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maggio 2009

 

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domenica 24 maggio

 

C'è una Sinistra alle Europee?

 

C’è una Sinistra alle Europee?

 

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L’astensionismo, in Italia, fino a pochi anni fa era solo di Destra. O di chi era così indifferente da non arrivare a essere neanche di Destra. Da qualche tempo, invece, chi non vota è soprattutto di Sinistra. E il 6 e 7 giugno ― quando la delusione dell’elettorato progressista rischia di sommarsi all’idea erronea che alle Europee si elegga un Parlamento “per modo di dire”, dotato più di funzioni decorative che di vero potere ― l’astensionismo di Sinistra potrebbe farsi massiccio.

 

Sarebbe molto stupido, oltre che una catastrofe. Ogni non-voto di Sinistra, infatti, equivarrebbe a un voto e mezzo per la Destra. E non è difficile capirlo Se gli elettori di Destra fossero ― mettiamo ― il 54% degli Italiani, quelli di Sinistra il 46%, e tutti andassero alle urne, l’esito finale rispecchierebbe i rapporti di forza reali: 54 a 46. Se invece l’elettorato di Sinistra disertasse ― se si astenessero solo gli elettori di Sinistra, diciamo la metà ― la Destra vincerebbe per 54 a 23, cioè con il 70% dei voti espressi. E si può star certi che nessuno, da Destra ― cioè dalla quasi totalità dei media ― si sbraccerebbe per farci notare che il 70% di 73 votanti non è il 70% dell’elettorato ma solo ― appunto ― il 54%: il Berlusconi e il Maroni ― abituati a ben altre acrobazie, matematiche e non, con la verità ― direbbero che 7 Italiani su 10 approvano la politica del governo, “taroccherebbero” la loro stessa vittoria per farne un trionfo, e il Regime non avrebbe più freni. Il risveglio sarebbe amarissimo per tutti noi, certo, ma specialmente per chi si fosse illuso che la Destra non possa far cose peggiori di quelle che ha fatto finora.

 

Dobbiamo dirlo chiaro, quindi: non andare alle urne, per un elettore di Sinistra ― quale che ne sia la motivazione: amarezza, collera, vendetta o, peggio, l’idea razionale di favorire così la nascita di una nuova Sinistra sulle rovine della vecchia ― il 6 e 7 giugno segnerebbe in realtà il primo passo verso la sua trasformazione in elettore di Destra.

 

Passare direttamente a Destra, infatti ― dal Pidì alla Lega, mettiamo ― può essere un atto emotivo, un sussulto di rabbia, un raptus: con la medesima avventatezza ― l’avventatezza talora disastrosa (ma tanto più sana di una lenta e maleodorante deriva) che rende le vite degli uomini e delle nazioni così drammaticamente vivaci ― potrebbe convertirsi alle elezioni successive nell’impulso opposto. Non votare, invece, in quanto atto freddo, cioè astuto ― e della specie d’astuzia più fatale, quella di chi s’inganna da sé solo ― altro non sarebbe che una finzione per nascondere a sé stessi ciò che inconsciamente si sa bene: che si sta dando una mano alla Destra, e che dunque si è già di Destra.

 

Il 6 e il 7 giugno, dunque, l’elettore di Sinistra deve votare ― naturalmente a Sinistra ― soprattutto per il proprio bene: per contrastare la propria tendenza alla disperazione, alla resa, a quell’apparentemente dolce abbandonarsi al torpore che ai dispersi tra i ghiacci sembra sonno e invece è l’anticamera della morte. Per non ritrovarsi, un brutto mattino, tramutati in Ultracorpi anaffettivamente compiaciuti d’esser tali, tranquilli, sereni nell’atto di gettare nella spazzatura il misero, smilzo sacchetto grigio pieno delle ceneri della propria Storia d’Uomo o di Donna vitali, appassionati, umani.

 

Il problema, però, a ogni costo volendo votare a Sinistra per non morire dentro, è per chi votare. Un problema che (a chi ancora pensa) sembra senza soluzioni: la classica mission impossible.

 

Esiste, non c’è dubbio, una variegata Opposizione alla Destra. Ma in essa ― smascherata l’Udc di Pierferdinando Casini come una formazione politica la cui sola ragion d’essere è l’untuosa ipocrisia pretesca di chi vuol indebolire la Sinistra fingendo però di non essere di Destra ― c’è un partito, un’alleanza fra partiti, una donna, un uomo, da cui le Donne, gli Uomini, gli Elettori, i Cittadini, gli Italiani di Sinistra ― i sani di mente e di cuore del nostro Paese ― possano sentirsi rappresentati? C’è qualcuno, entro l’attuale Opposizione di Sinistra, che rappresenti chi vorrebbe, a dirigere la Cosa Pubblica, una classe politica cui sia impossibile non cercare, immaginare, pensare, lavorare per la realizzazione umana, e dunque in primo luogo perché ogni Essere Umano sia fine ― mai mezzo ― per ogni altro?

 

Il maggior partito di Opposizione ― il Partito democratico ― al di là del linguaggio più o meno “di Sinistra” che alcuni suoi dirigenti riescono ancora a parlare e altri no, nei fatti concreti dell’ azione di governo (dal 1996 al 2001 e fra il 2006 e i primi mesi del 2008) ha mostrato non solo di non esser capace di agire in questa prospettiva ― per i Diritti di ogni Essere Umano e per scoprirne e realizzarne sempre di nuovi ― ma addirittura di non esser ancora riuscito, nei vent’anni dal 1989 a oggi, neanche a dare inizio a una sia pur modesta ricerca in tal senso.

 

Ripudiata, in quanto fallimentare, la fede comunista, cioè la religione della dea Collettività ― per la quale il valore di un Essere Umano equivaleva al livello razionalmente misurato della sua capacità di rinunciare a sé stesso per farsi strumento della volontà del Partito, cioè del suo Segretario e di tutti i suoi capi e capetti ― la classe dirigente dell’ex PCI, i successori e i figli (o nipoti) dei padri fondatori del ’21 e dei combattenti antifascisti del ’43-’44, come privi d’immaginazione si son consegnati alla Santissima Trinità del dio Mercato, del dio Liberismo e della dea Globalizzazione ― alla religione, cioè (per di più d’accatto, poiché derivata dal “pensiero” nella migliore delle ipotesi suicida di Tony Blair e, quel ch’è peggio, dalla disonestà intellettuale, morale e politica di Bettino Craxi e dei suoi “nani e ballerine”) per la quale il valore di un Essere Umano equivale alla quantità razionalmente misurata di profitti che è in grado di generare per l’azienda, cioè per gli azionisti che lo acquistano e che di lui si servono ― finché gli serve ― perfino meno umanamente di come un artigiano si serve dei propri attrezzi.

 

Da una religione all’altra, dunque ― la liberista non meno fallimentare della comunista, come mostra la crisi economica mondiale in corso ― ma la cosa finisce immediatamente di stupire non appena si consideri che dietro entrambi i fideismi si nasconde la mancata critica della religione in quanto tale: un fallimento le cui radici penetrano nella Storia della Sinistra comunista e socialista, non solo italiana, fino alle (non più) venerate ossa di Karl Marx e Friedrich Engels.

 

Sono state la mancata critica della religione ― la mancata critica, cioè, dell’idea delirante che possa esservi alcunché di più importante, nell’Universo e fuori, di un Essere Umano ― e il conseguente sacrificio della ricerca e della trasformazione personali a favore dell’obbedienza collettiva a fantomatiche entità soprannaturali (Dio) o sopraindividuali (la Chiesa, il Partito, il Mercato), a far sì che la Sinistra sia sempre stata una comunità di Apostati capaci solo di successive (e reciproche) apostasie da una “divinità” all’altra, e quasi mai ― se non nei rari momenti e circoscritti luoghi in cui la Storia ha strappato il potere dalle mani rattrappite dei dirigenti e l’ha riconsegnato alla passione, alla generosità, alla fantasia di chi non gliele aveva del tutto alienate ― una comunità di Donne e Uomini liberi impegnati in una libera ricerca di che cosa ci renda Umani e di quali Diritti ne conseguano. Di quale trattamento spetti di Diritto a ciascuno di noi da parte di ciascuno di noi.

 

Il mai abbastanza vituperato connubio tra gli ex PCI-PDS-DS e i cattolici ex democristiani ― pronubi gli ex dc laici, alla Rosy Bindi, che non sapendo di non essere religiosi illudono entrambi gli altri che tra loro possa esservi una ”via di mezzo” ― è stato dunque in certo qual modo un ritorno alle origini della progressiva degenerazione religiosa che affligge da sempre la Sinistra: una (per ora?) definitiva rinuncia, cioè, da parte degli ex comunisti, a cercare di affrancarsi dalla fede (da tutte le fedi) in un qualche mitico superumano: quell’affrancamento che i padri fondatori sempre fallirono, è vero, ma che nondimeno continuarono sempre a tentare. Una resa a capo chino, in parole povere, e con la coda fra le gambe: questo è stata l’autoconsegna degli ex PCI-PDS-DS ai cattolici sedicenti “di sinistra”. E le dimissioni, dopo le regionali in Sardegna, del maggior artefice e propagandista della resa, il mai abbastanza vituperato Walter Veltroni ― l’uomo che per vent’anni nel PCI-PDS-DS non ha fatto che cedere e sottomettersi alla religione dei media e al suo pontefice massimo, Silvio Berlusconi ― sono state quasi certamente l’ultima chance, per il maggior partito dell’Opposizione, di arrestare quella progressiva degenerazione.

 

Se ciò non avverrà ― se la linea Veltroni-Rutelli-Fioroni-Bonanni, per intenderci, non verrà sconfitta una volta per tutte insieme all’affarismo prepotente che dell’antiumanesimo religioso e del vuoto che ne deriva è sempre la diretta conseguenza ― il Pidì per ironia della Storia tornerà a essere Pci, o tutt’al più Pcdi, ma la “c” starà per “cattolico”. E allora perfino un Berlusconi ― la cui “religiosità”, almeno, non pare meno fasulla dei suoi “capelli” ― ci sembrerà di Sinistra.

 

Votare per il Partito democratico dunque, secondo noi, per un elettore di Sinistra sarebbe non manifestamente pazzesco solo se si potesse esser certi che il “passaggio del testimone” da Walter Veltroni a Dario Franceschini ha interrotto e invertito la degenerazione religiosa, neoliberista e affarista che nel partito non è stata più contrastata dalla morte di Enrico Berlinguer in poi (ammesso e non concesso che prima lo fosse) ma che il connubio coi cattolici ha lo scopo di rendere incurabile.

 

Il linguaggio dell’ex democristiano Franceschini ― per un paradosso che forse è solo apparente, perché a protestare a parole fin quasi a far impazzire di rabbia le masse lasciandole impotenti son sempre stati più bravi i “sinistri” allevati dai preti ― è senza dubbio assai meno conciliante di quello del mai-stato-comunista Veltroni. Ma a ben guardare è questa l’unica cosa che nel Pidì appaia cambiata negli ultimi mesi, e a guardar meglio non è poi tanto cambiata neanche questa.

 

Dario Franceschini, non dimentichiamolo, è l’uomo che La Repubblica definì il 25 febbraio 2008 “il garante dei cattolici nel Pidì” perché il giorno prima aveva dichiarato: “Il nostro è un partito moderato. Un grande partito non può essere identitario”. È l’uomo che il 5 maggio 2008 disse: “L’anno prossimo ci saranno le elezioni europee e rischiamo di veder annullato l’effetto semplificazione. Non solo perché non ci sarà più il voto utile, ma perché con il sistema in vigore basta prendere l’1% per eleggere un deputato a Strasburgo e aver accesso al finanziamento pubblico. (E in questo, nel cercare cioè di finir di eliminare la Sinistra esterna al Pidì, il Franceschini ha dimostrato una rara coerenza: fino al 4 febbraio scorso, quando ha assistito con soddisfazione alla stretta di mano tra il Veltroni e il pidiellìno Elio Vito che ha suggellato la sua battaglia per alzare al 4% la soglia di sbarramento al Parlamento europeo ― Veltroni a Vito e all’altro pidiellìno Denis Verdini: “Almeno una cosa insieme in questa legislatura l’abbiamo fatta!” ― e a neanche ventiquattr’ore dopo, il 5, quando il capo della sua segreteria politica, tale Antonello Giacomelli, ha fatto partire una raccolta di firme tra i deputati per cacciare i Radicali dal gruppo parlamentare.) Dario Franceschini è l’uomo che il 19 giugno 2008, insieme al cosiddetto “Beppe” Fioroni affermò: Il lodo Schifani (la legge che ha messo al di sopra della legge le cinque più alte cariche dello Stato) è gravissimo, ma noi restiamo contrari ad ammucchiate anti-Berlusconi. Nessun ritorno a coalizioni tenute insieme dall’antiberlusconismo. Che poi ha taciuto fino al 17 dicembre, quando, dopo la sconfitta del Pidì in Abruzzo, anziché trarne spunto per un minimo di autocritica, comicamente proclamò: Gli elettori abruzzesi che si sono astenuti o hanno dato un voto temporaneo di protesta a Di Pietro è come se ci chiedessero: andate fino in fondo nel mantenimento delle promesse, nella nascita di un partito profondamente nuovo, nell’innovazione politica e dei gruppi dirigenti (sicché per Dario Franceschini la linea del partito può solo venir confermata, dal voto come dal non voto, e dunque non esiste un modo per cambiarla; non un modo democratico, quanto meno.) Ed è l’uomo, infine, che ancora il 22 febbraio scorso ha dichiarato: È il momento della verità, non dell’emotività. Confermandosi, così, letteralmente intriso dell’ideologia religiosa del disprezzo per l’Essere Umano in quanto essere “emotivo” e della conseguente necessità di controllarlo in nome e per mezzo di una “sana”, lucida, anaffettiva razionalità.

 

Del resto, Dario Franceschini è tornato a un linguaggio “di Sinistra” solo nel riferirsi al Berlusconi, ai suoi sproloqui antidemocratici e alla sua vita privata, cioè facendo come uno che del fascismo critichi solo Mussolini e salvi tutto il resto. Ha mai detto che la legge 40 sulla fecondazione assistita è una legge liberticida che non ha eguali in Occidente? Ha mai parlato di coppie di fatto? Ha detto una parola contro la legge che non solo rende impossibile il testamento biologico ma vanifica il diritto costituzionale di rifiutare una terapia? (Aiutato, nel far finta di niente, dalla curiosa circostanza che dei temi etici, chissà perché, da quando le elezioni si son fatte vicine, neanche la Destra parla più: forse per aiutare il Pidì a nascondere le proprie contraddizioni?) Si è mai espresso contro il fondamentalismo neoliberista su cui il Pidì è da almeno un decennio completamente “appiattito”, al punto d’aver più di una volta criticato la Destra “da destra” accusandola d’essere troppo timida nel privatizzare e liberalizzare? Ha mai mandato a quel paese la papista Linda Lanzillotta che un giorno sì e l’altro pure attacca la Destra perché non privatizza l’acqua potabile? Ha mai sostenuto, almeno, che la crisi economica mondiale dovrebbe indurre il Pidì a un profondo mea culpa per la propria acritica adesione alla religione del Libero Mercato? Ha mai attaccato un padronato e una presidenza di Confindustria, quella di Emma Marcegaglia, che non pèrdono occasione per aggredire e smantellare i diritti dei Lavoratori? Ha mai espresso anche solo un timido disappunto per l’aiuto che Cisl e Uil forniscono alla banda Berlusconi-Tremonti-Sacconi-Brunetta contro la Cgil? E per passare dai massimi ai minimi sistemi, ha mai detto una parola contro l’esercito di cavallette del Pidì che negli enti locali gareggiano con la Destra nell’occupazione di tutto l’occupabile e nello sfruttamento di tutto lo sfruttabile? Ha mai tolto il saluto a Bassolino?

 

No, il famoso pessimismo dell’intelligenza è in noi questa volta troppo più intenso del non meno famoso ottimismo della volontà: il Pidì di Franceschini non ci sembra affatto diverso dal Pidì di Veltroni, a parte il limitato maquillage linguistico (di cui per altro si è adornato soltanto lui, Franceschini, e non un solo altro dirigente di primo o secondo piano). E il Pidì di Veltroni era ed è, lo ripetiamo, un’operazione che mira a cancellare per sempre, dalla politica italiana, perfino la possibilità di una ricerca sui Diritti e sulla Società che pur severamente criticando il comunismo, desideri però separarsi altrettanto severamente dal falso “umanesimo” delle religioni.

 

Non voteremo per il Partito democratico, dunque, noi che vogliamo votare a Sinistra. E supplichiamo tutti di non farlo. Anche per la speranza che la definitiva sconfitta dell’operazione di cui sopra possa far emergere, in quel partito, le forze sane che devono pur esserci ― che fra milioni di elettori e simpatizzanti devono anzi essere tutt’altro che marginali ― ma che finora hanno taciuto, intimidite e confuse dalla propaganda del vertice (e della stampa, prima La Repubblica, da cui quel vertice è fiancheggiato) come se davvero non vi fosse alternativa alla degenerazione in atto, e i loro dubbi, l’insofferenza loro, la delusione, lo scoramento fossero davvero solo ciò che gli attuali dirigenti cercano con scherno di convincerli che siano: conservatorismo, pusillanimità, “malpancismo”, ignoranza, quando non addirittura ― questo non lo dicono, ma ai tipi come il Fioroni gli si legge in faccia ― pura e semplice stupidità.

 

Fino a quando vuoi ancora subire, elettore di Sinistra che da vent’anni soffri, ogni volta che voti Pds, Ds, Pidì? Fino a quando vuoi ancora svalutare e violentare te stesso annullando la tua delusione e il tuo dolore? Fino a quando vuoi ancora lasciarti subornare da parole che poi ogni volta si dimostrano false e peggio che false, piene di disprezzo per la tua fantasia, la tua intelligenza, la tua generosità?

 

Dario Franceschini evita di parlare di “voto utile” ― o ne parla, ancor più furbescamente, per dire con l’aria virtuosa di un chierichetto che non ne parlerà ― poiché i numeri hanno dimostrato che quel ricatto non servì che a espellere la Sinistra dal Parlamento, e non avrebbe dato la vittoria a chi fu così vile da servirsene nemmeno se tutti gli elettori della Sinistra Arcobaleno avessero fatto convergere i propri voti sul Pidì. Ma in vista delle Europee il dubbio che il solo voto “utile” contro la Destra sia il voto a Franceschini ha ripreso a serpeggiare fra gli elettori di Sinistra, e allora vogliamo ribadire che: 1. Il concetto di voto “utile” è di per sé anti-umano (cioè di Destra) poiché dissuade l’elettore dal votare secondo l’idea di Società suggeritagli dall’immaginazione ― fonte di scelte alla quale solo gli umani possono attingere ― per spingerlo invece a soppesare vantaggi e svantaggi come gli animali non umani, che non sanno di bellezza e speranza ma solo di quel che gli conviene o meno. 2. Il concetto di voto “utile” è di per sé autoritario (cioè di Destra) poiché, inducendo a votare per paura, svaluta ogni altra motivazione dell’elettore ingenerando in lui sfiducia in sé stesso e propensione a mettersi nelle mani del “protettore” apparentemente più forte. 3. Anche ammettendo che il voto al Pidì sia il solo “utile”, l’esperienza delle elezioni politiche del 2008 ha dimostrato che esso è invece del tutto inutile (cioè favorevole alla Destra): il Pidì non tornerà a vincere finché non avrà recuperato gli astensionisti di Sinistra (o i loro discendenti) e solo la sconfitta della linea attuale può innescare il processo trasformativo che gli permetterebbe di riuscirvi.

 

(Se però niente di quel che andiamo dicendo ha intaccato, caro compagno o compagna, la tua determinazione di votare Pidì, ti scongiuriamo almeno di informarti sui candidati in lista Internet c’è per questo, e con un po’ di pazienza ci si trova tutto e di dare le tue preferenze: 1. A chi è più laico. 2. A chi è meno liberista, meno privatizzatore, meno affarista. 3. A chi è meno amico dei vari Veltroni, Rutelli, “Beppe” Fioroni, Lusetti, Letta, Lanzillotta e via allitterando. 4. A chi non sta con la Cisl, la Uil e il ministro Sacconi contro la Cgil e i Diritti dei Lavoratori. 5. A chi non ha aggredito la Scuola (oltre che il nome che porta) quand’era ministro della Pubblica Istruzione. 6. A chi non ha fatto il sindaco-sceriffo, quando lo era a Bologna, guadagnandosi i complimenti dei razzisti della Lega... Come? Dici che così la scelta si restringe fin quasi ad annullarsi? Lo sappiamo, lo sappiamo bene. Ma ti chiediamo di avere ugualmente il coraggio di andare a scoprire a chi darai il tuo voto).

 

Ma se non per il Pidì, come voteremo noi Elettori di Sinistra? Per l’Italia dei Valori? Per i Radicali? Per Sinistra e Libertà? Per Rifondazione comunista?

 

Nessuna di queste formazioni, per un motivo o per l’altro, convince a pieno.

 

L’Italia dei Valori, quando c’era Veltroni, sembrava l’unica Opposizione presente in Parlamento. Adesso che c’è Franceschini, però, il linguaggio del Pidì ― o per meglio dire il linguaggio del solo che nel Pidì è autorizzato a non tener a freno la lingua, poiché se parlassero gli altri ben si vedrebbe che le loro idee son quelle di sempre ― si è fatto così roboante che Antonio Di Pietro non sembra più tanto alternativo. Potremmo dire che se il maquillage linguistico pre-elettorale di Franceschini ha avuto un merito, è proprio (e solo) questo: mostrare che l’unica vera superiorità dell’Italia dei Valori sul Pidì era la libertà dal Galateo ― agli ex dièsse il moralismo ipocrita delle “spose” cattoliche non permetteva nemmeno di far la faccia scura ― e che ora che i papisti del Pidì per paura di dover andare a lavorare hanno allungato un po’ la catena, e alzar la voce non è quindi più una prerogativa dell’Italia dei Valori, quest’ultima non ha altre frecce al suo arco e si rivela perciò come un movimento, più che un partito, fondato solo sull’indignazione, la rabbia, la richiesta di giustizia contro la genìa di delinquenti ed evasori fiscali che spadroneggia nel Paese con l’aiuto (per tornaconto o per stupidità) di quasi tutta la classe politica. Una richiesta di giustizia che, beninteso, è di tutta la Sinistra e di chiunque sia sano di mente e non abbia scheletri nell’armadio, ma che non basta a disegnare un progetto di Società. Poiché l’indignazione, da sola, non ha desideri, non ha speranze, non trae dall’immaginazione progetti ― non vi trova che larve piene di risentimento e fantasmi di processi ed esecuzioni scaturiti dal feticismo della legge per la legge, delle regole per le regole ― e quindi non ha altro programma che la repressione, cioè la riduzione della Società e di ogni rapporto umano a una questione di controllo, di dominio della maggioranza sulla minoranza e di ciascuno su sé stesso. Togliendo ad Antonio Di Pietro l’esclusiva del vocione e dello sdegno, Franceschini, benché non sia riuscito a farci credere che il Pidì sia tornato (in un amen!) un partito di Sinistra, ha però smascherato l’Italia dei Valori come un partito truce, pieno di rancore, minaccioso: un partito che non è di Destra, no, ma che così com’è potrebbe diventare violento quando al potere scoprisse ciò che a loro spese scoprirono i Giacobini due secoli fa: che la sola Legge è del tutto impotente, perfino con l’aiuto della ghigliottina, a costruire una Società che non susciti l’indignazione dei Giusti.

 

Dunque non voteremo neanche per l’Italia dei Valori, noi che alle Europee andiamo in cerca di una Sinistra della Realizzazione Umana. E tuttavia continueremo a considerare l’Italia dei Valori un partito di Sinistra, fino a prova contraria (prova che non sarà il nostro voto ― lo ripetiamo ― a darle la possibilità di fornire) poiché non possiamo non vedere che Antonio Di Pietro, dai tempi in cui gli costò fatica rifiutare il ministero degli Interni offertogli dal Berlusconi, ha pur camminato verso Sinistra ― e camminato non poco, se si pensa a quanta strada aveva e ha da percorrere per arrivarvi ― mentre quello che era quasi universalmente accreditato come Il Partito Della Sinistra per antonomasia, cioè il Piccì-Pidièsse-Dièsse-Pidì ha invece camminato sempre e tenacemente verso Destra. E questo ci sembra giusto, doveroso riconoscerlo al Di Pietro: nella vita, anche dopo i cinquant’anni, non è detto che si cambi sempre in peggio ― se uno ci si mette di buzzo buono, da contadino tosto, può cambiare anche in meglio. Si può perfino diventare un uomo di Sinistra dopo che si è stati per metà della vita un uomo di Destra, se in fondo si è stati di Destra più per incolpevole incultura che per autentica insania.

 

Voteremo allora per i Radicali?

 

Si trattasse solo di dar la preferenza alla signora Emma Bonino per la sua capacità di lottare con ineguagliata tenacia per la Libertà, e soprattutto per la Libertà delle Donne (senza la quale non vi è Libertà per alcuno) non perché spinta da astratti furori, ma con la passione, la generosità, la fantasia, l’intelligenza di chi sente che le relazioni e le Società umane possono essere (e prima o poi saranno) incontri fra Liberi anziché scontri fra oppressori e oppressi, confessiamo che specialmente dopo averla vista ad Anno Zero, il 7 maggio scorso, difendersi e rintuzzare la robotica violenza verbale di uno dei tanti manutengoli della Destra convinti che l’odio e il disprezzo per le Donne siano “libertà”, non avremmo esitazioni a votare per lei il 6 o il 7 giugno. Vedendo bene, del resto, che sono i Radicali, e non solo Emma Bonino, quelli che in Italia hanno più chiaro che le prime cause di ogni atto contro l’Umanità, nel nostro Paese come negli altri, sono la tirannia dei preti e soprattutto l’egemonia del pensiero religioso.

 

Quel che ci fa (non diciamo diffidare ma) esitare, però, è l’impressione che i Radicali, compresa Emma Bonino, non abbiano ancora compreso quanto sia pericoloso per la Libertà il liberismo. O per meglio dire il fondamentalismo liberista. Impressione che si fa un po’ più che un’impressione quando ce li rammentiamo, i Radicali, non molto tempo fa, a lungo indecisi fra l’alleanza con la Destra e l’alleanza con la Sinistra come se fossero equivalenti. Sia chiaro: anche noi, da almeno vent’anni a questa parte, pensiamo spesso che Destra e “sinistra” ― intendendo per “sinistra”, con la minuscola e fra virgolette, la devastante prole nata dal connubio fra ex comunisti ed ex democristiani ― diventino sempre più simili. Ma a noi questo fenomeno non piace, lo giudichiamo quanto di peggio sia accaduto e stia accadendo in Italia e nel Mondo, e mai e poi mai lo avvalleremmo mettendo la Destra e la Sinistra ― o anche la Destra e la “sinistra” ― sui due piatti della bilancia e stando a guardare quale dei due pende di più verso le nostre richieste, per valide e fondamentali che siano. Timeo Danaos et dona ferentes: fra una Destra che si mostri disposta ad accogliere le nostre proposte e una Sinistra, o una “sinistra”, che le respinga dalla prima all’ultima, noi preferiremmo sempre la seconda perché ― lo confessiamo senza vergogna ― l’approvazione della Destra ci indurrebbe a dubitare della loro validità.

 

Ed è proprio così, secondo noi, che le cose stanno: tra le idee dei Radicali ce n’è (almeno) una che a una parte dei Berlus-cloni piace troppo perché chi la propugna possa (del tutto) piacere a noi; ed è l’idea, appunto, che la più ampia e al limite totale libertà del Mercato, o se si vuole dell’Economia, sia parte costitutiva, indispensabile, della Libertà umana. Qui casca l’asino, potremmo dire (volendo esprimerci come Di Pietro) e perfino i Radicali si rivelano non del tutto irreligiosi, se davvero non hanno compreso che è feticismo attribuire a un’entità non umana (il Mercato, appunto, che somma e amplifica, sino a farne un Gigante di dimensioni planetarie, i comportamenti economici di ogni Essere Umano che concorre a realizzarlo, ma che in quanto loro risultante puramente meccanica non è dotato di creatività ― e, se è per questo, neanche di distruttività, nel senso umano del termine ― ma solo di una cieca forza casuale non meno irresponsabile di quelle naturali) la miracolosa virtù salvifica di migliorare, rimediare, correggere (fino a dar vita al “migliore dei mondi possibili”) gli errori, le disonestà e le prepotenze di una parte dei singoli che in esso operano. È laico capire e sostenere precisamente l’opposto: creativo, al solito, non è il dio ― il Mercato ― ma i concreti Esseri Umani che immaginano e inventano diritti, doveri e regole il cui rispetto rende umana la somma di comportamenti che altrimenti non potrebbe esserlo a pieno finché non si comportino in modo pienamente umano tutti gli Esseri Umani che la determinano.

 

Ma questa critica, sia chiaro, benché per noi sostanziale, non diminuisce in alcun modo la nostra stima per i compagni Radicali, e in particolare per la signora Bonino, e la nostra riconoscenza per (quasi) tutto ciò che hanno fatto per l’Italia negli scorsi quarant’anni. Li stimiamo, siamo loro riconoscenti, e siamo certi che si renderanno conto, prima o poi, che laici non si può essere solo in parte, poiché fare a meno di quasi tutte le divinità non è meno religioso che non fare a meno di alcuna di esse.

 

Siamo consapevoli, naturalmente, di essere stati severi, in questa pagina, con il Pidì, l’Italia dei Valori e i Radicali. Non lo saremo di meno, dunque, con Sinistra e Libertà e col raggruppamento (di cui a tutt’oggi ignoriamo se abbia un nome o no) composto da Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e altre sigle e appellativi dei quali altresì non sappiamo alcunché. Cercheremo anzi di esser con loro più severi. Poiché è così che è bene fare, secondo noi, nei confronti di chi ci è più caro e più ci delude.

 

Quella che fu la Sinistra Arcobaleno si è divisa infatti ― come tutti sanno ― in due tronconi che facciamo addirittura fatica a distinguere. Figuriamoci a capirli.

 

Abbiamo capito le dimissioni di Fausto Bertinotti, quelle sì. Ma poiché le abbiamo capite solo razionalmente, il dispiacere che ci hanno arrecato è rimasto intatto: in un Paese in cui le peggiori facce di bronzo della politica mondiale continuano a riapparire come zombie dopo decenni di stragi impunite e malversazioni, complicità con le mafie e omicidi eccellenti, debito pubblico più alto dell’Occidente e quasi liquidazione della cultura, dei valori e delle conquiste della Sinistra ― in un Paese siffatto, veder andare a casa un uomo generoso, intelligente, appassionato e onesto come Fausto Bertinotti è stato un dolore che non ci meritavamo, dopo aver già così sofferto assistendo impotenti all’avventura suicida di Walter Veltroni e, “grazie” alla medesima, alla caduta del governo Prodi e al ritorno al potere di un dittatorucolo da operetta ― ma che studia con feroce determinazione per diventarlo sul serio ― che a novembre del 2007 era ormai ridotto a chieder l’elemosina a un Saccà. Sì, l’autoesilio di Fausto Bertinotti ci ha fatto e ci fa soffrire, eppure (razionalmente) l’abbiamo capito. Ciò che non abbiamo capito affatto, invece, è stata la successiva violentissima scissione di Rifondazione Comunista proprio quando ci illudevamo che i vari rami, rametti e fuscelli della Sinistra riuscissero a guarire, almeno nell’emergenza suprema della fine ormai in vista della democrazia, dalla compulsione alla violenza reciproca.

 

Non l’abbiamo capita per colpa nostra, certo. Non ci saremo informati abbastanza, quanto di più probabile. Ma dubitiamo fortemente che se l’avessimo fatto avremmo trovato, in quale che sia dei contrapposti protagonisti di quel disgustoso spettacolo, motivazioni davvero sostanziali per schierarci con gli uni o con gli altri. Eccetto, naturalmente ― come dimenticarla, questa? ― la grottesca accusa reciproca di non essere veri comunisti mossa quando esserlo è impossibile poiché il comunismo è morto e sepolto.

 

Veri comunisti, cari compagni di Rifondazione, dei Comunisti Italiani, di Sinistra e Libertà e di tutto il Cucuzzaro? È come voler essere veri Neanderthal, spiacenti ma non ce la si può fare, bisogna trovare qualcosa di nuovo. E il nuovo, a nostro avviso ― pare ovvio, ma (chissà perché) non lo è ― non si può andare a cercarlo in ciò che risale a un secolo e mezzo fa, ma a partire da domande che i nostri cari vecchi non si posero o alle quali non seppero rispondere, come: che cos’è un Essere Umano? Che cosa lo distingue dagli altri animali? Come liberarsi dal delirio che vi siano al di sopra della Natura entità superiori a noi, per dedicarci invece a comprendere in che cosa consista la superiorità per Natura che conferisce a ciascuno di noi l’inestimabile valore di una creatività unica e irripetibile? Quali diritti, per il momento ignoti o solo vagamente intuiti, scopriremo (e ci si riveleranno altrettanto fondamentali di quelli che già conosciamo) quando ci saranno chiare tutte le implicazioni della nostra condizione così speciale? E come ne renderemo concreta l’astratta consapevolezza attraverso rapporti reciproci e Società all’altezza di ciò che siamo ― di ciò che sapremmo di essere da quarantamila anni se le religioni non ci avessero mentito chiamandoci creature inferiori e noi non gli avessimo quasi sempre creduto? Come faremo in modo che nessun piccolo umano sia più odiato, disprezzato, umiliato, maltrattato e abbandonato fino a farne un folle, o uno sciocco, o un delinquente, o un fallito? O un adulto di Destra?

 

A tutto ciò e a molto altro vorremmo che la Sinistra pensasse e si dedicasse nei momenti in cui la politica le lascia il tempo di pensare a come la politica potrebbe essere per non continuare a fallire dinanzi alla prepotenza di chi non ha trovato tempo che per odiare e disprezzare sé stesso, ancor prima che gli altri: vorremmo che pensasse e si dedicasse a tutto ciò che la fede comunista non è riuscita a proporsi e neppure a immaginare (nei momenti in cui pur le lasciava un po’ di tempo per immaginare qualcosa il ciclopico compito di difendere il Proletariato mondiale, e tutti noi che ne siamo la Prole, da un’aggressione che dura ormai da due secoli e che si è spinta più volte fino al genocidio) proprio e soltanto perché era appunto una fede, cioè il delirio che il singolo, concreto Essere Umano che è davanti a me in questo momento possa valer meno di me o di qualsiasi altra cosa o persona o entità, nell’Universo e fuori, fosse pure la Dittatura del Proletariato da cui sorgerà il Sol dell’Avvenire.

 

E invece niente di tutto ciò, neanche col microscopio del massimo affetto, riusciamo purtroppo a scorgere nei due incongrui mozziconi della fu Sinistra Arcobaleno ― quella Sinistra Arcobaleno che per un paio di mesi ci illuse che stesse nascendo una Sinistra Vera: oggi sappiamo che non era così, sappiamo che indipendentemente dalla sconfitta non era così già prima, c’ingannavamo e c’ingannavano, una scissione come quella che si è verificata subito dopo, per quanto stupida, non può esserlo stata fino al punto di non covare già da chissà quanto tempo, mentre leader e leaderini davanti a noi e a Bertinotti si fingevano compagni per la pelle. Lo ripetiamo, per quanto ci faccia soffrire: niente riusciamo a vedere e quasi niente a intuire e sperare, di ciò che desidereremmo da una Sinistra Nuova, nei due dispersi brandelli lacerati dal vento della Storia ― ma quale Storia, basta la cronachetta spicciola a ridurli ai minimi termini ― che nondimeno chiedono impuniti alle Europee i nostri voti di Sinistra.

 

Eppure li voteremo. Non sappiamo ancora per chi ― forse deciderà la mano che impugnerà la matita, forse deciderà addirittura la matita ― ma senza dubbio voteremo per gli uni o per gli altri: per Sinistra e Libertà o per Rifondazione Comunista. Ce ne faranno pentire? È probabile. Anzi: è (quasi) certo. Ma potranno mai farcene pentire quanto ci siamo pentiti d’aver aiutato per vent’anni col nostro voto il Pidièsse-Dièsse-Pidì a riempirsi di papisti-padronisti come un Paese senza Scuola si riempie di derelitti?

 

Sinistra e Libertà e Rifondazione Comunista non sono la Sinistra Nuova, certo che no, e quindi neppure la Sinistra Vera che un anno e mezzo fa ci fecero credere di essere. Ma son pur sempre quel che ci rimane della Vecchia Sinistra: quella, per intenderci, che cominciò con la Rivoluzione Francese e finì (in Italia) con Enrico Berlinguer. E la Vecchia Sinistra non era solo una chiesa. Era anche altre cose, belle, buone, grandi, importanti, che oggi quasi nessuno sa più cosa siano e nondimeno tutti se ne riempiono la bocca ― perfino il Berlusconi ha la faccia di bronzo di chiamarsi “operaio”, perfino il Brunetta la faccia ancor più losca di dirsi “di sinistra”, e sono stati i santocchi ipocriti che tengono in ostaggio la Sinistra italiana attraverso il Pidì a insegnar loro a rendere insensate le parole (le nostre parole) per fingersi ciò che non sono ― cose fondamentali che solo qui, solo nei due brandelli della fu Sinistra Arcobaleno (e un po’ nella Cgil) vediamo ancora non solo proclamate, ma realmente sentite:

 

1. La difesa incondizionata almeno dei Diritti Umani già scoperti, della Costituzione, dello Statuto dei Lavoratori e di tutte le grandi Leggi progressive conquistate dalla Liberazione a oggi (che a parole anche il Pidì difende, benché sempre più tiepidamente, ma sulle quali la componente papista-padronista già da tempo è invece assai più in sintonia con la Destra che con gli ex Dièsse);

 

2. La lotta per la laicità dello Stato (mentre l’ala “progressista” del Pidì è solo per la difesa della laicità dello Stato, come se in questo campo fosse stato già conquistato tutto quel che c’era da conquistare, e l’ala papista si batte invece perché al cittadino tedesco-vaticano Joseph Ratzinger e ai suoi dipendenti sia riconosciuto un diritto di veto sulle leggi italiane);

 

3. La lotta contro la riduzione a merce non soltanto del lavoro umano, ma di tutto ciò che è umano e di ogni cosa che direttamente o indirettamente sia indispensabile alla realizzazione umana.

 

4. La completa equiparazione dei Migranti regolari ai Cittadini italiani, e una politica di contenimento dei Migranti irregolari ispirata al massimo rispetto dei Diritti di ogni Essere Umano.

 

5. Il ritorno al più assoluto rispetto dell’articolo 11 della Costituzione della Repubblica (l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali) e un deciso impegno internazionale dell’Italia a favore del disarmo;

 

6. La difesa dei Beni e Servizi pubblici, cioè del Patrimonio collettivo del Popolo Italiano: la Scuola, la Sanità, la Giustizia, le Comunicazioni, l’Energia, l’Acqua, il Patrimonio artistico, culturale, storico.

 

7. La lotta senza quartiere contro la criminalità organizzata e contro il crimine dell’evasione fiscale.

 

8. La lotta contro la pena di morte nel mondo e la piena applicazione del fondamentale Diritto di chi è condannato a pene detentive a un trattamento umano e a essere aiutato a reinserirsi nella Società.

 

9. La protezione dell’Ambiente e di ogni creatura, soprattutto dai cementieri, da chi specula sulla gestione dei rifiuti e dai cacciatori.

 

10. L’onestà e il disinteresse dei militanti politici, dei dirigenti politici e sindacali, dei rappresentanti del Popolo Italiano nelle assemblee elettive e negli enti pubblici.

 

È solo Sinistra Vecchia battersi per queste cose, è vero, ma è tutt’altro che poco. E le compagne e i compagni delle due formazioni politiche nate sulle rovine della fu Sinistra Arcobaleno ci sembrano gli unici, oggi in Italia, che si battano per tutte sinceramente. Degli altri partiti di Sinistra ― anche a voler crederli “depurati” da tutto ciò che vi è in essi di finta “sinistra” ― due si battono per qualcuna di queste cose, uno ― i Radicali ― per molte, ma nessuno per tutte.

 

P.s.: Come come? Anche preti e papisti difenderebbero quei principi? Anche il Bagnasco avrebbe detto che il lavoro non è una merce e che i diritti dei Migranti devono essere rispettati? Non ci stancheremo mai di ripeterlo: son tutte chiacchiere. Chi sostiene l’esistenza di entità “superiori” anche a un solo Essere Umano ― figuriamoci a tutti ― è il primo e massimo promotore e perpetuatore (a prescindere da quel che dice e perfino da quel che pensa) dell’idea che un’inferiorità umana sia in qualche modo possibile.

 

P.p.s.: Come come? Votando per Sinistra e Libertà o per Rifondazione Comunista sprecheremmo il nostro voto di Sinistra? Può darsi. Ma secondo noi, a paragone del voto di chi sulla propria scelta ha fantasticato e pensato tanto quanto queste paginette lasceranno intuire a chi avrà la pazienza di leggerle, è assai più probabile che sia sprecato il voto che chiamiamo automatico, occasione irripetibile di riflessione e realizzazione personale buttata nel buco dell’urna come nel nulla, per pura coazione a ripetere, per impotenza a fermare automatismi mentali che sembrano rassicuranti. E invece sono fatali.

 

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Ci sarà una Sinistra alle Europee?

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domenica 17 maggio

 

Da un servizio di "Paris Match", una foto apparsa su "La Repubblica" di venerdì 15 maggio 2009.

Da un servizio di Paris Match, una foto apparsa su La Repubblica di venerdì 15 maggio 2009.

 

Gli Spioni del Regime sono già tra Noi?

 

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 In Italia i Migranti irregolari saranno d’ora in poi incriminati per il reato d’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, puniti con un’ammenda da cinque a diecimila euro, immediatamente processati dinanzi a un giudice di pace ed espulsi per direttissima. Colpevoli: tutti gli Stranieri provenienti da nazioni che non appartengono all’Unione Europea, sia chi è già nel Paese senza permesso di soggiorno (comprese le Badanti e i Bambini) sia chi è colto alla frontiera mentre tenta di varcarla. Ma chi è fermato in mare nel Canale di Sicilia non ha diritto né al processo né a chiedere asilo: viene respinto in Libia e lì abbandonato, alla mercè di un regime dittatoriale che fino a qualche anno fa si dedicava al terrorismo di Stato su scala internazionale, e nei cui centri di detenzione le umiliazioni, le percosse, le torture e gli stupri sono all’ordine del giorno. Un regime con cui l’Italia del duo Berlusconi-Maroni ha stipulato un patto vergognoso, che fa strame di un Principio fondamentale della Costituzione (articolo 10: Lo Straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica) e che ha tra noi un solo precedente: le leggi razziali fasciste e la deportazione degli Ebrei italiani nei campi di sterminio nazisti.

 

I razzisti della Lega volevano includere nel loro cosiddetto “decreto sicurezza” ― in realtà decreto paura, perché inteso a creare nei cuori e nelle menti uno stato d’animo di terrore e d’odio nei confronti dei Migranti e a renderci in tal modo del tutto succubi del Regime, visto come sola protezione e salvezza dal “Nemico” ― una norma, se possibile, ancor più feroce e distruttiva dell’umana convivenza: l’obbligo, per i medici e i presidi, di denunciare i Migranti irregolari che si rechino in ospedale per essere soccorsi e curati (contro l’articolo 32 della Costituzione: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ― dell’individuo, non del cittadino, dunque di ogni Essere Umano, n.d.r ― e interesse della collettività) o che iscrivano i Figli nelle scuole affinché vi ricevano una regolare istruzione (contro l’articolo 34: La scuola è aperta a tutti, cioè non solo ai Cittadini italiani).

 

A questa norma, che chiamare nazista è perfettamente appropriato, i razzisti della Lega e il loro ministro degli Interni dal moccichino verde hanno finto di rinunciare. In realtà si è trattato del classico gioco delle tre carte, nel quale i deputati del Pidièlle che più o meno in buona fede hanno protestato contro la norma ― ivi compreso l’ineffabile ex neofascista che della Camera è il presidente ― hanno svolto il classico ruolo del palo, di cui chi fa le carte ha bisogno per far credere ai “polli” che a questo “gioco” suicida si possa vincere: il cosiddetto “reato” di ingresso e soggiorno illegale infatti è rimasto, ragion per cui non solo i pubblici ufficiali ma ogni cittadino italiano (che ne abbia la viltà) potrà d’ora in poi recarsi in un commissariato o dai carabinieri e denunciare i Migranti irregolari della cui presenza sul territorio italiano sia venuto a sapere.

 

Con quel gramsciano pessimismo dell’intelligenza che più di metà dei nostri Connazionali hanno dolorosamente indotto nelle nostre menti nel corso degli ultimi quindici anni, sentiamo di dover dunque prepararci a reagire a un’ondata di denunce razziste e naziste contro le Donne, gli Uomini e i Bambini che dopo aver affrontato rischi spaventosi nel tentativo di mettersi in salvo nel nostro Paese (si calcola che 13.000 cadaveri di Donne, di Uomini e di Bambini siano diventati cibo per i pesci nel solo Canale di Sicilia negli ultimi dieci anni; quanti ne siano morti prima di arrivare al mare, invece, non si può nemmeno tentare di calcolarlo) abbiano la definitiva sventura d’imbattersi in Cittadini italiani resi dal disprezzo religioso per l’Umanità, dall’odio e dall’abbandono da parte dei genitori, dalla disperazione e dall’ignoranza non meno feroci degli squali del Mediterraneo. E l’ottimismo della volontà ci dice che reagire si può, è possibile, anzi: è il solo modo per continuare a sentirsi umani. Ma reagire come?

 

Nella situazione più difficile si troverà, nei prossimi mesi e anni, chi lavora alle dirette dipendenze di uno Stato, l’Italia, che il “reato” di ingresso e soggiorno legale e la pratica del respingimento rischiano di rendere assassino e stragista o complice di assassini e stragi. Non solo i Militari e i Marinai in servizio sulle navi, gli Uomini e le Donne delle Forze dell’Ordine, gli Agenti di Polizia penitenziaria, i Giudici di pace, ma chiunque collabori e contribuisca, in un modo o nell’altro, all’espletamento dei loro compiti: dagli addetti al catering delle navi a chi in un ufficio redige rapporti e archivia informazioni. Tutti costoro infatti, nessuno escluso, si troveranno a dover porsi questa domanda: posso o non posso io partecipare al respingimento, o all’arresto, o all’espulsione di questa Donna, di quest’Uomo, di questo Bambino? E se poi, per colpa anche mia, succede loro qualcosa di irrimediabile? Come sopporterò di convivere con questa consapevolezza? O, se è per questo, come sopporterò di vivere il resto della mia vita senza sapere se qualcosa di terribile sia loro accaduto?

 

Il 7 maggio scorso, mentre il ministro dal moccichino verde trionfalmente e tronfiamente annunciava il primo “ben riuscito” respingimento, una Donna migrante si è suicidata nel cosiddetto “Centro” di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, a Roma. Come si saranno sentiti, nei giorni successivi, e come si sentiranno per sempre, tutti coloro che hanno contribuito a far sì che quella povera Donna fosse lì, il 7 maggio, anziché in un qualsiasi altro luogo dove la vita fosse bella? Ci viene in mente una scena dell’unico film diretto da Charles Laughton, il bellissimo La morte corre sul fiume, del 1955, con Robert Mitchum, Lillian Gish e Shelley Winters: il boia che rientrato a casa, dopo l’esecuzione di una condanna a morte, si lava accuratamente le mani prima di abbracciare i suoi due figlioletti. E ci domandiamo: come abbraccerà d’ora in avanti i suoi figli chiunque direttamente o indirettamente avrà contribuito, rendendo possibile un respingimento o un’espulsione, a determinare una situazione potenzialmente fatale per un Essere Umano colpevole solo di aver cercato, senza far male ad alcuno, di salvarsi la vita?

 

C’è un’unica risposta alla domanda: Reagire come? C’è un’unica risposta alla domanda: Come non sentirmi complice per tutta la vita di un evento irrimediabile che non saprò mai se sia accaduto o no? Civilmente resistendo? Civilmente sabotando? Civilmente disubbidendo? Ogni cittadino italiano, che desideri e voglia tentare di salvare sé e i propri cari da uno spaventoso deterioramento della qualità umana della propria immaginazione, del pensiero, dei sogni, della vita, dei rapporti, è chiamato a porsi queste domande a partire da adesso. E non può, a partire da adesso, lasciarle senza risposta.

 

Le guardie di finanza usano guanti di gomma”, ha scritto su La Repubblica del 15 maggio Francesco Merlo (dal quale in passato abbiamo dissentito, ma che questa volta ha parlato come un oracolo) “e noi usiamo guanti mentali... Li indossiamo per non entrare in contatto con il male fisico, con la sofferenza dei corpi. Ma bastano una, due, tre foto come questa per farci scoprire la fisicità... Ed ecco la banalissima verità: stiamo buttando fuori a calci in faccia dei poveretti che ci pregano in ginocchio stringendo le mani delle nostre guardie di finanza, mani schifate e dunque inguantate”. Ma quali guanti preserveranno la mente, che è anche nelle mani, dal sentire e sapere che chi esse scacciano sta forse andando a morire, o comunque a soffrire, spinto anche da esse? Quale sapone potrà lavare l’interno delle mani, i neuroni che le collegano al cervello, alla mente, al cuore? Quale terapia potrà far sì che le carezze di quelle mani ― a una Donna, a un Figlio ― tornino a essere com’erano prima?

 

Un “alto ufficiale della Marina militare”, intervistato da La Repubblica dell’11 maggio, crede di poter cavarsela assicurando che “in mare continueremo ad assistere e salvare queste persone con umanità e rispetto... Per questi uomini e donne è un dramma, noi li rispettiamo e li assistiamo, ma seguiamo naturalmente le indicazioni delle nostre autorità politiche”. Naturalmente? Spiacenti, signor “alto ufficiale”, ma non vi è alcunché di naturale nel “seguire un’indicazione” contraria all’umanità. Naturale è l’opposto: rifiutarsi di ubbidire a un ordine inumano. Per questo i tribunali che hanno giudicato criminali nazisti, da Norimberga in poi, hanno sempre respinto la loro grottesca “giustificazione” di aver dovuto “rispettare le leggi” e “ubbidire agli ordini”. Grottesca, sì, poiché un Essere Umano non è una macchina, che non può non fare ciò che è stata fabbricata per fare ogni volta che si preme un pulsante o si gira una chiavetta. Perfino gli animali non umani, signor “alto ufficiale”, sono in grado di ribellarsi a una “indicazione” insopportabile, quale che sia l’autorità politica che la emana, s’immagini se non può farlo un Essere Umano. E dobbiamo disilluderla, ci scusi, anche riguardo all’idea che “seguire un’indicazione” inumana “con umanità e rispetto” la renda “meno” inumana. Non ci sono “gradazioni” tra l’umano e il non umano, signor “alto ufficiale”: o si è umani, o non lo si è. La sofferenza non diventa meno dolorosa, né la morte meno definitiva, per essere state inflitte “con umanità e rispetto”. E la colpa di aver partecipato e contribuito a infliggerle non diventa meno grave. Anzi: caso mai lo è di più, poiché una “umanità” e un “rispetto” che non possono stornare la sofferenza e la morte da un altro Essere Umano sono una parodia ― cioè una presa in giro, signor “alto ufficiale” ― dell’umanità e del rispetto veri, e contraffacendoli gettano su entrambi un discredito che né l’inumanità né il disprezzo sono invece capaci di arrecargli.

 

(Gli storici del nazifascismo lo sanno bene: hanno studiato una per una le infinite, miserabili astuzie con cui esecutori e burocrati “si mettevano in pace la coscienza” introducendo minuscole “migliorie” nel meccanismo dello sterminio per nascondere a sé stessi e agli altri che invece vi partecipavano attivamente. Per esempio, analizzando e perfezionando “con umanità e rispetto” le spietate “indicazioni” sull’esatta percentuale di “sangue israelita” che “rendeva Ebreo” un non Ebreo, emanate dalle “autorità politiche” hitleriane ― autorità del tutto legittime, perché salite al potere in seguito a regolari elezioni democratiche ― e illudendosi così di essere delle brave persone per non aver commesso “ingiustizie” mandando allo sterminio, insieme a un Bambino “legittimamente” dichiarato Ebreo, un Bambino di cui un bisnonno fosse “diventato Ebreo” solo per adozione...)

 

Molti stavano male, alcuni avevano gravi ustioni, le donne incinte erano quelle che ci preoccupavano di più, ma non potevamo fare nulla, gli ordini erano quelli e li abbiamo eseguiti. Quando li abbiamo presi a bordo dai tre barconi ci hanno ringraziato per averli salvati. In quel momento, sapendo che dovevamo respingerli, il cuore mi è diventato piccolo piccolo. Non potevo dirgli che li stavamo riportando nell’inferno dal quale erano scappati a rischio della vita... Poi, dopo aver capito di essere stati riportati in Libia, ci urlavano: «Fratelli, aiutateci». Ma non potevamo far nulla, gli ordini erano quelli di accompagnarli in Libia e l’abbiamo fatto. Ma non lo racconterò ai miei figli, me ne vergogno”. Questo hanno detto “i militari delle motovedette italiane ― quella della Guardia di Finanza, la Gf 106, e quella della Capitaneria di porto, la Cpp 282 ― appena rientrati dalla missione” respingimento, all’inviato de La Repubblica Francesco Viviano (9 maggio 2009). E nessuna acrobazia morale e intellettuale di “alto ufficiale” potrà far sì che quegli uomini non si vergognino, invece, di raccontarlo ai propri figli. E di sentirsi le mani sudice, malgrado i guanti, ogni volta che vorranno far loro una carezza.

 

Rispettiamo i militari italiani che si sono espressi in questo modo. Ma con rispetto vogliamo dir loro che non è vero che “non si può far nulla”. Si può sempre fare qualcosa, se si ha ben chiaro che niente al mondo ― neanche la propria vita ― vale l’averla tramutata in quella di un carnefice dei propri simili.

 

Noi, lo diciamo chiaro e forte, non solo non denunceremo mai qualcuno come “clandestino”, ma se ci imbatteremo in uno di loro o ne verremo a sapere, faremo per proteggerlo tutto ciò che potremo fare salvo ricorrere alla violenza. Su questo non abbiamo il minimo dubbio, anzi: speriamo ― non possiamo esserne certi, ma lo speriamo con tutto il cuore ― di scoprirci capaci di rischiare la nostra stessa vita, per difenderlo. Ma come ci comporteremmo, da insegnanti, se un giorno il nostro preside (non perché obbligato, non per aver subìto pressioni, ma solo per la meschina paura tutta italiana di “andar incontro a conseguenze” per non averlo fatto) denunciasse un Bambino e i suoi genitori come Migranti irregolari? Dobbiamo pensarci fin da ora. Dobbiamo essere preparati e pronti, se il momento verrà. Quando il momento verrà... Ebbene: noi, con quel preside, non potremmo più mantenere alcun rapporto, né di lavoro né d’altro genere. Non gli rivolgeremmo più la parola, non gli risponderemmo, non ci conformeremmo alle sue “indicazioni”. Allo stesso modo ci comporteremmo con tutti i colleghi e col personale non docente che non facesse come noi. Supplicheremmo gli alunni e i genitori di fare altrettanto. Ci incateneremmo alle porte della scuola. E se qualcuno venisse a dirci che sbagliamo, o anche solo a consigliarci prudenza, noi romperemmo ogni rapporto anche con lui: fosse pure nostro padre, o nostro fratello, o nostro figlio. E tutto ciò ― sia ben chiaro ― non perché siamo particolarmente buoni, né tanto meno eroi, né santi (ché già le parole ― buoni, eroi, santi ― ci fan crepare dal ridere) ma solo per paura: la paura di diventare complici di un assassinio. Poiché non esiste una percentuale accettabile di complicità in assassinio: anche solo lo 0,0001 %, anche solo lo 0,0000000001 %, anche solo il dubbio dello 0,0000000000000000000000000001 % sarebbe sufficiente a impedirci di guardar negli occhi un figlio per il resto della vita.

 

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Carmine Santaniello, preside del liceo Margherita di Savoia, in piazza Cavour a Napoli, ha sciolto ogni riserva: Daria, ventenne ucraina senza il permesso di soggiorno, sarà ammessa agli esami di maturità... dopo che lo stesso preside, giovedì scorso, aveva emanato una sua direttiva, sulla base di quella ministeriale, per chiedere il codice fiscale necessario alla prova di esame. (La Repubblica, lunedì 8 giugno 2009). Fu lo stesso sotto Hitler e Mussolini: i burocrati zelanti, coscienziosi e paurosi mandarono nei campi di sterminio molti più Uomini, Donne e Bambini di quanti riuscirono a deportarne i nazisti e i fascisti propriamente detti.

 

Vuoi scrivere a questa Scuola? È il Liceo scientifico Margherita di Savoia, salita Pontecorvo 72, 80135 Napoli.

 

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Le belle facce della Destra “solidale” con gli Spioni: Raffaele Zanon

  Le belle facce della Destra solidale” con gli Spioni: Raffaele Zanon 

 

“Non sono una preside-spia,” giura Anna Bottaro. Chissà che ne pensano gli otto studenti immigrati dell’istituto professionale Leonardo da Vinci di Padova ai quali la dirigente ha chiesto copia del permesso di soggiorno in vista dell’esame di maturità... A inasprire gli animi, un particolare: la circolare contestata e i nomi dei ragazzi coinvolti sarebbero stai letti nelle classi frequentate dagli Immigrati: una gogna vergognosa... Il consigliere regionale Raffaele Zanon (ex neofascista, ex aennìno e attualmente pidiellìno) ha espresso piena solidarietà alla preside.

 

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Un nuovo caso è stato raccontato ieri da Elisabeth, diciottenne di origine cilena che è riuscita in extremis a ottenere un permesso di soggiorno per motivi di salute. Frequenterà così l’ultimo anno dell’istituto alberghiero Bergese: “Ma dopo la mia storia la responsabile del corso ha preteso che i miei sette compagni di classe stranieri dimostrassero di poter ottenere il permesso, una volta maggiorenni”. (La Repubblica, mercoledì 20 maggio 2009).

 

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  Per informazioni e-mail: gerh020006@istruzione.it 
  telefono: 010 6503862 - fax: 010 6506385 
  Dirigente: prof. Dante TACCANI 

 

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Genova. La preside ha scritto sulla lavagna l’elenco degli studenti di origine straniera in odore di “clandestinità”. Ragazzi che nel corso dell’anno scolastico avrebbero compiuto il diciottesimo anno di età, e che a suo dire non avevano chiarito la propria posizione in merito al futuro permesso di soggiorno. È successo nell’istituto professionale per il commercio Casaregis, a Sampierdarena, e nelle altre due strutture scolastiche accorpate, l’istituto tecnico industriale Galilei e l’Einaudi. Diversi insegnanti hanno firmato indignati una lettera, trasmessa al provveditore agli studi. La preside si è giustificata sostenendo di aver pubblicizzato quei nomi perché temeva altrimenti di sbagliarne la pronuncia, e che quello era semplicemente un invito a presentare al più presto i relativi documenti in segreteria. (La Repubblica, martedì 19 maggio 2009).

 

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Bimbi stranieri alla materna: chiesto permesso di soggiorno. “Una richiesta indebita e illegittima,” denunciano i genitori della scuola. A dar loro ragione è l’articolo 6 del testo unico sull’immigrazione, poi modificato nel 2009, che stabilisce, infatti, che il permesso di soggiorno vada esibito “fatta eccezione per le prestazioni scolastiche obbligatorie”. Ma è lo stesso preside della Regina Margherita, Massimo La Rocca, ad ammettere l’errore, “tramandatosi” nella documentazione dagli anni precedenti: “Presentare il permesso di soggiorno non è obbligatorio,” precisa il dirigente, “accoglieremo comunque i bambini”. Una spiegazione che non convince del tutto i genitori. Laura C., una mamma, assicura: “La richiesta del permesso di soggiorno è una novità in quella scuola, negli anni scorsi sulla domanda non se ne faceva il minimo accenno”. (La Repubblica, cronaca di Roma, domenica 30 gennaio 2011). Perché, se invece il testo unico sull’immigrazione era diverso, lui che faceva? I bambini non li accoglieva? Ha forse bisogno del permesso per sapere che una legge razziale non è giusta e non va applicata?

 

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giovedì 14 maggio

 

Fatta assassinare la figlia-moglie sotto gli occhi di Gittes, Noah Cross s’impadronisce della figlia-nipote.

Fatta assassinare la figlia-moglie sotto gli occhi di Gittes, Noah Cross s’impadronisce della figlia-nipote.

 

Chinatown, Noemi e Noah

 

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Lo scorso novembre, parlando con un giornalista de La Repubblica, il regista Roman Polanski mostra all’intervistatore una foto di Silvio Berlusconi ― noi di ScuolAnticoli non siamo i soli, evidentemente, in questi anni per certi versi drammatici, ad andar costruendo il nostro personale piccolo archivio a futura memoria... ― e dice: “Guardi che espressione. Mi fa molto ridere questa foto, ed è emblematica: ha un sorriso da clown, pare una maschera, e saluta come Hitler. E guardi il contrasto tra il suo sguardo da giullare e quello truce e solenne delle sue guardie del corpo. Dice così tanto questa foto...” (Il Venerdì di Repubblica, 14 novembre 2008).

 

Polanski sa di che cosa parla. È un grande regista, conosce le immagini. E non meno bene conosce inquietudine e orrore: per averli vissuti nella realtà, e per aver investigato sull’una e sull’altro attraverso quell’immaginaria esperienza della verità che comunemente chiamiamo arte. Ebreo nato in Polonia, è sopravvissuto alla Shoah, al regime comunista e ― da cittadino degli Stati Uniti ― al fondamentalismo religioso e alla follia criminale diffusa che da decenni imperversano nell’America liberista e di là si diffondono in tutto il mondo americanizzato. I suoi cari sono stati sterminati due volte: dai nazisti, durante l’occupazione tedesca ― tragedia su cui si basa il film del 2002 Il Pianista ― e negli Stati Uniti dalla banda di fanatici (per la maggior parte donne) che il 9 agosto 1969, secondo gli ordini loro impartiti dal “reverendo” Charles Manson, capo della setta The Family e “reincarnazione di Gesù”, trucidarono la giovane moglie di Roman, l’attrice Sharon Tate, e il bambino che portava in grembo.

 

Oltre che Gesù Cristo, Manson si faceva chiamare “Satana”. E anche i media lo chiamarono così, nell’intento non del tutto inconsapevole di depistare l’intelligenza nostra dall’intuizione che l’ammissibilità dell’assassinio e della strage è sempre in agguato nelle menti religiose, e attribuirla invece a un personaggio mitologico, il Diavolo, che della religione ― come tutti sanno ― sarebbe il più grande Nemico. Un’astuzia pretesca che Polanski aveva già smascherato nel film Rosemary’s Baby, basato su un romanzo di Ira Levin. Nel quale, apparentemente accogliendo e intrigandosi nella fantasticheria dell’attivo intervento del Maligno nelle vicende umane, aveva invece mostrato che sulla Terra non c’è Demonio  che non sia stato concepito dall’immaginazione umana, e che renderlo tale distruggendo un bambino ― trasformando, per esempio, un neonato umano in un “Satana” Manson ― non è possibile senza prima e frattanto distruggere la Donna che lo metterà al mondo e lo alleverà.

 

Cos’ha a che fare tutto ciò con Silvio Berlusconi? Per comprenderlo bisogna riferirsi all’altro celebre film americano di Roman Polanski. A quel Chinatown, intendiamo (1974, sette nomination, Oscar alla sceneggiatura di Robert Towne) che con Rosemary’s Baby lo rese per sempre inviso alla parte più retriva dell’opinione pubblica statunitense ― alla Destra fondamentalista cristiana, per chiamar le cose con il loro nome ― e paradossalmente fornì al Delirio l’idea (uno sfruttamento a cui la Fantasia, suo malgrado, è spesso soggetta) dell’ingiusta e infamante accusa che costrinse il regista a tornare in Europa in esilio: violenza sessuale su una minorenne.

 

Non meno geniale che disperato, Chinatown “falsifica” (nel senso di Popper) l’ipotesi artistica chandleriana (ipotizzare, infatti, è anche dell’artista, poiché anche le opere d’arte, analogamente alle teorie scientifiche, propongono verità sulla realtà) che ogni Essere Umano possa farsi (o piuttosto serbarsi) investigatore privato, e che in quanto tale possa sempre scoprire e svelare i fatti e i sensi nascosti e inviluppati nelle menzogne che la follia e la violenza degli oppressori fondono inestricabilmente col mondo reale. Non è così, dice Polanski. L’investigatore privato, il Marlowe, nella ricerca della verità è destinato a fallire. O quanto meno dovrà rassegnarsi alla solitudine, nel mondo vero da lui scoperto che nessun altro riconoscerà mai come tale. L’investigatore (cioè l’Essere Umano) è e sarà sempre un fallito, sia come investigatore che come umano. O se non fallirà sarà comunque condannato a saperlo e dirselo da sé solo, abbandonato e sfuggito da tutti, poiché il luogo in cui vive e opera ― la città, il Paese, o al limite, si direbbe oggi, “il mondo globalizzato” ― non è un luogo “come gli altri” (cioè come nessuno): è Chinatown. E a Chinatown la Verità non esiste, neanche per i “forti”: esistono solo le “verità” di chi le impone con la violenza; e la violenza, quand’anche non sia di tutti contro tutti, è comunque di così tanti che le loro “verità” si intersecano, si amalgamano e si modificano le une con le altre ininterrottamente e ineluttabilmente producendo a ogni scontro nuovi e al contempo vecchissimi lutti, nuovo e vecchissimo immedicabile dolore, nuova e vecchissima disperazione.

 

Raymond Chandler, naturalmente, sapeva benissimo tutto ciò. I suoi “intrecci” anzi, per certi versi sono infinitamente più “chinatown” di Chinatown: matasse intricatissime e in più punti spezzate il cui bandolo non è uno solo, ma mille; e tutti introvabili. Philip Marlowe li trova, certo. Ma il lettore no, perché lo scrittore (apparentemente) nemmeno. Eppure Marlowe ― l’eroe che riscatta entrambi, scrittore e lettore ― a uno a uno li rintraccia, e di quelle matasse consegna alle patrie galere, o al boia (o direttamente all’altro mondo, quando deve legittimamente difendere la propria persona) ogni singolo tessitore: ogni architetto del viluppo di nodi gordiani in cui tutti ― autore compreso ― siamo stati imprigionati meno che colui che a essi resiste, e che proprio resistendo ha costruito dentro di sé la forza (e il diritto) di reciderli. Tessitori e architetti del viluppo, infatti, sono colpevoli, per definizione, poiché il viluppo è di per sé un crimine. Poiché l’incomprensibile e l’insolubile, non esistendo in Natura, non possono che essere creazioni umane e dunque crimini contro l’Umanità, se è vero che siamo Umani in quanto Creatori di Soluzioni.

 

Philip Marlowe trionfa, dunque, sebbene sia anche lui un uomo solo. E trionfa ― pian piano arriviamo a comprendere ― perché la solitudine dell’investigatore privato (e dell’Essere Umano) è per lui una solitudine a due: perché c’è una Donna, accanto a lui, che condividendo il mondo vero da lui scoperto lo rende un mondo reale, benché minuscolo. Mentre Jack Gittes, l’investigatore di Polanski, non avrà mai una Donna ― ed è qui che la Disperazione si fa Genio malgrado sé stessa ― perché la Donna gli sarà sempre tolta. Poiché è così che gli oppressori fanno di ogni luogo una Chinatown e di ogni Marlowe ― di ognuno di Noi ― uno sconfitto: uccidendo le nostre Donne.

 

Ben lo sa Noah Cross ― impersonato nel film dal grande John Huston. Noah Cross è il più ricco e dunque il più potente e dunque il padrone della California di Polanski. E in quanto tale è anche il più violento, poiché non vi è disuguaglianza che non sia violenza, quando non è spontaneamente donata come premio, o come libera elezione, da Uomini e Donne mentalmente e fisicamente liberi; e la massima disuguaglianza è dunque anche la massima violenza. E Noah Cross sa bene, per antico insegnamento universale delle religioni, che Chinatown permea e deforma il mondo reale ― il mondo, cioè, umanamente risolvibile ― in primo luogo attraverso il disprezzo e la distruzione delle Donne e dei Bambini. Delle Donne e dei Figli. Ed è pertanto ― Noah Cross ― in primo luogo lo spregiatore, il violentatore, il distruttore, l’assassino della propria figlia.

 

Violentando la figlia, Noah Cross ne altera la realtà ― e attraverso lei la realtà della California, della quale si rende in tal modo padrone ― molto più irrimediabilmente di qualsiasi chirurgia estetica (ma anche la chirurgia estetica va bene: l’Italia di oggi, per esempio ― che non è, va da sé, la California di Polanski ― è piena di Donne e di Figlie i cui corpi e volti sono stati per sempre contraffatti chirurgicamente per imposizione delle televisioni) e molto più definitivamente della Grande Opera, la Diga, con la quale sta deturpando il volto fisico dello Stato distruggendo l’ambiente e mandando in rovina migliaia di piccoli agricoltori. Mettendo incinta la figlia, Noah Cross la rende al contempo madre e sorella di una figlia che è al contempo di entrambi e di nessuno. Affinché Chinatown, d’ora in poi, sia in lei. Anzi: affinché Chinatown sia lei. Affinché nessun Umano possa più essere Investigatore, e nessun Investigatore possa più essere Marlowe, poiché la condizione minima per riuscirvi ― che vi sia almeno la Donna, con cui vivere nel mondo vero ― è stata resa impossibile dalla violenza che ha amalgamato la menzogna e la confusione di Chinatown con la carne stessa della Donna. Per sempre. Poiché niente ― sostiene Polanski, ma noi siamo liberi di pensare che una cura invece esista ― potrà più districare la menzogna e la confusione dalla sua stessa carne.

 

*

 

L’oppressione ― sempre, ovunque, in primo luogo ― è oppressione della Donna. Il disprezzo, l’odio, il crimine contro l’Umanità ― sempre, ovunque, in primo luogo ― è disprezzo, odio, crimine contro la Donna. La strategia che in Italia persegue da trent’anni la falsificazione e la distruzione dei Valori e dei Diritti senza i quali non vi è più Società Umana ma homo homini lupus, inganno reciproco, sfruttamento, guerra civile, ha da trent’anni come pilastro fondamentale la falsificazione e la distruzione dell’Immagine della Donna a opera di un immaginario televisivo delirante e violentissimo che giorno per giorno la deturpa. Ogni altra mistificazione, ogni altra violazione, ogni altra aggressione e sopraffazione sono successive e conseguenti: l’Umanità, la Fantasia, la Generosità, l’Intelligenza, la Memoria storica, i Valori, i Diritti, le Tutele, la Sicurezza, la Salute, la Scuola: niente potremo difendere, niente serberemo, dopo che avremo lasciato distruggere, nelle menti e nei cuori nostri, l’immagine di nostra Figlia, della Compagna, della Madre, della Donna. Dopo che le avremo abbandonate, tradite, perdute, lasciate sole in balìa dell’ininterrotta aggressione ― mediatica e di potere, intellettuale e padronale, religiosa ed economica ― che le raggiunge e le ferisce tutte, e in cui le più giovani sono nate e cresciute, e sotto i cui colpi già tante sono cadute.

 

Perché un Paese diventi la Chinatown di Polanski, perché questo accada ― perché si arrivi al punto, in un Paese, che gli Uomini e le Donne consegnino le Figlie ai Minotauri affinché ne facciano scempio ― non bastano però la follia e la violenza di un Noah Cross, per quanto ricco, per quanto potente, per quanto padrone gli abbia permesso di divenire chi avrebbe dovuto contrastarlo e invece fu il primo ad asservirglisi. Perché questo accada ― perché si arrivi al punto, in un Paese, che gli Uomini e le Donne consegnino le Figlie ai Minotauri affinché ne facciano scempio ― bisogna che quegli Uomini e quelle Donne, quei Padri e quelle Madri, siano stati essi stessi torturati, dilaniati, distrutti al di là di ogni umana possibilità di resistenza quand’erano Figli essi stessi, quand’erano essi stessi Bambini e inermi. Quando chi aveva loro in suo potere ― padre, madre, prete, insegnante, adulto folle e violento ― poté ridurli, come Winston, il protagonista di 1984 di George Orwell, a null’altro che bestie urlanti. Che poi riuscirono a emergere dalle tenebre tenendosi aggrappati a un’idea. All’idea che c’era un modo, e un modo soltanto di salvarsi. Che dovevano interporre un altro Essere Umano, il corpo di un altro Essere Umano, tra sé e l’orrore. E che così li ridusse a urlare, entro di sé ― povere piccole vittime anch’essi allora, molto, molto tempo prima di essere gli adulti carnefici che oggi dinanzi ai nostri occhi ghignando consegnano le Figlie e il Paese ai Minotauri affinché ne facciano scempio: “Fatelo a Julia! Fatelo a Julia! Non a me! Julia! Non me ne importa niente di quel che le fate. Laceratele la faccia, rodetela all’osso. Non a me! Julia! Non a me!

 

Te ne rammenti? Ricordi il momento in cui la Donna ti fu violentata e uccisa nel tuo stesso cuore, nella tua stessa mente? Fu quello il momento, in cui facesti del tuo Paese la California di Noah Cross. O, se vuoi, l’Oceania del Grande Fratello.

 

*

 

Materiali

(Ovvero: come siamo arrivati a scrivere Chinatown, Noemi e Noah...)

 

1. Confrontando (anche fisiognomicamente) due padri italiani d’oggi:

Beppino Englaro ed Elio o Benedetto Letizia.

 

Beppino Englaro

Beppino Englaro

Elio o Benedetto Letizia

Elio o Benedetto Letizia

 

2. Leggendo le parole della signora Veronica Lario sul Berlusconi.

 

Veronica Lario

Veronica Lario

 

3. Vedendo su La7, durante la puntata de L’Infedele di Gad Lerner di lunedì 4 maggio, il documentario Il Corpo delle Donne, di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi.

 

"Il Corpo delle Donne", di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi

Il Corpo delle Donne, di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi.

 

4. Guardando e ascoltando, giovedì 7 maggio ad Anno Zero di Michele Santoro, la signora Monica Guerritore dar voce e sentimento alle parole della signora Veronica Lario, alle quali fino ad allora non eravamo riusciti a darli da soli. E guardando e ascoltando, in quella stessa puntata di Anno Zero, la senatrice Emma Bonino dire quanto segue:

 

Monica Guerritore

Monica Guerritore

Emma Bonino

Emma Bonino

 

Insomma, per dire come la penso io... Io penso, e lo dico non da adesso, che il presidente Berlusconi ha un problema quando si rivolge al mondo femminile. Ha veramente un problema, perché si rivolge sempre in modo ossessivo, unidirezionale, tutte le volte con riferimenti sessuali, con doppi sensi, tripli sensi, insomma... (Il Ghedini cerca di non farla parlare)... Se in una democrazia comatosa i cittadini diventano popolo, poi pubblico e poi plebe, stiamo attenti, questa stella gialla è un grido dallarme che voglio lanciare... E lo dico perché penso che i cittadini italiani hanno il diritto di avere un presidente del Consiglio che, nonostante vada in ossessione, non ci metta in imbarazzo, per esempio, negli incontri internazionali, basta!... (Il Ghedini cerca di non farla parlare)... Penso che tutti noi Italiani, chi lha votato e chi no, abbiamo il diritto di avere un presidente del Consiglio che, per esempio, non fa cucù cucù alla cancelliera Angela Merkel! Abbiamo diritto ad avere un presidente del Consiglio che sia allaltezza del suo ruolo istituzionale e che magari, quando si riferisce alla signora Tatcher, non gli venga in mente di dire che anche la signora Tatcher da giovane era una gran gnocca. Questi imbarazzi non li voglio vivere più! E se ci sono dei problemi, il presidente faccia il favore: non è necessario essere degli stoccafissi agli incontri internazionali, ma non è però neanche necessario essere dei giullari! Non è necessario dire: Ho dovuto far la corte alla presidente finlandese per avere lauthority della Sicurezza alimentare a Parma, non si fanno queste cose! Allora cè un problema, e io credo che veramente lo dobbiamo affrontare. È ossessivo! Ogni volta, ogni volta che si riferisce al mondo femminile, è sempre e solo sprezzante... (Il Ghedini cerca di non farla parlare)... Ah no? Ah no? Allora vogliamo fare il florilegio? Lei come la prenderebbe se uno va al congresso di Aènne e dice: Noto delle gambe straordinarie che circolano? Io non sono né una parruccona né una moralista, anzi appartengo a una forza politica, quella radicale, che ha fatto della libertà dei comportamenti, anche sessuali, una grande bandiera, e che vuole continuare a farlo, anche per Silvio Berlusconi. Ma il problema, il problema vero, è che se la dignità del mondo femminile il presidente del Consiglio la tenesse un po più in considerazione... Già le donne italiane vivono una situazione patetica, per quanto riguarda laccesso al mondo del lavoro, le pensioni, i salari, tutto! In più, le uniche volte che ci si rivolge a loro... A Milano, comizio in piazza Duomo, a signore della mia età dice: Mi rivolgo adesso al settore Menopausa... Ma è necessario?! Un presidente del Consiglio?! Un signore che ovviamente, poi, occupa il Family Day, difende i valori cattolici, cristiani e quantaltro!... Quello per cui io mi batto è il rispetto per le Donne. Ed è questo, io credo, che dobbiamo tenere a mente. Ci sono stati presidenti popolarissimi, nel nostro Paese, amatissimi ― le faccio il nome di Pertini ― che non avevano bisogno però di esprimersi in questo modo. Quindi il signor presidente del Consiglio si esprima, sì, per quello che è, ma si esprima con rispetto per le Donne, e per tutti quanti. E in particolare veda di avere un comportamento coerente rispetto a quello che fa, dal Family Day a tutte le proibizioni che ci impone, alla legge contro la fecondazione assistita, ai pranzi coi vescovi, e così via: i valori cristiani e della famiglia intanto li applichi! Cominci ad applicarli lui, e poi ce li imponga anche a noi. (Emma Bonino, Anno Zero, Rai 2, giovedì 7 maggio 2009).

 

5. Guardando e ascoltando, sabato 9 maggio a Che tempo che fa di Fabio Fazio, Marco Bellocchio parlare del suo ultimo film, Vincere!, e del rapporto tra Ida Dalser e Benito Mussolini.

 

Giovanna Mezzogiorno è Ida Dalser in "Vincere!" (2009), di Marco Bellocchio.

Giovanna Mezzogiorno è Ida Dalser in Vincere! (2009), di Marco Bellocchio.

Marco Bellocchio a "Che tempo che fa" di sabato 9 maggio.

Marco Bellocchio a Che tempo che fa di sabato 9 maggio.

 

6. Ripensando e rivedendo, lunedì 11 maggio, Chinatown (1974), di Roman Polanski, con Jack Nicholson, Faye Dunaway e John Huston.

 

"Chinatown" (1974), di Roman Polanski, con Jack Nicholson, Faye Dunaway e John Huston.

Chinatown (1974), di Roman Polanski, con Jack Nicholson, Faye Dunaway e John Huston.

 

7. Collegando il Polanski del 1974 al Polanski che il 14 novembre 2008 descrive al Venerdì di Repubblica un’inquietante fotografia del Berlusconi.

 

Silvio Berlusconi sul "Venerdì di Repubblica" del 14 novembre 2008.

Silvio Berlusconi sul Venerdì di Repubblica del 14 novembre 2008.

 

8. Paragonando l’investigatore privato Jack Gittes, di Chinatown, al Philip Marlowe dei romanzi e racconti di Raymond Chandler.

 

Pearl Cecily Bowen, detta Cissy (1871–1954) e Raymond Chandler (1888–1959), sposati nel 1924 quando lei aveva 53 anni e lui 36. Alla morte di Cissy, Chandler dichiarò di “odiare la vita che gli restava”.

Pearl Cecily Bowen, detta Cissy (1871–1954) e Raymond Chandler (1888–1959), sposati nel 1924 quando lei aveva 53 anni e lui 36. Alla morte di Cissy, Chandler dichiarò di “odiare la vita che gli restava”.

Pearl Cecily Bowen, detta Cissy (1871–1954) e Raymond Chandler (1888–1959),

sposati nel 1924 quando lei aveva 53 anni e lui 36. Alla morte di Cissy,

Chandler dichiarò di “odiare la vita che gli restava”.

 

9. Ripensando e rileggendo le ultime pagine di 1984 (1949), di George Orwell (1903 - 1950), in particolare le righe che seguono:

 

Il manifesto originale di "1984" (1984), film di Michael Radford con John Hurt, Suzanna Hamilton, Richard Burton e Cyril Cusack.

Il manifesto originale di 1984 (1984), film di Michael Radford con John Hurt, Suzanna Hamilton, Richard Burton e Cyril Cusack.

 

Per qualche istante fu solo, poi s’aprì la porta ed entrò O’Brien.

“Una volta m’hai chiesto che cosa c’era nella stanza 101” disse O’Brien. “Ti risposi che sapevi già qual era la risposta. Tutti lo sanno. La cosa che c’è nella stanza 101 è la cosa peggiore del mondo.

La porta si aprì di nuovo. Entrò una guardia, trasportando qualcosa che era fatto di fil di ferro, una specie di recipiente, una cesta, o qualcosa del genere. Posò l’oggetto sul tavolo più lontano. A causa della posizione che aveva preso O’Brien in piedi davanti a lui, Winston non poteva vedere precisamente che cos’era quell’oggetto.

“La cosa peggiore del mondo” disse O’Brien “varia da individuo a individuo. Può essere venir seppelliti vivi, essere arsi, o affogati, o impalati, o un’infinità di altre morti. Ci sono casi in cui è una cosa assai più modesta, nemmeno fatale, a volte.

Si spostò un po’ di lato, in modo che potesse veder meglio l’oggetto che era sul tavolo. Era una gabbia oblunga di fil di ferro, con un manico in cima per trasportarla. Vista di fronte, aveva come l’aspetto di una di quelle maschere che si mettono per esercitarsi nella scherma, con il lato concavo sporto in fuori. Sebbene fosse a tre o quattro metri lontana da lui, pure poté accorgersi che la gabbia era divisa, per lungo, in due scomparti, e che in ognuno di essi si trovavano alcuni esseri viventi. Erano topi.

“Nel tuo caso” disse O’Brien “la cosa peggiore del mondo sono i topi.”

Un tremito premonitore, una paura di qualcosa ch’egli non sapeva bene che cosa fosse, aveva d’un subito posseduto Winston non appena aveva gettato il primo sguardo sulla gabbia. Ma in quel momento, il significato di quell’oggetto simile a una maschera che gli era di fronte lo penetrò subito. Le budella sembrarono liquefarsi.

“Non lo potete fare” gridò con voce rotta. “Non potrete, non potrete, è impossibile!”

“Ricordi” disse O’Brien “l’istante di panico che era solito sopraggiungere nei tuoi sogni? C’era una specie di muro di tenebra dinanzi a te, e un mugghio nelle tue orecchie. C’era qualcosa di orribile, al di là della parete. Tu sapevi di sapere che cos’era, ma non avevi il coraggio di trarlo alla luce. C’erano dei topi, al di là della parete.

“O’Brien” disse Winston, facendo uno sforzo per controllare la propria voce “tu lo sai che ciò non è necessario. Che cosa vuoi che io faccia?”

O’Brien non rispose direttamente. Quando riprese a parlare fu col tono da maestro di scuola che egli talvolta affettava. Guardò dapprima pensieroso in lontananza, come dovesse indirizzarsi a un pubblico che fosse in qualche luogo dietro le spalle di Winston.

“Di per sé stessa” disse “la sofferenza non è mai sufficiente. Ci sono casi in cui una creatura umana resiste al dolore anche in punto di morte. Ma per ognuno c’è sempre qualcosa d’insopportabile... un qualche cosa del quale non si può sostenere la vista. Il coraggio e la paura non c’entrano per nulla. Se si sta precipitando, non è vigliaccheria afferrarsi a una fune. Se si viene a galla da profondità marine, non è vigliaccheria riempirsi i polmoni d’aria. È soltanto un istinto cui non si può disobbedire. La stessa cosa succede con i topi. Per te, essi sono intollerabili. Sono una forma d’oppressione che tu non sapresti tollerare, anche se volessi. Tu farai ciò che si richiede da te.

“Ma che cos’è, che cos’è? Come lo posso fare se non so che cos’è?

O’Brien sollevò la gabbia e la portò fino al tavolo più vicino. La posò con cautela sul panno. Winston poteva udire il sangue che gorgogliava nelle orecchie. Aveva la sensazione di sedere in profondissima solitudine. Era nel mezzo d’una immensa pianura vuota, un deserto piatto, inondato di luce solare, attraverso il quale tutti i suoni gli giungevano come da infinite distanze. Eppure la gabbia dei topi non era che a pochi metri da lui. Erano topi enormi. Erano giunti all’età in cui il muso diventa inespressivo e insieme crudele e il pelo, da grigio, diventa marrone.

“Il topo” disse O’Brien, sempre rivolto al suo invisibile pubblico “sebbene sia un roditore è carnivoro pure. Questo lo sai benissimo. Avrai sentito quel che succede nei quartieri più poveri di questa città. Ci sono strade in cui una donna non osa lasciare il proprio bambino incustodito nella casa anche solo per cinque minuti. I topi lo attaccherebbero senza dubbio. In un tempo brevissimo lo ridurrebbero all’osso. Attaccano anche i malati e i moribondi. Mostrano un’intelligenza prontissima nel rendersi conto del momento in cui una creatura umana resta assolutamente indifesa.”

S’udì venire uno stridio dalla gabbia. Sembrò a Winston che gli venisse da lontano. I topi facevano battaglia. Volevano raggiungersi l’un l’altro, oltre il tramezzo. Udì anche un profondo gemito di disperazione. E anche quello gli sembrò che venisse da un luogo fuori da lui stesso.

O’Brien prese la gabbia, e in quell’atto premette un qualcosa che vi era dentro. S’udì uno scatto secco. Winston fece uno sforzo sovrumano per liberarsi dalla sedia. Non c’era nulla da fare, ogni parte del suo corpo, persino la sua testa, era completamente inamovibile. O’Brien spostò un poco la gabbia per avvicinargliela. Era a meno di un metro dalla faccia di Winston.

“Ho premuto la prima leva” disse O’Brien. “Tu hai capito già il congegno di questa gabbia. La maschera verrà aggiustata sul tuo capo, senza lasciare nessuna possibile via d’uscita. Quando io premerò quest’altra leva, la porta della gabbia sarà sollevata in alto. Questi mostriciattoli affamati schizzeranno fuori con l’impeto di pallottole di fucile. Hai mai veduto i balzi di un topo per aria? Ti salteranno dritti sul viso. Certe volte attaccano per primi gli occhi. Qualche altra volta cominciano dalle guance, per potersi fare strada alla lingua, dentro la bocca.

La gabbia era più vicina. Gli si stava sempre più avvicinando. Winston udì un seguito di acutissime grida che sembrava venissero emesse nell’aria, al di sopra del suo capo. Ma lottò furiosamente contro il panico. Pensare, pensare, fino all’ultimo minuto... pensare era la sola salvezza. A un tratto la puzza disgustosa di quelle bestie gli colpì le narici. Una profonda convulsione di nausea avvenne dentro di lui. E fu sul punto di perdere la conoscenza. Tutto era diventato nero. Per un attimo smarrì la ragione e si ridusse null’altro che una bestia urlante. Ma poi riuscì a emergere dalle tenebre tenendosi aggrappato a un’idea. C’era un modo, e un modo soltanto di salvarsi. Doveva interporre un altro Essere Umano, il corpo di un altro Essere Umano, tra sé e i topi.

La maschera era grande abbastanza da escludere la vista di qualsiasi altro oggetto. La porta di fil di ferro era a pochi centimetri dalla sua faccia. I topi sapevano quel che sarebbe successo, tra poco. Uno di essi saltava sù e giù. Era un vecchio sorcio di chiavica e se ne stava sollevato, con le piccole zampe rossicce appoggiate alle sbarre, e annusava avidamente l’aria. Winston poteva scorgerne i baffi e i dentini giallastri. Un panico totale prese di nuovo possesso di lui. Era cieco, senza difesa, senza ragione.

“Era una punizione comune nell’impero cinese” disse O’Brien con il solito tono didattico.

La maschera gli aderiva alla faccia. Il fil di ferro gli grattava le guance. E allora... no, non era sollievo, soltanto speranza, un sottilissimo filo di speranza. Troppo tardi, forse troppo tardi. Ma aveva capito, di colpo, che in tutto il mondo c’era un’unica persona alla quale avrebbe potuto trasferire la sua punizione... un solo corpo ch’egli avrebbe potuto interporre tra sé e i topi. E si trovò che urlava, più e più volte, preda del parossismo:

“Fatelo a Julia! Fatelo a Julia! Non a me! Julia! Non me ne importa niente di quel che le fate. Laceratele la faccia, rodetela all’osso. Non a me! Julia! Non a me!

 

(George Orwell, 1984, traduzione di Gabriele Baldini, Milano, Mondadori, 1973, pp 312 - 315).

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venerdì 1° maggio

 

Le belle famiglie berlusconiane: Anna e Noemi Letizia (da La Repubblica di giovedì 30 aprile 2009).

Le belle famiglie berlusconiane: Anna e Noemi Letizia (da La Repubblica di giovedì 30 aprile 2009).

 

Felici o Sprovveduti?

 

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Annunciando la perdita di posti di lavoro nelle Scuole di Anticoli, Arsoli, Riofreddo e Roviano (comedel resto in tutte le Scuole d’Italia, grazie alla cosiddetta riforma” Tremonti-Gelmini) a partire dal prossimo anno scolastico 2009-2010, il nostro Preside, durante l’ultimo Collegio docenti, l’ha definita “una brutta notizia”. Ci siamo permessi di dissentire: “Dicendo brutta questa notizia, caro preside,” abbiamo protestato, “lei rischia di offendere molti dei colleghi presenti.”

 

Stupore e sconcerto in aula, annotavano una volta gli stenografi parlamentari: “Come sarebbe a dire, professor Scialanca?”

 

“Sarebbe a dire, caro preside ed egregi colleghi, che qui ci son docenti che per la Destra berlusconiana hanno sempre votato e votano. Sarebbe a dire che costoro, dunque, non possono che essere felici di ciò che il Berlusconi fa. Compreso ciò che per suo conto mette in atto l’ineffabile Gelmini. O che altrimenti, se invece non sono felici, se invece non desideravano decine di migliaia di posti di lavoro perduti nelle Scuole, allora gli esimi colleghi sono stati e sono dei perfetti sprovveduti, non essendo arrivati neanche a sospettare ciò che per tutti noi era prevedibilissimo fin dal giorno della cosiddetta discesa in campo. Lei, perciò, caro preside, dando per scontato che anche per tali colleghi la notizia sia brutta, ha dato loro degli imbecilli. Mentre noi, invece, preferiamo pensare che imbecilli non siano. Ma bensì felici.”

 

Ovvio, no?

 

L’altro ieri, poi, questo bel quadretto di vita scolastica ci è tornato in mente quando abbiamo letto le dure parole della gentile signora Veronica Lario: Che cosa ne penso (dellapparizione del presidente del Consiglio alla festa di compleanno di una ragazza napoletana, n.dr.)? La cosa ha sorpreso molto anche me, anche perché non è mai venuto a nessun diciottesimo dei suoi figli pur essendo stato invitato... Voglio che sia chiaro che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla, e ci fa soffrire. (La Repubblica, mercoledì 29 aprile 2009).

 

Umanamente ci è dispiaciuto per la signora, sia chiaro, così come ci dispiace per i colleghi di Destra che, poveretti, non avrebbero mai creduto” che il governo li licenziasse. Nondimeno, chi ha scelto il Berlusconi per sposarlo non è diverso da quelli che lhanno scelto per votarlo: o si dichiarano felici di tutto ciò che l’individuo fa, dice e pensa (in ordine inverso di copiosità escretiva) o devono domandarsi come mai siano stati fino a oggi così sprovveduti da non capire quel che è evidente da almeno vent’anni a metà dei cittadini italiani. La quale metà è l’unica delle due, dunque, che ha il diritto di lamentarsene senza sentirsi composta da minus habentes per essersi lasciata menare per il naso.

 

Dopo di che, alla gentile signora Veronica Lario non si è peritata di rispondere “da pari a pari”, per così dire, anche la non meno gentile signora Anna Letizia, madre di quella Noemi Letizia alla cui festa dei diciott’anni era per l’appunto apparso anche Silvio Berlusconi con un regalino (entrambe, madre e figlia, chiamano il presidente del Consiglio “papi”): Come ho conosciuto il presidente? Non chiedetemelo più, per favore. Su questo consentiteci un po’ di privacy. Come persona, come famiglia e come madre. Le mie foto? No, non amo darle. Se vuole può farle uscire lui, papi... Papi, certo. Ne ha tante di foto... Vorrei dire, con infinito rispetto, alla intelligente signora Veronica Lario... Anchio sono madre, anchio difendo i miei cuccioli, e sono stata sfortunata: ho perso un figlio in un incidente stradale, anni fa... (La Repubblica, giovedì 30 aprile 2009).

 

Ma qui il nostro discorso, parlando dei nostri Figli, dei Bambini e dei Ragazzi italiani, da ironico non può che farsi drammaticamente serio. Poiché ciò che pensiamo è che anche l’Italia, a questo punto, come certe povere Figliole, dovrebbe esser tolta al Berlusconi e affidata a un “padre della patria” moralmente più degno. Ma ormai è tardi: compiuti i diciott’anni, le povere Nazioni e le povere Figliole son libere di fare una brutta fine, se nessuno ha saputo insegnar loro a sottrarvisi.

 

Speriamo, almeno, che ci siano ancora Madri e Padri degni di chiamarsi tali, nel nostro Paese, e che stiano raccontando alle loro Bambine una favola come quella che Guido Orefice inventa per il piccolo Giosuè ne La vita è bella: che è tutto finto, che gli orchi cattivi cattivi che comprano e vendono i Figli stan solo giocando, e che alla fine le Bambine che non si faranno scoprire vinceranno un’Italia diversa.

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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).

L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

 

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