alcun perdono da chiedere a chicchessia. Né a lei né tanto meno a un fantomatico Altro.

 

E invece l’imbecillità e la disonestà sono ormai così gravi, diffuse e (forse) incurabili, che non solo non si protesta, contro la religiosa pretesa che la libertà del pensiero umano sia una colpa da perdonare, ma addirittura ci s’inginocchia e si chiede perdono per primi! Come quel fintissimo ateo alle vongole di Eugenio Scalfari, che per primo si è rivolto al papa in questi indegni (nel senso di contrari alla dignità umana) termini: Se una persona non ha fede né la cerca [...] sarà perdonato dal Dio cristiano?

 

(Clicca qui per scaricare il testo in pdf - e qui per scaricarlo in Word).

(Venerdì 13 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Franceschi romantici?!

(Mercoledì 11 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Buon anno scolastico 2013-14 ai dirigenti, agli amministratori locali e ai genitori che NON cercano di rendere la vita un inferno agli insegnanti e ai bidelli; agli insegnanti che NON cercano di rendere la vita un inferno alle alunne e agli alunni; agli alunni che NON cercano di rendere la vita un inferno a qualche compagno o compagna. Insomma: a tutti quelli che lasciano vivere gli altri, ScuolAnticoli augura un felice anno scolastico 2013-14. (Martedì 10 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

Buon anno scolastico 2013-14 ai dirigenti, agli amministratori locali e ai genitori che NON cercano di rendere la vita un inferno agli insegnanti e ai bidelli; agli insegnanti che NON cercano di rendere la vita un inferno alle alunne e agli alunni; agli alunni che NON cercano di rendere la vita un inferno a qualche compagno o compagna. Insomma: a tutti quelli che lasciano vivere gli altri, ScuolAnticoli augura un felice anno scolastico 2013-14. (Martedì 10 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Mortificare la carne? Non è pace ma guerra. Contro sé stessi.

Mortificare la carne? Non pace ma guerra. Contro sé stessi. (Domenica 8 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

In questi giorni mangio a crepapelle. Sono per la guerra? No. Ma penso che infliggersi insensate sofferenze (la cosiddetta mortificazione della carne) non rimedi ad alcunché. In nessun caso. Anzi: ribadisca e rafforzi un’ideologia (quella religiosa) che, in quanto anti-umana (fondata, cioè, sull’idea che l’umano sia originariamente perverso) induce all’odio, a far soffrire gli altri e in definitiva alla guerra. Contro la guerra il papa faccia qualcosa di costruttivo, invece di incitare all’autodistruzione: promuova lobiezione di coscienza (anziché dei medici e degli infermieri contro le donne) di tutti i militari cattolici e di ogni cattolico che direttamente o indirettamente abbia a che fare con gli armamenti. [Nellimmagine, unillustrazione (1854) di Gustave Dore (1832-1883) per il Pantagruel e Gargantua (1532-1534) di François Rabelais (1494-1553). Ai quali (ahimé) a furia di NON digiunare vado assomigliando ogni giorno di più].

(Domenica 8 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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L’odio anti-umano di Eugenio Scalfari

L'odio anti-umano di Eugenio Scalfari (Domenica 8 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

Non è la prima volta: è una costante della “predicazione” scalfariana, da sempre intrisa d’odio anti-umano e, pertanto, fondamentalista-religiosa, fascista e nazista. Due anni e mezzo fa, per esempio, il 13 febbraio 2011, scrisse che L’umanità è un legno storto, e lo è perché l’uomo risulta da un’incredibile mescolanza di istinti e di ragione. [...] Questo è il legno storto e questo siamo tutti noi. [...] Ma l’opposto non è un improbabile anzi impossibile legno dritto, bensì un legno marcio, imputridito, divorato dai parassiti e dai coleotteri velenosi. Noi, legno storto, non vogliamo che il nostro legno imputridisca, marcisca e sia divorato dai parassiti. Torna alla carica oggi, 8 settembre 2013, e più che ripetersi si autocita: Il legno con il quale siamo costruiti è storto, lo disse Kant e lo riprese Isaiah Berlin titolandoci un suo libro. Il legno è storto ma guai a tentare di raddrizzarlo perché è impossibile, bisognerebbe cambiare la natura stessa della nostra specie che sta a metà strada tra l’animale che vive di soli istinti e l’uomo animato da istinti ma anche da pensieri. Di qui, da questa duplice natura di scimmia pensante nascono le nostre contraddizioni, le storture del nostro legno, ineliminabili perché connaturate, nostra disperazione e insieme nostra ricchezza. Be’, mi ripeto anch’io e gli rispondo come già gli risposi: l’homo sapiens sarebbe dunque il solo animale evolutosi storto? Il solo animale, cioè, i cui istinti (per usare la terminologia scalfariana) si sarebbero evoluti al contrario, non verso un perfezionamento dellattitudine alla sopravvivenza, ma per metterlo in pericolo come individuo e come specie? E come mai, ohibò? Per qual balzana inversione delle leggi evolutive? Siamo maledetti da Dio, è questo che Scalfari (massimo comun divisore della Sinistra italiana) cerca da tutta la vita di inculcare nelle nostre povere menti? Una vera iattura: dal più modesto dei vermetti alle maestose balene, tutti legni dritti tranne noi... O piuttosto siamo maledetti da Scalfari, dall’odio anti-umano secreto in lui dal fondamentalismo religioso e dal fascismo di cui si nutrì, per così dire, col latte materno e di cui non si è mai davvero liberato?

(Domenica 8 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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In braccio fino a sei anni? Caravaggio dice sì!

In braccio fino a sei anni? Caravaggio dice sì! (Domenica 8 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

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Uno degli effetti più devastanti dell’odio anti-umano fondamentalista-religioso, nonché fascista e nazista, per il quale saremmo tutti legni storti, è il capovolgimento del rapporto adulto-bambino. Che per i nemici e spregiatori dell’umanità, anziché di protezione, diventa di persecuzione.

 

Nei bambini, infatti, per quelle menti accecate dall’odio, il legno storto dell’umanità sarebbe ancora così tenero che lo si potrebbe raddrizzare. Come? Ovvio: non avendo per loro alcuna pietà e trattandoli come nemici in guerra. In base a una serie di micidiali prescrizioni: interrompere al più presto l’allattamento materno; privarli del ciuccio (se no, oltre a essere legni storti, avranno storti anche i denti); non ammetterli nel lettone (in modo che imparino al più presto a fare a meno degli altri); piuttosto che accontentarli, farli sempre piangere per ore come dinanzi a un muro (affinché la speranza e la fiducia negli esseri umani si spengano in loro quanto prima); e, soprattutto, smettere una volta per sempre di prenderli in braccio non appena siano in grado di reggersi in piedi da sé.

 

I primi anni dei disgraziati figli di tali “padri” e “madri” diventano così un inferno (rendere un inferno la vita altrui anche a costo della propria è il primo comandamento del fanatismo e del nazifascismo) di reiterate, incomprensibili e sempre più dolorose privazioni d’affetto, di solidarietà e di accudimento. Conservando, dell’accudimento, solo la miriade di asfissianti “premure” inutili, di controlli e di no che rendono l’inferno ancora più insopportabile, ma che agli ingenui fan sembrare perfetti i genitori.

 

Poiché l’odio anti-umano è così scaltro, che si fa scambiare per “amore” non solo da chi assiste (senza capire ciò che vede) alla persecuzione e alle torture, ma anche dagli stessi carnefici. I quali (ma è ovvio: c’è mai stato un aguzzino che non si credesse un incompreso benefattore dell’Umanità e delle proprie vittime?) con estrema facilità si convincono (e convincono) di perseguitare e torturare i figli non perché li odino (o, quanto meno, perché troppo stupidi e paurosi per sottrarsi alle deliranti “teorie” che li inducono a trattarli come se li odiassero) ma per il bene dei bambini.

 

Quale bene? Si sa: diventare “autonomi”. Come se l’animale umano fosse il solo che, per un capovolgimento ad personam dell’evoluzione, nasca incapace di autonomia senza un doloroso training che gliela imponga con la prepotenza e il disamore. Mentre è vero l’opposto: che proprio l’odio e il disprezzo di chi li perseguita e li tortura rendono i bambini così poveri di fiducia in sé, da perdere la naturale autonomia con cui vengono al mondo. E dalla quale gli adulti debbono in realtà proteggerli (anziché costringerli a essa) finché l’esperienza non li renda capaci di viverla liberamente senza correre troppi rischi.

 

La Madonna dei Pellegrini di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, lei sì che era una madre umana (ma il discorso vale anche per i padri): guardatela, osservate come incrocia le gambe e si appoggia all’uscio per continuare a tenere in braccio un bambino che in piedi le arriverebbe al seno! Ma già, altro che Madonna: quella era Lena Antognetti, aveva 23 anni, faceva la vita. Già amante di cardinali, viveva col notaio Pasqualoni. Ma era ancora “la donna di Michelangelo”. Il notaio cornuto si vendicava bastonandola e poi, forse geloso anche del quadro, la sfregiò. Il giorno dopo, Caravaggio lo aggredì al Corso (Melania Mazzucco, Il Museo del Mondo, su la Repubblica di domenica 8 settembre 2013). “Madonne” così, che imparano a proprie spese quanto sia feroce lodio dei cardinali religiosi o “laici”, non è facile indurle a perseguitare e torturare i figli in nome delle loro fedi o ideologie anti-umane.

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(Domenica 8 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Che immagine ha di sé chi disprezza chi ha di lui una immagine migliore? (Venerdì 6 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

(Venerdì 6 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Lo Scolaro che Padre e Madre odiavano

(dedicato da ScuolAnticoli a tutti gli insegnanti degni di questo nome allinizio dellanno scolastico 2013-2014).

"Lo Scolaro che Padre e Madre odiavano" (Lunedì 2 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

Lo scolaro (Camille Roulin) di Vincent Van Gogh (1888)

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(Immagine originale)

 

 

Lo ScolaroThe pupil, 1891, tradotto da Carlo Izzo nel 1946 e riedito da Bompiani nella raccolta La panchina della desolazione, e altri racconti ― è uno dei più bei racconti di Henry James.

 

Narra di un giovane insegnante, Pemberton, cui la ricca famiglia Moreen offre il posto di precettore del figlio Morgan, che non può andare a scuola perché il padre è sempre in viaggio per affari e la famiglia non vuole dividersi. Pemberton sarà ospite dei Moreen, girerà l’Europa a loro spese, riceverà un ottimo stipendio e avrà un allievo che ― promette la madre ― “non potrete non amare... è un genio!

 

Il professore è incerto. L’offerta gli sembra un po’ strana, forse rischiosa. Ma è conquistato dalla simpatia del piccolo Morgan e dal bisogno di aiuto che intuisce in lui fin da quando, lasciando la villa dopo l’intervista, alza gli occhi verso il balcone, vede il bambino affacciato e: “Ne faremo di tutti i colori!” gli grida. E Morgan, dopo aver esitato, risponde allegramente: “Per quando tornerete avrò trovato una risposta spiritosa!” Questo fa sì che Pemberton dica a sé stesso: “È piuttosto simpatico, dopo tutto”.

 

Accetta dunque l’incarico, il giovane insegnante ― tanto povero quanto disinteressato ― e si mette in viaggio con i datori di lavoro mettendosi al contempo in loro potere, perché di proprio, oltre a non avere un soldo in tasca, non ha un amico al mondo. Ma presto inizia ad accorgersi che la famiglia Moreen ― sebbene abbia un figlio eccezionale per l’intelligenza, la sensibilità, la gentilezza, la simpatia e la gradevole vivacità di cui dà prova ― non solo non ne è all’altezza e non sa apprezzarlo, ma non si comporta con lui come se davvero lo amasse, né tanto meno come merita.

 

Intendiamoci: non lo maltrattano. A prima vista, al contrario, si direbbe addirittura che lo adorino, come un piccolo dio. E tuttavia è strano ― riflette Pemberton ― come riescano a conciliare l’apparenza e il fatto della loro adorazione per il ragazzo con l’ansia di lavarsene le mani...

 

A poco a poco Pemberton, con la sua sensibilità d’insegnante appassionato resa ancor più attenta dalla simpatia per Morgan, si accorge che ai Moreen, del figlio, non importa un fico secco. Che non solo lo trascurano, ma che la loro noncuranza nei suoi confronti si va facendo sempre più grossolana. Come se si preparassero a disfarsi di lui, a cederlo all’insegnante, a mano a mano che il ragazzo mostra di limitarsi sempre più alla compagnia del precettore, la signora Moreen trascura con sottile abilità di rinnovargli il guardaroba. E quanto più evidenti sono l’impegno e l’affetto di Pemberton per l’allievo, tanto più difficile diventa per il professore non solo ricevere lo stipendio che gli spetta ― che ancora non gli è stato mai pagato ― ma perfino indurli a parlare di questo argomento. Finché, quando si fa coraggio e avvisa la signora Moreen che, se non avrà almeno un acconto, li lascerà per sempre: “Non lo farete,” risponde lei, “sapete benissimo che non lo farete: il ragazzo v’interessa troppo”.

 

Pemberton capisce così che i Moreen sono degli avventurieri non solo perché [...] vivono alle spalle della società, ma perché la loro visione della vita, [...], simile a quella di scaltri animali incapaci di distinguere i colori, è profittatrice e rapace e ignobile. Tuttavia non se ne va, gli sfruttatori han fatto bene i propri conti. E non solo continua a “toglier loro dai piedi” quel figlio che non meritano, ma si occupa di lui con tutta la serietà e l’affetto di cui è capace. Tanto che s’impone, da buon insegnante, di non parlargli male del padre e della madre, ed è lo stesso Morgan, un giorno ― da onesto e intelligente figlio abbandonato che vuol bene all’insegnante che lo soccorre ― a consigliargli di non pensare a lui e di licenziarsi. Ma il professore lo rimprovera, per aver giudicato i genitori, e gli chiede di non preoccuparsi perché lui sta benissimo. Non lo fa per difendere loro, ma per proteggere il bambino dalla scoperta dolorosa e sconvolgente di non valer nulla per chi lo ha messo al mondo. E tra sé pensa: Non sono soprattutto pagato dal dolce rapporto stabilito con Morgan, rapporto davvero ideale fra maestro e scolaro, e dal solo privilegio di conoscere un ragazzo così stupendamente dotato e di far vita comune con lui?

 

Non dirò altro de Lo Scolaro di Henry James, per non togliervi il piacere e la gioia di scoprire da voi le meravigliose e struggenti finezze psicologiche e formali di cui il racconto è così ricco che lo si deve leggere più e più volte prima di cominciare ad apprezzarle come meritano.

 

Vi ricordo, invece, che il 25 agosto 2006 ci commosse la notizia che una collega, la maestra Ilia Pierantoni, morta a ottantaquattro anni senza eredi, aveva lasciato tutto il suo denaro, venticinquemila euro, a una prima elementare del 1971 che ricordava con particolare affetto. A condizione, però, che i suoi ex-allievi si ritrovassero e avviassero insieme un’attività benefica.

 

Michele Serra scrisse su La Repubblica che ai beneficiati era toccato un ultimo compito in classe da una maestra che si era permessa di scomodare gli scolari ben oltre i limiti del suo incarico, oltre la pensione e perfino oltre la morte. Un compito difficile. Non tanto spendere bene le poche migliaia di euro affidati alle loro mani. Piuttosto, essere all’altezza di una maestra così intelligente da desiderare, per i suoi ex allievi, un ripasso di quanto aveva insegnato loro più di trent’anni fa.

 

Aveva ragione, Michele Serra. Dei maestri e professori come la signora Pierantoni e il Pemberton di Henry James ― dei veri maestri e professori, non degli sfaccendati che fan solo finta d’insegnare (o di dirigere una scuola) ― non è tanto facile liberarsi. Continuano a far lezione per tutta la vita, anche dopo morti. Come grilli parlanti che non si riesce, per quanto impegno ci si metta, a spiaccicare contro il muro. Li si paga poco, li si umilia ― le famiglie Moreen (di destra o di finta sinistra) che si avvicendano al governo delle nazioni sono in ciò molto simili ― e loro non solo non “se ne vanno” ― non si rendono, cioè, inesistenti perdendo ogni interesse per gli allievi ― ma anzi si appassionano sempre di più, moltiplicano l’impegno e gli sforzi, arrivano a pagare di tasca propria, pur di restituire almeno in parte ai bambini ciò che viene loro sottratto ogni giorno dalle anaffettive famiglie Moreen e dai governi ladri. E continuano a farlo anche dopo morti ― certo! ― lasciando in eredità ai loro allievi uno di quei ricordi che aiutano a resistere, a rimanere umani a dispetto di una società che vuole disumanizzarsi.

 

Perché lo fanno? Perché la loro è una missione, come dice chi vorrebbe convincerli che son poveri pazzi che si spogliano di tutto per avvicinarsi al cielo? Nossignori. Lo fanno perché insegnare così è divertente, è impegnativo, è interessante, è avventuroso, è bello, dà gioia e fa sentire vivi perfino quando fa star male. Perché il solo modo per far “come si deve” questo mestiere è conservare e rafforzare la propria umanità e metterla in rapporto con quella degli allievi, e ciò fa un gran bene agli altri affetti che si hanno, alla creatività, all’autostima, alla salute e perfino alla qualità del sonno e della digestione.

 

Ma tutto ciò fa rabbia a chi non solo non l’ha ― cosa che non sarebbe grave, quel che non si ha lo si può cercare e trovare ― ma stupidamente si è convinto che non lo potrà mai avere.

 

Gli insegnanti come Pemberton e la signora Pierantoni, dunque ― fantasia e realtà unite nella lotta ― sono, con le madri e i padri come loro, una barriera contro la svalutazione e la commercializzazione degli esseri umani. Una barriera non di parole (dobbiamo essere buoni, cari fratelli, detto con voce e in pose più o meno ieratiche) ma della realtà di donne e uomini che ogni mattina fan sentire gli allievi così preziosi, da rendere ricchissimo un mestiere sottopagato e disprezzato. Che ogni mattina fan sentire i bambini― che una parte della società, dei media e dei genitori trattano ogni pomeriggio e sera come deficienti ― che essi sono invece così interessanti da valere almeno quanto un secondo stipendio.

 

Non so se mi sono spiegato: i veri insegnanti amano il proprio lavoro (e sono, da esso, resi così ricchi da poter fare regali alla società) non perché sono missionari, ma perché hanno a che fare con esseri umani, e gli esseri umani sono immensamente interessanti. E gli alunni lo sentono, magari senza rendersene conto, e ne traggono il raro piacere e la gioia di esser trattati da esseri umani e sentirsi preziosi per sé stessi. E da grandi, perciò, renderanno difficile la vita di chi invece vorrà trattarli come numeri.

 

Agli affaristi e agli schiavisti, tutto questo fa rabbia due volte. Perché sono dei miserabili, nonostante le loro ricchezze, e quindi odiano chi è felice malgrado sia un pezzente. E perché i veri insegnanti ― e con loro, lo ripeto, tutte le famiglie che resistono ― continuano a “sfornare” futuri adulti che non si lasceranno facilmente tramutare in schiavi delle tirannie finanziarie globali.

 

Ecco perché vorrebbero distruggere la Scuola pubblica e noi insegnanti personalmente: perché è uno dei pochi luoghi dove gli esseri umani non sono limoni da spremere, ma ancora “solo” esseri umani.

 

(Questo scritto è la rielaborazione di un articolo ― Lo Scolaro, il DPEF e Cl ― uscito su ScuolAnticoli il 26 agosto 2006. Lo ripubblico con qualche modifica di poco conto perché mi pare più che mai attuale. Lo dedico a quelli tra i miei colleghi (certo non pochi) che almeno in parte vi si riconosceranno. Lo dedico anche un poco a me stesso, per quella piccola frase, rimanere umani a dispetto di una società che vuol disumanizzarsi, che (per quanto ne so) sono stato il primo a scrivere in Italia. E lo “controdedico” a perenne damnatio memoriae delle malevole nullità come il ministro Profumo, che da perfetta signora Moreen ha avuto la faccia come il popò di far scrivere ai suoi “esperti”, nel Regolamento recante Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, che “alla scuola spetta il compito [...] di far sì che ognuno possa «svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società» (articolo 4 della Costituzione)”. Che bravi Profumo e i suoi “esperti”, eh? Se solo l’articolo 3 della Costituzione non ordinasse alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, questo richiamo all’articolo 4 non sarebbe, come invece è, uno squallido tentativo di scaricare su noi insegnanti e sul personale non docente la loro vergognosa, criminale inadempienza ai propri doveri).

 

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(Lunedì 2 settembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).

L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

 

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